Capitolo XV - L'agricoltura nobile passatempo de' vecchi.

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Marco Tullio Cicerone - Catone Maggiore (De senectute) (44 a.C.)
Traduzione dal latino di Michele Battaglia (1866)
Capitolo XV - L'agricoltura nobile passatempo de' vecchi.
XIV XVI

[p. 280 modifica]XV. — (L’agricoltura nobile passatempo de’ vecchi.) — Vengo ora ai piaceri dell’agricoltura, la passione dei quali è per me indicibile; prestandosi essi così bene anche alla vecchiezza, senza digradare le cure dell’uomo dotto.

Gli agricoltori sono intenti al lavoro della terra, la quale non è mai ribelle alla mano dell’uomo, e rende con usura, talora più, talora meno, ma quasi sempre generosamente, li semi deposti nel suo seno. La terra non mi porge piacere per i soli frutti che produce, altresì per il vigore e per le proprietà della sua natura.

Nei di lei solchi squarciati dall’aratro e ricchi [p. 281 modifica]di sostanze fermentatrici accoglie lo sparso seme che asconde nel seno delle infrante glebe (da cui l’arte poscia inventava l’erpicazione). Il seme dagli ardori solari riscaldato e reso fecondo, s’inturgida, e ne spunta fuori una verde, sottile erbetta, le tenere fibre della quale traggono nutrimento dalle di lei radici; a misura che invigorisce s’innalza, e rizzata sul nodoso stelo, quasi pudibonda, fa velo ai semi nei calici non per anco dischiusi. Questi apronsi allo spiccare de’ grani, che simmetricamente distribuiti, alla voracità dei piccoli uccelli trovano scudo nei gusci delle spiche.

E se mi trattenessi a parlarvi intorno alla piantagione, al nascimento, allo sviluppo della vite, ciò farei non per altro, che non sono mai pago di far conoscere la pace e i placidi passatempi di questa mia senile età. Ma troppo lungo sarebbe il discorrere della forza vitale d’ogni produzione terrestre, la quale dal granello del fico e dall’acino della vite fino ai minutissimi semi di tutti i vegetabili, infinite propagini e rami fa nascere. Chi può non ammirare e dilettarsi alla vista delle piante di radice vigorosa, degli arboscelli, de’ tralci, degli allievi innestati? La vite per indole propria flessibilissima, che priva di sostegni, giace prostrata al suolo, meravigliosamente si drizza sui propri capreoli, i quali a guisa di mano afferrano tutto ciò che sta loro vicino. Guidato dall’arte sua, l’agricoltore le tronca con il ferro i tralci parassiti che serpeggianti e molteplici spinge per ogni lato, onde impedire che essa, per lussureggianti rami, inselvatichisca e prodigati facciansi insipidi i di lei succhi. All’aprire della primavera spunta la gemma sulle articolazioni [p. 282 modifica]dei rami lasciati al tronco, e da essa nasce l’uva, che alimentata dai calori del sole e dai sali della terra, da principio appare agresta al palato e poscia maturando acquista dolcezza, e avvolta ne’ rigogliosi pampini se ne fa velo contro i raggi solari, senza perdere il beneficio della tepida temperatura. Non avvi albero che meglio della vite produca frutto più saporito, e leggiadro allo sguardo. Io non solo apprezzo altamente l’utilità di essa, ma eziandio mi diletta la di lei coltivazione, e i vari sistemi di regolarla, l’ordine delle spalliere, l’intrecciamento delle propaggini, il modo di moltiplicarle, la separazione dei tralci parassiti, e l’immissione sotterra di quelli che voglionsi far germogliare.

Dirò io dell’irrigazione, della canalizzazione degli scoli, e della concimatura dei terreni mirabilmente idonea a fomentare la fecondità del suolo?

Appunto perciò sembrommi pregio dell’opera tener separato discorso di essa nel libro che appositamente scrissi intorno alle cose agrarie, benchè Esiodo, per altro sì dotto, il quale trattò della coltura dei campi, non abbia nemmeno fatto parola degli ingrassi, che sono primo elemento di fertilità. Omero però, che vari secoli visse prima di Esiodo, molto a proposito descrive Laerte, il quale onde confortarsi della dolorosa assenza del figlio Ulisse, sta rivolgendo e concimando l’orto.

Attendere all’agricoltura non diletta solamente mercè la educazione delle messi, delle praterie, delle vigne e degli alberi, ma torna oltremodo piacevole per tutto ciò che spetta ai frutteti, agli ortaggi, al pascolo dei greggi, alla [p. 283 modifica]cura degli alveari, alla infinita varietà dei fiori. Al piacere che porgono le piantagioni si può aggiungere quello dell’innesto, invenzione che onora i progressi dell’agricoltore.