Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte II - Capitolo IX | Parte II - Capitolo XI | ► |
CAPITOLO X.
Candido continua i suoi viaggi. Nuove avventure.
Camminò Candido lungo tempo senza saper dove dirigersi; prese finalmente la risoluzione di portarsi in Danimarca; dove avea inteso dire che le cose andavano molto bene. Si trovava ancora qualche po’ di denaro regalatogli dall’armeno, e con questo modesto peculio lusingavasi di finire il viaggio. La speranza gli rese sopportabile la miseria, ed egli passò qualche momento tranquillo. Capitò un giorno in un’osteria con tre viaggiatori; che gli parlavano con calore del pieno e della materia sottile. — Benissimo, dicea fra sè Candido; questi son filosofi. — Signori, diss’egli loro, il pieno è incontrastabile: non v’è vuoto nella natura, e la materia sottile è benissimo immaginata. — Voi siete dunque cartesiano, dicono i viaggiatori. — Senza dubbio, risponde Candido, e, quel ch’è più, seguace di Leibnitz. — Tanto peggio per voi, soggiungono i viaggiatori; Cartesio o Leibnitz non avevano senso comune. Noi altri siamo neuttoniani, e ce ne gloriamo, e se si disputa, è solamente per affondarci ne’ nostri sentimenti, e siamo tutti d’un istesso parere. Cerchiamo la verità sulle tracce di Newton, perchè siamo persuasi che Newton è un grand’uomo. — Anco Cartesio, anco Leibnitz, anco Pangloss, disse Candido, son grandi uomini, che non cedono a un altro. — Voi siete un bell’impertinente, amico caro, replicarono i filosofi; conoscete voi tutte le leggi della refrangibilità dell’attrazione? del moto? Avete voi letto le verità che il dottor Clark dà in risposta a’ sogni del vostro Leibnitz? Sapete voi che cosa sia la forza centrifuga, e la forza centripeta? Sapete voi che i colori dipendono dalle grossezze? Avete voi qualche idea della luce e della gravitazione? Conoscete voi il periodo di venticinquemila novecentoventi anni, che per disgrazia non s’accorda colla cronologia? No, senza dubbio. Voi non avete delle cose che un’idea falsa. Chetatevi dunque, monade miserabile, e guardatevi d’insultare i giganti con paragonarli a pigmei. — Signori, rispose Candido, se Pangloss fosse qui vi direbbe di gran belle cose, giacchè egli è un gran filosofo. Egli ha un sommo disprezzo pel vostro Newton e come suo discepolo, non ne ho nemmen io troppo caso.
I filosofi, inveleniti di rabbia, se gli gettarono addosso, e il povero Candido fu battuto veramente alla filosofica.
La loro collera s’ammansì, chiesero perdono a Candido di quella vivacità, e quindi un di loro prese a parlare, e fece un bellissimo discorso sulla dolcezza e la moderazione.
Nel mentre che stavan parlando, ecco si vede passare un magnifico funerale, che diede occasione a’ nostri filosofi di ragionare sulla ridicola vanità de’ mortali. — Non sarebb’egli più ragionevole, disse un di loro, che i parenti e gli amici del morto portassero da sè la bara funebre, senza pompa e senza susurro? Questa trista incombenza con rappresentar loro l’idea della morte, non produrrebb’ella in loro il più salutare effetto, e il più filosofico? Questa riflessione che verrebbe da sé: Il corpo che io porto è quello del mio amico, è quello del mio parente. Egli ha finito d’essere, e così devo far io nè più nè meno, non sarebb’ella capace di risparmiar molti delitti a questo globo sciagurato, e di ricondurre sulla buona strada quegli esseri che credono nell’immortalità dell’anima? Purtroppo gli uomini son portati a sbandir da sè; il pensiero della morte, perchè sia a temersi di presentarne loro delle immagini troppo vive. Perchè allontanare da questo spettacolo una madre e una sposa piangente? Le voci lamentevoli della natura, lo acute strida della disperazione, onorerebbero molto più le ceneri di un defunto, che tutti questi individui abbrunati da capo a’ piedi, questa ciurma di ministri, che salmeggiano allegramente delle preci che non intendono.
– Benissimo detto! rispose Candido. Se voi parlaste sempre così, senza che vi venisse il ticchio di picchiar la gente, voi sareste un gran filosofo.
I nostri viaggiatori si separarono profondendosi in attestazioni di confidenza e d’amicizia. Candido, pigliando la strada di Danimarca, entrò dentro a un bosco, e rimuginando fra sè tutte le sciagure occorsegli nel miglior de’ mondi possibili, escì di strada e si smarrì. Il giorno cominciava a calare quando s’accorse dello sbaglio: si perdè di coraggio, ed alzando tristamente gli occhi al cielo appoggiato ad un tronco d’albero il nostro eroe par veduto trionfar la calunnia e la frode; non ho cercato che di far bene al prossimo, e ne sono stato perseguitato: un gran re mi onora del suo favore, e mi fa dare cinquanta nerbate solenni; arrivo con una gamba di legno in una bellissima provincia, e vi gusto i piaceri, dopo essermi abbeverato di fiele e d’amarezza; arriva un abate, io me ne fo il protettore; egli s’insinua alla corte, ed eccomi costretto a baciargli i piedi... Incontro il mio povero Pangloss, ma solo per vederlo bruciare... Mi trovo con de’ filosofi, la più dolce e più sociabile specie animale dell’universo, e mi picchiano senza misericordia. Bisogna che tutto vada bene, giacchè Pangloss l’ha detto, ma non per questo non son io il più sciagurato di tutti gli esseri possibili.
