Canti della guerra latina/Tre salmi per i nostri morti/Salmo II
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II
1. In qual pianura, in qual chiostra di rocce, lungo quale fiumana, tra quali torrenti, sopra quale carnaio senza croci, in vista di qual città fumante, sarà oggi celebrato il sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo?
2. L’obice romba sul Monte Nero, il mortaio tuona sul Pedimonte. Tutto il Carso è fragore di ruina. Nella valle del Fella si combatte, ed in Plava selvosa; si combatte al traghetto di Canale, e nella conca di Plezzo dalle quattro gole.
3. Sono scrollate le guardie di Tolmino. Gradisca croscia, gialla di foglie e d’ira; rugghia l’Isonzo alle chiuse di Sagrado; e Monfalcone dall’artiglio veneto, co’ suoi scafi di ferro su le travi nere, arde in vista di Duino folgorato, rogo navale.
4. O Vescovo castrense, i tuoi fanti hanno parato il legno dell’altare con le coperte brune ove giacquero a notte entro la fossa, ove all’alba taluno sanguinò. Qualche grumo è forse tra le pieghe. Ma la tovaglia è candida, come la cima della Dolomite nel cielo eterno.
5. E v’è silenzio come in quell’altezza, silenzio inviolabile.
6. O Vescovo di Dio, primate della strage, oggi la tua preghiera ha per guglie le baionette in asta, per istromenti le batterie coperte, che s’intonano in coro come il saltero e il flauto, come il cembalo e la ceteca nell’alleluia.
7. Inginocchiate sono le tue milizie, sotto l’irta selva dei ferri chine le teste floride, chine le facce imberbi. Irta ed aguzza è la preghiera, e senza canto.
8. L’Operaia terribile trascorre dal primo all’ultimo e dall’ultimo al primo. Segna gli eletti. Metà ne prende. Tutti anche li prende. La lanugine brilla su le gote come su i pioppi l’oro dell’autunno.
9. Bello è taluno, come un iddio del Fòro. E dice il sacerdote: «Dal profondo io ti chiamai.» Dice l’antiste: «Giacciono nella polvere, addormentati sono nella polvere; perciocché il riposo di tutti egualmente sia nella polvere.»
10. Chiamali, o Patria. Dove sono i tuoi morti? Sollevali dal profondo, a uno a uno, ciascuno pel suo nome, e i sepolti e gli insepolti, e quelli che non han più viso, e quelli che son caldi tuttavia, quelli che cadono mentre tu respiri, proni o riversi.
11. Dove sono? Nei valichi dello Stelvio, nella gola del Braulio, tra le nere vette simili ai pinnacoli dei duomi, o alla soglia dei ghiacciai raggianti. Chiama, e numera.
12. Nel Tonale giacciono, sotto la punta d’Ercavallo grigia, nella malga o sul picco, là dove tagliarono la roccia come il boscaiuolo pone il conio e la scure nella rovere.
13. Dormono tra le nevi dell’Adamello e gli ulivi del Garda melodiosi, a Storo, ad Ampola, a Condino, ossa d’eroi su ceneri d’eroi, soavemente. Chiama, e numera.
14. Chiamali da Vai Daone, chiamali dal Ponale, e dalle rive del tuo Chiese cerulo dove si bagnarono ridendo, a modo di pastori, nel caldo giugno, quando le rupi rosee stillavano e i colli erano cinti d’allegrezza.
15. Chiama quelli che stanno su l’Altissimo, nella prim’alba della guerra preso come i leoni abbrancano la preda, con un sol balzo; e la rugiada fu la prima notte ne’ loro pugni, quando gli astri danzavano lungo gli orli del giorno e le radici del monte giubilavano.
16. Chiama quelli che caddero in Vallarsa scorgendo di lontano biancheggiare la dolce Rovereto tra i due scheggioni che parean vermigli del lor sangue fuggente; 17. e quelli tumulati sul Salubio, al limite del bosco, nel prato eguale ove fiorisce il colchico violetto come l’asfodelo, tra le baite esanimi;
18. e quelli fitti sotto l’Armentera travagliato di bolge qual monte di castighi, o stronchi sotto le rocche dei Titani, schiantati sotto le Pale rosseggianti, sotto i mastii di Lavaredo opachi, ai piedi delle Tofane crudeli, nelle ambagi di ghiaccio e di macigno,
19. essi gli assalitori senza grido, con le funi e coi ganci, coi raffii e coi ramponi, coi lor calzari taciti di corda, coi lor pugni più duri che manopole di piastra, coi lor cuori d’invitto diamante che brilla per gli squarci dei costati.
