Canti (1831)/La vita solitaria
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La mattutina pioggia, allor che l’ale
Battendo esulta ne la chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s’affaccia
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti
Stille tramanda, a la capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e ’l primo
De gli augelli susurro, e l’aura fresca,
E le ridenti piagge benedico;
Poichè voi, cittadine infauste mura,
Vidi e conobbi assai, dove si prende
Lo sventurato a scherno; e sventurato
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Benchè scarsa pietà pur mi concede
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese. E tu pur volgi
Da i miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciaure e gli affanni, a la reina
Felicità servi o natura. In cielo,
In terra amico a gl’infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.
5Talor m’assido in solitaria parte,
Sopra un rialto, al margine d’un lago
Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
10Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, nè batter penna augello in ramo,
Nè farfalla ronzar, nè voce o moto
Da presso nè da lunge odi nè vedi.
15Tien quelle rive altissima quiete;
Ond’io quasi me stesso e ’l mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
20Co’ silenzi del loco si confonda.
Amore amore, assai lungi volasti
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
25Nel fior de gli anni. Mi sovviene il tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s’apre
Al guardo giovenil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
30Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s’accinge a l’opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
35Amor, di te m’accorsi, e ’l viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che ’l pianger sempre.
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
40Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
O qualor ne la placida quiete
D’estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro a le ville soffermando,
45L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Che a l’opre di sua man la notte aggiunge
Odo sonar ne le romite stanze
L’arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
50Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri ne le selve; e duolsi
A la mattina il cacciator, che trova
55L’orme intricate e false, e da i covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
De le notti reina. Infesto scende
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l’acciaro
60Del pallido ladron ch’a teso orecchio
Il fragor de le rote e de’ cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon de l’armi e con la rauca voce
65E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo
Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil che de gli alberghi
70Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
De le ardenti lucerne e de gli aperti
Balconi. Infesto a le malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
75Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi
M’apri a la vista. Ed io soleva ancora,
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar ne gli abitati lochi,
80Quand’ei m’offriva al guardo umano e quando
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice de l’etereo campo,
85Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
Errar pe’ boschi e per le verdi rive,
O seder sovra l’erbe, assai contento
Se lena e core a sospirar m’avanza.