Casa Savoia ovvero i conti di Viú
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III
CASA SAVOIA
OVVERO
I CONTI DI VIÙ
Lá di Viú nella tacita valle
tra le frasche d’un ampio noceto,
da un dirupo ombreggiata alle spalle,
una casa antichissima appar.
5Or ne penzola l’embrice vieto,
lungo i muri va l’edera attorta,
e sul rotto fronton della porta
il ramarro si vede passar.
Narra il vulgo che quattro fratelli
10ospitò la murata caverna:
tutti quattro giá bianchi i capelli,
ma gagliardi e innocenti pastor,
che il pan bigio e la fresca cisterna
davan sempre e il lettuccio di strame
15a qual sia che dal vasto reame
mensa e ospizio cercasse fra lor.
Nati in ripa alla Stura sonante,
ei domavano l’onda col nuoto;
tra le antiche selvatiche piante
20recidevano all’aquile il voi.
Tutto il resto del mondo era ignoto
a quei quattro vissuti lungh’anni
nella gloria de’ ruvidi panni
e abbronzati dal vento e dal sol.
25Addobbavan le scabre pareti
qua di lupo, lá d’orso una zampa;
qua archibusi fra i zaini e le reti,
lá in un canto de’ cani il covil.
E diceansi, raccolti alla vampa
30crepitante di cerri e di faggi,
sante istorie, vetusti coraggi,
in austero fantastico stil.
Una notte che i buffi del vento
fean la Chioma fischiar della selva,
35di san Giorgio e del drago l’evento
un di lor s’era posto a narrar.
L’altro a sé d’un’esanime belva
fea sgabello con placido scherzo;
suscitato era il foco dal terzo;
40stava il quarto i suoi veltri a cibar.
Ecco s’ode picchiar quattro volte,
e lá apparve una giovin sibilla.
Agil piè, nere pálpebre e folte,
vesti azzurre e nerissimo crin.
45Salutoni, poi disse tranquilla:
— Su! messeri; elevate le fronti:
quattro belle corone di conti
sta per voi preparando il destili —
Indi sparve. E repente s’intese
50per quell’aure uno squillo di corno.
Di Savoia era un duca cortese,
costumato salir colá su
con molossi e con arme d’intorno
per far caccia de’ lupi e degli orsi;
55poi solea nella notte raccórsi
tra quei quattro pastori di Viú.
Il piú vecchio di lor, messer Banco,
per vegliar sovra il prence in securo,
colla sua carabina da fianco
60sovra il bruno porton si piantò.
Cinque audaci assaltar l’abituro,
non si sa se per preda o per ira:
messer Banco li tolse di mira,
due ne spense e quegli altri fugò.
65L’indomani, dell’ospite augusto
mancò il piè sul ciglion d’un dirupo:
ratto accorse colá messer Giusto,
e alle fauci di Morte il rapi.
Dai cespugli famelico un lupo
70giá saltava alle spalle del duca:
la sua daga snudò messer Luca,
e sul salto la belva peri.
L’ampia Stura trascorrere a guado
a quel prence arditissimo piacque.
75— No, mio prence — sciamò messer Grado —
no, mio prence: quel flutto è infedel. —
Ei non bada; e la tromba deli’acque
giá lo trae, lo avviluppa, lo serra:
messer Grado si slancia, lo afferra,
80lo rimena al bel lume del ciel.
Liberato dai quattro perigli
di Savoia il buon duca, alla sera
li raccolse, e proruppe: — Miei figli,
qui d’accanto ponetevi a me.
85Vi do brando, corona e bandiera;
quattro nobili conti voi siete;
pari a pari con me siedercte,
come siedono i principi e i re.
miei padri sul campo e alla corte
90han creato assai conti e marchesi;
ma quadriglia piú bella e più forte
nei lor Stati giammai non brillò.
Da qual sangue voi siate discesi,
10da voi pergamene non chiedo.
95Prove illustri son l’opre ch’io vedo;
«Fede e Forza» è il blason ch’io vi do.
Fora oltraggio per atti si belli
farvi dono di ròcche possenti.
Vostri degni turriti castelli
100son le rupi che intorno vi stan.
lo saprò che tra querce ed armenti
ritrovai si gagliarde e sommesse
quattro destre, che simili ad esse
gli altri re cercherebbono invan.
105Conti, addio. Sino agli anni piú tardi
11Signor vi conservi al mio regno. —
Lacrimando, quei quattro vegliardi
inchináro al magnanimo sir.
Ei baciò col suo bacio piú degno
110quelle fronti gentili e canute:
squillò il corno, e tra i paggi e le mute
essi videro il prence partir.
Ripiccliiò la sibilla alla porta
dopo un anno. —Se al duca, o signori,
115questa vita, per voi giá si corta,
fosse d’uopo di dar, si dará? —
Le risposero i conti pastori:
— Ser lo duca, nel di che abbisogna,
né per sua, né per nostra vergogna
120potrá dir: — Coronai la viltá. —
E di fatti quel prence in battaglia
stretto un giorno da orrendi nemici,
quattro vecchi non cinti di maglia,
ma in cappello e casacca vulgar,
125presso lui combattendo felici,
lo fèr salvo quei quattro leoni,
che sui quattro cruenti blasoni
la bellissima vita lasciár.
Pellegrin, che vedrai queste valli,
130quest’informe cadente tettoia,
se tu chiedi, sostando su’ calli,
che è la casa dispersa laggiú,
ti diranno: — È magion di Savoia. —
E tu, còlto da un lampo improvviso,
135per quel nome un incredulo riso
non verrá su tuoi labbri mai piú.
Qual sia parte di suol che vi chiuda,
fiere salme dei quattro canuti,
fino all’ultimo di non sia nuda
140l’urna vostra di lauri e di fior.
Quando cadono i forti vissuti,
sigillando col sangue la fede,
di quei morti la patria è l’erede,
di quei nomi è custode il cantor.