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258 | dialogo intorno alla vecchiezza |
erano propizii a chi operava a pro' della repubblica, avversi sempre per coloro che tentavano di nuocerle.
Non pochi egregi atti mi avvenne di ammirare presso quel personaggio; ma nulla pareggia la fermezza d’animo che mise a sopportare la morte del figlio suo Marco, giovine di chiara rinomanza e già consolare. Leggendo l’orazione funebre ormai nota a tutti, che egli medesimo ne scrisse, gli stessi filosofi ne sembrano assottigliati a meschine proporzioni.
Né grande era solamente al cospetto de’ suoi concittadini, ma più commendevole ancora nelle domestiche pareti. Per eleganza nel dire e sapere, preclaro; nell’archeologia, eruditissimo; profondo nella scienza degli auguri; nelle lettere, siccome conviensi a cittadino romano; perfettamente colto; dotato di prestante memoria, nessun particolare gli riusciva nuovo sì delle guerre intestine, che delle straniere.
Ed io avidamente godeva di conversare con lui, quasi presago di quanto avvenne; mancatomi un maestro di tanta capacità, non mi fu più possibile di rinvenirne l’eguale.
V. — (Placida vita condotta dai vecchi.) — Assai cose dissi di Massimo e più che basti a convincervi che non avvi motivo di chiamare disagevole una vecchiezza pari alla sua.
Ma non tutti però ponno essere Scipioni, o Fabii per godersi nelle rimembranze di espugnate città, di battaglie campali o di mare - e di guerre condotte e riportati trionfi. Tranquilla e piacevole trascorre del pari la vecchiezza in seno alle gentili abitudini d’una vita placida e pura. Così narrasi di Platone che