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madre, essi ne han mangiato con piacere, ed io mi applaudivo d’aver trovata la maniera di smorzar loro la sete che tormentavali; me infelice! La morte avevo lor presentata: questo è veleno!

Raccapricciò Candido a questo racconto, se gli rizzarono i capelli sul capo, e un sudor freddo gli scorse per tutto il corpo. S’ingegnò, per quanto permettevangli le circostanze, di dare ajuto a quella sfortunata famiglia; ma il veleno aveva già fatto troppo progresso, e i più efficaci rimedj non avrebber potuto arrestarne il funestissimo effetto

– Cara figlia, unica nostra speranza, esclamarono i due infelici, perdona te stessa, come noi ti perdoniamo. Un eccesso in te di tenerezza è quel che ci toglie la vita... Generoso straniero, degnatevi aver cura de’ suoi giorni, ella ha il cuor nobile e formato alla virtù; questo è un deposito, che lasciamo alla vostra mano, infinitamente per noi più prezioso, che tutta la nostra passata fortuna... Cara Zenoide, ricevi i nostri ultimi baci; mescola le tue colle nostre lacrime. Oh cielo che deliziosi momenti son mai questi per noi! Tu ci hai aperta la porta della prigion tenebrosa in cui da quarant’anni languivamo. Tenera Zenoide, noi ti benediciamo. Ah non possa tu mai scordarti di quelle lezioni che ti ha dettate la nostra prudenza, e possan queste preservarti da quell’abisso che vediamo aprirtisi sotto i piedi!

Spirarono nel pronunziar queste ultime voci. Candido durò gran fatica a far ritornare in sè Zenoide. La luna avea illuminato la lacrimevole scena, e compariva già il giorno senza che Zenoide, immersa in una cupa afflizione, avesse ancor ripreso l’uso de’ sensi. Appena ebb’ella aperto gli occhi, prega Candido di fare in terra una fossa per riporvi i cadaveri, e vi lavorò anch’ella con un maraviglioso coraggio. Compito questo dovere, lasciò libero il corso al pianto. Il nostro filosofo la trascinò lontano da quel luogo fatale, e camminarono un pezzo senza tenere una strada fissa, finchè scopersero una capannaccia.

Due persone sul declive degli anni abitavano quel deserto; esse s’ingegnarono d’apprestar tutta l’aita, che la lor povertà offrir poteva, allo stato lacrimevole de lor prossimi. Questi due vecchi eran quali ci vengon dipinti Bauci e Filemone; da cinquant’anni gustavano le dolcezze dell’imeneo, senz’averne assaporato mai le amarezze; una sanità robusta, frutto della temperanza e della tranquillità dello spirito, semplici e dolci costumi, un fondo inesausto di schiettezza nel lor carattere; tutte le virtù che l’uomo non riconosce, che da sè stesso, formavano l’appannaggio accordato loro dal cielo. Erano essi la venerazione di tutti i vicini villaggi i cui abi-