Capitolo V - Placida vita condotta dai vecchi.

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Marco Tullio Cicerone - Catone Maggiore (De senectute) (44 a.C.)
Traduzione dal latino di Michele Battaglia (1866)
Capitolo V - Placida vita condotta dai vecchi.
IV VI

[p. 258 modifica]V. — (Placida vita condotta dai vecchi.) — Assai cose dissi di Massimo e più che basti a convincervi che non avvi motivo di chiamare disagevole una vecchiezza pari alla sua.

Ma non tutti però ponno essere Scipioni, o Fabii per godersi nelle rimembranze di espugnate città, di battaglie campali o di mare - e di guerre condotte e riportati trionfi. Tranquilla e piacevole trascorre del pari la vecchiezza in seno alle gentili abitudini d’una vita placida e pura. Così narrasi di Platone che [p. 259 modifica]giunto all’ottantesimo anno si spegnesse scrivendo; di Isocrate che grave di novantaquattro, componeva il suo libro del Panatenaico, vivendo poscia altri cinque anni. Fu suo maestro Gorgia Leontino che varcò il centosettesimo anno, senza mai distogliersi dagli intrapresi studii, né abbandonare le consuete faccende. Richiesto un giorno, come mai sapesse reggersi in così lunga vita " perché, rispose, la vecchiezza non mi dà finora motivo di essere malcontento". Sublime risposta, degna di così valentuomo, conciossiaché gli uomini rozzi solamente incolpano l’età senile di loro melensaggine e de’ loro difetti.

Così non la pensò quell’Ennio, a voi già noto:

Pari a destrier che la sudata arena
Correndo, vinse i contrastati allori
Ed or carico d’anni, sta e riposa

paragona la sua vecchiezza a quella d’antico animoso corsiero vincitore: e di lui certamente voi potete avere qualche memoria. Diecinove anni dopo sua morte vennero al Consolato Tito Flaminio e Marco Acilio; ed egli, essendo Consoli per la seconda volta Cepione e Filippo, trapassò, allora appunto che, compiuti li sessantacinque anni, io mi feci a propugnare la legge Voconia con validi argomenti e con tutta l’energia de’ miei polmoni. Ennio toccava il settantesimo anno, ed in quell’ultimo stadio, povertà e vecchiezza, che tutti credono noje gravissime, sopportò con tanta fermezza che quasi sembrava compiacersene.

Ad ogni modo, il tutto ben considerato, trovo quattro motivi per cui sembra infelice questa età.

Il primo, perché distoglie l’uomo dagli affari; [p. 260 modifica]L’altro, perché è accompagnata dalle fisiche infermità;

Il terzo, perché lo priva presso che d’ogni voluttà;

Finalmente, perché confina da vicino con la morte.

Esaminiamo dunque ad una ad una queste accuse per giudicarne la verità.


VI. — (La vecchiezza non distoglie l’uomo dai gravi affari.) — Il vecchio è dunque distolto dall’incumbere agli affari? Ma da quali per Dio? forse da quelli che hanno bisogno di gioventù e fisico vigore. Ma le forze dei vecchi non sono mai ridotte a tale nullità, che essi non possano supplire con la mente nel governo delle cose, quando le infermità del corpo hanno affievolita la loro energia. Era dunque assolutamente inetto quel Quinto Massimo? Inetto, Lucio Paolo tuo genitore, o Scipione, il quale fu suocero altresi di mio figliuolo, egregia persona? E gli altri vecchi, Fabrizio, Curio, Coruncanio prestando alla Repubblica l’appoggio del loro autorevole consiglio, forse che erano buoni da nulla?

Ed Appio Claudio che non solamente era vecchio, ma cieco, quando il Senato mostrossi propenso alla pace ed all’alleanza con Re Pirro, rimase egli un istante perplesso a biasimarlo con i detti, che Ennio riferisce ne’ seguenti versi:

     Senatori, dov’è l’usato senno?
     Giudiziosi una volta, or deliranti,

e con altre rampogne dello stesso peso? - A voi quel carme non è cosa nuova. Esiste pure il discorso dello stesso Appio, da lui