Canti della guerra latina/Tre salmi per i nostri morti/Salmo III
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III
1. Io non ti mentovai, monte dell’ira, nominato dal nome dell’Arcangelo folgorante; non gridai verso te, monte di quattro gioghi, monte di quattro teschi, calvario della nostra passione.
2. Ma sì ti tacqui sopra gli altri luoghi, sopra gli altri carnai della salvezza, perché più mi cocessi nel mio petto, perché più mi grondassi e mi crosciassi nel mio profondo.
3. Quando la Patria segni nel suo numero invincibile il numero dei morti e il suo soffio moltiplichi con l’ansia degli insepolti, quale tra le schiere più disperate varrà mai quest’una che ancor si scaglia?
4. Quando nel giorno di giustizia, contro le nazioni immonde, i liberatori s’aduneranno a giudicare l’opra d’ognuno innanzi di partire e terra e mare, quali ossa avranno un tanto peso? qual misura di sangue sarà più colma?
5. Quando sopra il tumulto e sopra il crollo, sopra i regni dirotti e sopra le stirpi sradicate, sopra i naufragi e sopra i salvamenti, apparirà di sùbito la Musa ineffabile, chi le parrà più bello?
6. «Ecco, dunque, le armi son cadute dai pugni esangui. Dinanzi alla bellezza riaccesa, ora conviene rassegnare i morti. Guarda questi, contemplali in silenzio, alta eroina.
7. Non altrimenti nella greca selva giacevano i giovinetti uccisi dalla fiera o dal dardo, prima di trasmutarsi in fiore o in astro. Si compiace pur sempre l’artefice divino in questa creta. Guarda, o Novella.»
8. Io ti guardai, chinato sopra te, o figlio mio supino nella petraia fumigante, mentre tutti i gironi del monte atroce urlavano a furore. E l’immortalità ebbe il tuo vólto.
9. E la battaglia ebbe la tua bellezza. E il furore degli uomini ebbe da un dio un culmine silente. E la polla del sangue che colava calda dal tuo costato era bevuta dal duro scoglio.
10. O monte della sete, rocca di siccità, quanto bevevi! O Carso dalle bocche insaziabili, o squallido sepolcro sitibondo, un rosso fiume ai tuoi fiumi di sotterra aggiungi, se notte e dì t’abbeveri di strage?
11. Non si mescolano i due sangui avversi; ma ristagna l’impuro nelle schegge e pei botri, s’accaglia, e solo il puro corre profondamente rifiammeggiando pei meandri cavi.
12. Lo sanno i prodi: versano il sangue a gara. Lo sanno i prodi, e vuotano le vene. L’anima invitta spreme la ferita e smunge il cuore. L’ultima goccia è quella che più splende.
13. Nel bel Timavo dalle sette fonti scese a lavare il suo cavallo bianco un de’ gèmini eroi; né l’acqua oblia. Ma quest’emulo suo sanguigno è tutto gloria che ferve, gloria impetuosa.
14. È una piena di gloria senza foce. È una piena di gloria che ti cerca per isboccare in te, mare dei figli, nel tuo silenzio, gorgo del futuro.
15. Allora i morti avranno un nuovo cantico, e il deserto sarà santificato.