20. Chiama e numera. Quelli che gittarono incontro alle trincee fetide e cupe l’inno di giovinezza come fascio di raggi e caddero col canto puro nella gola aperta, sepolti nei tesori della neve, quelli udranno e verranno.
21. Chiama. Quelli che rimasero su la via di Vercoglia, in notte cauta, calzati d’astuzia, accanto ai loro carri cui aveano ben unto i mozzi e fasciato i cerchi d’umida paglia accanto ai fidi cavalli dagli zoccoli avvolti di lana, quelli udranno e verranno.
22. Chiama. Quelli che caddero in co dei ponti, su l’Isonzo selvaggio, che a mezzo lasciarono i ponti di fortuna costrutti nel buio col coraggio e col legno, che si persero fra le assi fendute, fra le barche sfasciate, fra le travi divelte, si voltolarono a valle, s’enfiarono d’acqua notturna, s’impigliaron ne’ vinchi o s’arrenarono presso alle foci, quelli udranno e verranno.
23. Verranno dalle balze della Val Dogna, dalla Forcella del Cianalot, dal Quaternà ripido e foggio, da tutta l’alpe indomata, gli assodatori di vie, eredi dell’arte di Roma, che per cemento diedero un sangue romano, che con le vene cementaron le selci.
24. Chiama, e numera. I frombolieri orgolesi dalle fionde di canape attorta scagliarono il fuoco e caddero, col rombo sul capo, col dito nel cappio, più belli del figlio d’Isai. Si leveranno al tuo grido, come nell’albe del Supramonte, girando la corda. 25. E il cacciator di camosci, piombato giù dal dirupo ch’egli solo calcò, rotolato col masso nel botro, si leverà di sotto alla mora.
26. E quelli che schiantò l’ala nembosa della Vittoria crosciando su la vetta di Plava, grideranno verso te ancor ebri d’assalto.
27. E colui che portò su le spalle il cadavere conteso e le prede e i trofei per entrar col fratello nel buio, tornerà col fratello alla battaglia.
28. Chiama, e numera. Lungo i recinti di Globna, lungo le trincere di Zagora, contro gli spineti di ferro, entro i ferrei forteti squarciati, al passo di Voraia, su la cresta di Vrata, sotto il Rombon tenebroso giacciono, in Saga dormono, in Oslavia sognano i tuoi morti;
29. e taluno ha la nuvola per sua coltre e la caligine per sue fasce; e taluno è covato dalla nuvola corusca, qual semidio che si rigeneri o si trasfiguri;
30. ed altri, che il nimbo irrespirabile avvolse, sta con la maschera in vólto, qual nell’occulto sepolcro il re larvato.
31. O Aquileia, donna di tristezza, sovrana di dolore, tu serbi le primizie della forza nei tumuli di zolle, all’ombra dei cipressi pensierosi.
32. Custodisci nell’erba i morti primi, una verginità di sangue sacro, e quasi un rifiorire di martirio che rinnovella in te la melodia.
33. La Madre chiama; e in te comincia il canto. Nel profondo di te comincia il canto. L’inno comincia degli imperituri quando il divino calice s’inalza. Trema a tutti i viventi il cuore in petto. Il sacrificio arde fra l’alpe e il mare.
34. Dice l’antiste: «L’acque se ne vanno via dal mare, e i fiumi si seccano e si asciugano. Così, quando l’uom giace in terra, ei non risorge. Finché non vi sien più cieli, i morti non si risveglieranno, e non si desteran dal sonno loro.»
35. Risponde il canto: «O Patria, ecco, noi siamo in piè, se tu di noi ti ricordi. Se tu ci chiami ancóra, eccoci alzati. Siamo le tue ossa e la tua carne. Conta il nostro numero nel tuo numero; e ricombatteremo.»
36. Dice l’antiste: «Come un monte cade e scoscende, come una rupe è divelta dal suo luogo, e l’acque rodono le pietre, così tu fai perire la speranza dell’uomo.»
37. L’inno risponde: «Noi la tua speranza l’abbiamo saziata di midolla e di sangue. Ella è tremenda come belva immane. Ponila innanzi a noi, che ci conduca dove tu vai; e ricombatteremo.»
38. Dice l’antiste: «O Dio, mia Rocca, perché mi hai tu dimenticato? Or io me ne vo vestito a bruno, per l’oppression del nemico, mentre mi è detto tutta notte: Dove è il tuo Dio?»
39. Conclamano gli eroi: «Signore Iddio delle vendette, o Iddio delle vendette, appari in gloria!
40. Quelli che stanotte hanno recato a noi buone novelle, sono stati una grande schiera e lieta. Sopra costoro e sopra noi non ha potestà la seconda morte. O Patria, eccoci alzati. Conta il nostro numero nel tuo numero; e ricombatteremo.»