Interruppe Candido il suo parlare per porgere l’orecchio a delle altissime strida che sembravano escir da un luogo vicino. S’avanza per curiosità e se gli presenta allo sguardo una giovine che si strappava i capelli con tutti i segni della più fiera disperazione. — Chiunque voi siete, gli diss’ella, se avete cuore in petto, seguitemi! S’accompagnano, e avean fatto appena pochi passi che Candido vede stesi sull’erba un uomo e una donna. Dalla loro fisonomia traspariva la nobiltà del loro animo e della lor nascita, e le loro sembianze, benchè contraffatte dal dolore che provavano, avevano tanta nobiltà, che Candido non potè fare a meno di compiangerli e di cercar con una viva premura la cagione che avevali ridotti in sì compassionevole stato. — Questi che voi vedete son mio padre e mia madre, gli disse la giovinetta, sì; gli autori son questi degl’infelici miei giorni (continuò ella gettandosi precipitosamente fra le loro braccia). Fuggivano per evitare il rigore di una ingiusta sentenza; io compagna della lor fuga, ero abbastanza contenta di divider con essi le loro sciagure, e di pensare che fra’ deserti, ove andavano ad albergare, queste mie deboli mani avrebbero potuto procurar loro il necessario alimento. Ci siamo fermati qui per pigliare un poco di riposo; ho scoperto l’albero che vedete, e il suo frutto mi ha tradita. Oh Dio, signore, io sono una creatura in odio all’universo e a me stessa. S’armi il vostro braccio per vendicar la virtù offesa, per punire un parricidio. Ferite! Questo frutto... Io ne ho presentato a mio padre e a mia madre, essi ne han mangiato con piacere, ed io mi applaudivo d’aver trovata la maniera di smorzar loro la sete che tormentavali; me infelice! La morte avevo lor presentata: questo è veleno!
Raccapricciò Candido a questo racconto, se gli rizzarono i capelli sul capo, e un sudor freddo gli scorse per tutto il corpo. S’ingegnò, per quanto permettevangli le circostanze, di dare ajuto a quella sfortunata famiglia; ma il veleno aveva già fatto troppo progresso, e i più efficaci rimedj non avrebber potuto arrestarne il funestissimo effetto
– Cara figlia, unica nostra speranza, esclamarono i due infelici, perdona te stessa, come noi ti perdoniamo. Un eccesso in te di tenerezza è quel che ci toglie la vita... Generoso straniero, degnatevi aver cura de’ suoi giorni, ella ha il cuor nobile e formato alla virtù; questo è un deposito, che lasciamo alla vostra mano, infinitamente per noi più prezioso, che tutta la nostra passata fortuna... Cara Zenoide, ricevi i nostri ultimi baci; mescola le tue colle nostre lacrime. Oh cielo che deliziosi momenti son mai questi per noi! Tu ci hai aperta la porta della prigion tenebrosa in cui da quarant’anni languivamo. Tenera Zenoide, noi ti benediciamo. Ah non possa tu mai scordarti di quelle lezioni che ti ha dettate la nostra prudenza, e possan queste preservarti da quell’abisso che vediamo aprirtisi sotto i piedi!
Spirarono nel pronunziar queste ultime voci. Candido durò gran fatica a far ritornare in sè Zenoide. La luna avea illuminato la lacrimevole scena, e compariva già il giorno senza che Zenoide, immersa in una cupa afflizione, avesse ancor ripreso l’uso de’ sensi. Appena ebb’ella aperto gli occhi, prega Candido di fare in terra una fossa per riporvi i cadaveri, e vi lavorò anch’ella con un maraviglioso coraggio. Compito questo dovere, lasciò libero il corso al pianto. Il nostro filosofo la trascinò lontano da quel luogo fatale, e camminarono un pezzo senza tenere una strada fissa, finchè scopersero una capannaccia.
Due persone sul declive degli anni abitavano quel deserto; esse s’ingegnarono d’apprestar tutta l’aita, che la lor povertà offrir poteva, allo stato lacrimevole de lor prossimi. Questi due vecchi eran quali ci vengon dipinti Bauci e Filemone; da cinquant’anni gustavano le dolcezze dell’imeneo, senz’averne assaporato mai le amarezze; una sanità robusta, frutto della temperanza e della tranquillità dello spirito, semplici e dolci costumi, un fondo inesausto di schiettezza nel lor carattere; tutte le virtù che l’uomo non riconosce, che da sè stesso, formavano l’appannaggio accordato loro dal cielo. Erano essi la venerazione di tutti i vicini villaggi i cui abitanti immersi in una rusticità felice, avrebbero potuto passar per gente da bene, se fossero stati cattolici. Si facevano essi un dovere di non lasciar mancar nulla ad Agatone e Suname (tale era il nome de’ due vecchi sposi) e la loro carità si stendeva a nuovi ospiti. – Oh mio caro Pangloss, diceva Candido, che peccato che voi siate stato bruciato! Avevate ben ragione; ma non è in alcuna parte dell’Europa o dell’Asia che tutte le cose van bene; è solo nell’Eldorado, dove non è possibile d’andare, e in una capannuccia situata nel luogo più freddo, più arido, più spaventevole della terra. Quanto piacere avrei a sentirvi qui ragionare dell’armonia prestabilita e delle monadi! Oh quanto volentieri passerei io i miei giorni fra questi luterani dabbene, sennonchè mi converrebbe rinunziare al privilegio d’andare alla messa, e riserbarmi ad esser lacerato nel Giornale cristiano.
Candido aveva un gran desiderio di saper le avventure di Zenoide; ma non le richiedeva per discretezza, ed ella che se ne accorse soddisfece alla di lui impazienza, parlando in tal guisa.