Canti (1831)/Alla sua donna

XVI. Alla sua Donna

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La vita solitaria Al conte Carlo Pepoli

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Cara beltà che amore1
Lunge m’insegni o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
5O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che da l’oro ha nome,
Or leve intra la gente
10Anima voli? o te la sorte avara,
Ch’a noi t’asconde, a gli avvenir prepara?

     Viva mirarti omai
Nulla spene m’avanza;
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
15Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,

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Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
20Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
Ti fosse al volto, a gli atti, a la favella,
Saria, così conforme, assai men bella.

     Fra cotanto dolore
Quanto a l’umana età propose il fato,
25Se vera e quale il mio pensier ti pinge,
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fòra
Questo viver beato:
E ben chiaro vegg’io siccome ancora
Seguir lòda e virtù qual ne’ prim’anni
30L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto a i nostri affanni;
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo indìa.

     Per le valli, ove suona
35Del faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m’abbandona;
E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta
40Speme de’ giorni miei; di te pensando,

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A palpitar mi sveglio. E potess’io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’alta specie serbar; chè de l’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

     45Se de l’eterne idee
L’una se’ tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
50O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
55Questo d’ignoto amante inno ricevi.

Note

  1. [p. 121 modifica]„La donna, cioè l’innamorata, dell’autore, è una di quelle immagini, uno di quei fantasmi di bellezza e virtù celeste e ineffabile, che ci occorrono spesso alla fantasia nel sonno e nella veglia, quando siamo poco più che fanciulli, e poi qualche rara volta nel sonno, o una quasi alienazione di mente, quando siamo giovani. In fine è la donna che non si trova.„ Nuovo Ricoglitore di Milano, anno I p. 160.