Canti (1831)/Il risorgimento
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Credei ch’al tutto fossero
In me, sul fior de gli anni,
Mancati i dolci affanni
De la mia prima età:
5I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.
Quante querele e lagrime
10Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancar gli usati palpiti,
L’amor mi venne meno,
15E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!
Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita;
La terra inaridita,
20Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.
25Pur di quel pianto origine
Era l’antico affetto:
Ne l’intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l’usate immagini
30La stanca fantasia:
E la tristezza mia
Era dolore ancor.
Fra poco in me quell’ultimo
Dolore anco fu spento;
35E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
40Il cor s’abbandonò.
Qual fui! quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrì ne l’alma un dì!
45La rondinella vigile,
A le fenestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:
Non a l’autunno pallido
50In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle;
55Invan sonò la valle
Del flebile usignol.
E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi de’ gentili amanti
60Primo, immortale amor,
Ed a la mano offertami
Candida ignuda mano;
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.
65D’ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
70Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Ne lo spossato sen.
Qual de l’età decrepita
L’avanzo ignudo e vile,
75Io conducea l’aprile
De gli anni miei così:
Così quegl’ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
80Il cielo a noi sortì.
Chi da la grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
85Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?
Siete pur voi quell’unica
90Luce de’ giorni miei?
Gli affetti ch’io perdei
Ne la novella età?
Se al ciel, s’ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
95Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.
Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
100Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?
105Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi de la speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
110Natura, e i dolci inganni:
Sospiro in me gli affanni
L’ingenita virtù;
Non l’estirpar: non vinsela
Il fato e la sventura:
115Non la domò la dura
Tua forza, o verità.
Da le mie vaghe immagini
Ben so che il ver discorda:
So che natura è sorda,
120Che miserar non sa.
Del nostro ben sollecita
Non fu; de l’esser solo:
Fuor che serbarci al duolo,
Or d’altro a lei non cal.
125So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.
Che ignora il tristo secolo
130Gl’ingegni e le virtudi;
Che manca a i degni studi
L’ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
135So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.
Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
140Quel bianco petto in se.
Anzi d’altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d’un celeste foco
Disprezzo è la mercè.
145Pur sento in me rivivere
Gl’inganni aperti e noti;
E de’ suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest’ultimo
150Spirto, e l’ardor natio;
Ogni conforto mio,
Tutto da te mi vien.
Mancano, il sento, a l’anima
Alta, gentile e pura,
155La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
160Chi lo spirar mi dà.