Catullo e Lesbia/Annotazioni/19. A Manlio - LXVIII Ad Manlium
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LXVIII.
Tradotto dal Tasso:
Me peregrino errante, e fra gli scogli |
Ibidem. Et a mortis limine restituam.
Frase rubata a Marco Pacuvio, che aveva scritto:
Quid est? nam me exanimasti prologio tuo. |
Similmente Lucrezio:
leti iam limine in ipso; |
e Virgilio:
cum te |
E limitare o soglia della vita fu detto parimente dai poeti:
primoque in limine vitæ, |
e Leopardi:
Pag. 194. Iucundum cum ætas florida ver ageret.
La giovinezza, primavera della vita: ætatis breve ver, come la chiama Ovidio; l’ età più bella e più fiorita, come dice Petrarca. All’entrare nella virilità, i Romani vestivano la toga bianca, vestis pura, a differenza della pretesta, ch’era orlata di porpora e indossata generalmente dai giovanetti, o dai magistrati e dai sacerdoti; e della candida, che si usava dai concorrenti ad onorevoli cariche, dalla quale eran detti candidati.
Ibidem. Multa satis lusi.
Cioè, feci molto gioco di carmi, scrissi molti versi per passatempo; non, come intendono i più, pugnai molto in amore. Manlio domandava libri e carmi al poeta, non già notizia delle sue bravure amorose.
Sì, perchè il soggetto di quelle poesie giovanili era ispirato dall'amore, che al dire di Plauto:
et melle et felle est fecundissimus. |
o, come s’esprime il Petrarca,
Nel nostro dolce qualche amaro mette; |
che corrisponde a quell’adagio: Plus alöes, quam mellis habet, e a quell’altro: Amore è una pillola inzuccherata.
Pag. 196. Illic mea carpitur ætas.
Ed io ho tradotto: ivi si svolge il filo degli anni miei, giacché carpere lanam significa carminare e filare la lana; e la metafora è molto a proposito, trattandosi della vita filata dalle Parche. Così in Virgilio:
Solane perpetua moerens carpére inventa. |
Pag. 198. Duplex Amathusia.
Venere, onorata di tempio in Amatunta di Cipro, è detta doppia, perchè, come ha detto il poeta più su:
dulcem curis miscet amaritiem. |
Acqua calda nello stretto delle Termopili sottostanti all'Oeta; detto Malia dalla vicinanza con la Malea, ora Capo Mallo o di Sant'Angelo.
È saputo che l’apparire delle stelle dei Gemini ridava speranza ai naviganti in pericolo. Onde Marziale:
Et gratum nautis fidus fulgere Laconum. |
Bellissimo episodio questo di Laodamia, ma non molto a proposito, come bene osserva il Vannucci, Inceptam frustra è detta la reggia di Protesilao, quasi mal cominciata, male apparecchiata, dappoichè costui avea trascurato d’offrire agli Dei i sacrifizi d’uso, quando Laodamia gli venia data in isposa.
Pag. 200. Quod scibant Parcaæ.
Non posso trattenermi dal trascrivere la famosa descrizione delle Parche fatta dal nostro poeta nell’Epitalamio:
Poichè tutti sui candidi sedili |
Questi fati esprimean nel divin carme, |
Pag. 202. Troia nefas, commune sepulcrum.
Notisi con che fine artifizio torna il poeta a lamentare la morte del fratello, dalla quale passa nuovamente all’assedio di Troia e da questo all’amore infelice di Laodamia.
Ercole, non veramente figlio di Anfitrione, ma di Giove.
Stymphalia monstra sono gli uccelli mostruosi cibantisi di carne umana che infestavano la palude Stinfalia in Arcadia; dei quali Igino, fav. XX, e Servio al lib. VIII dell’Eneide. Prima gli Argonauti, e poscia Ercole, per comando di Euristeo, li combatterono: i primi con lo strepito delle aste e degli scudi; il secondo con dardi infallibili.
Perchè Ercole, eseguiti i comandi di Euristeo, dovea, secondo gli oracoli di Minerva e d’Apollo, accrescere di sè il numero degli Dei, non senza ottenere, in premio di tante fatiche, il fiore verginale della Dea della giovinezza.
Pag. 204. Quamquam præcipue multivola est mulier.
Non è da riferire alle donne che non sono generalmente costanti; ma invece alla colomba, da cui è tolto il paragone con Laodamia. Che mulier è usato per fæmina, come bene osserva il Partenio; nè ci sembrerà strano quando ricorderemo che Orazio disse uxores delle capre:
Quærunt latentes et thymo deviæ |
e Virgilio chiamò virum il caprone:
Vir gregis ipse caper deerraverat; |
e Marziale similmente:
Et illud oleas quod viri capellarum. |
Nè multivola significa che vuole molte cose, ma che vola molto: aggettivo bellissimo coniato dal nostro poeta, che la composizione degli aggettivi imparò dai Greci.
Pag. 206. Rara verecundæ furta feremus heræ.
Vergognosa transazione che fa Catullo con la propria dignità. Si contenta che le scappate della sua donna siano rare; come se la colpa stésse nella quantità e non nella qualità dei trascorsi; e si scusa artifiziosamente di codesta viltà adducendo l’esempio di Giunone:
Noscens omnivoli plurima furta lovis |
e che amava, cionnonostante, il marito.
Pag. 206. Ingratum tremuli folle parentis onus.
È il busillis degl'interpreti. Il Partenio spiega: Cum non sit æquum homines divis comparare, noli te onerare tanta deorum invidia quanta se onerant curiosi parentes filias suas deabus nimis impense conferentes.
È il ciabattino che stira la sòla co’ denti. Il Fusco dichiara che non ci si raccapezza; il Mureto che non sa cavarne costrutto; lo Scaligero, secondo me, imbrocca il primo nel segno: Molestum senem, egli dice, qui amoribus filiæ importunus intervenit, ingratum onus vocat. Il poeta ha detto, ch’egli è disposto a perdonare alla sua Lesbia i rari furti:
Ne nimium simus stultorum more molesti; |
e dopo d’essersi scusato con l’esempio di Giunone, soggiunge, che, se non è giusto il paragonare gli uomini agli Dei, non è certamente cosa grata a un amante il sorvegliare e sindacare gelosamente la sua donna, come se fosse il suo babbo, o il suo nonno; e aggiungo nonno, perchè l’aggettivo di tremulo mi pare che si convenga più al nonno che al padre. Parens, d’altronde, fu tanto usato per padre, quanto per avo; onde Ulpiano: Profectitia dos est, quæ a patre, vel parente profecta est. {{Nop}
Ricorda ciò che canta diffusamente nella splendida chiusa dell’Epitalamio, e ch'io volentieri trascrivo:
Questi le Parche un dì dal cor divino |
Figlio prostituirsi, empia! i Penati |