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Divorzio

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DIVORZIO


Alessandro Dumas commise uno strano errore alla pagina 231 del suo libro sul divorzio. Egli credette che la legislazione italiana in fatto di matrimonio ci permettesse di optare tra il codice e la religione, tra il contratto civile indissolubile e il sacramento cattolico facile a vendere ragioni di nullità. Invece qui, come allora in Francia, una legge assurda regola questa materia, ed un coniuge può ben essere ladro, infame, galeotto, che l’altro innocente è incatenato a lui ed alla sua infamia senza speranza di infrangere mai la catena. Qui, come allora in Francia, non resta che la separazione civile, uno de’ più insufficienti e ridicoli mezzi termini che siano usciti dai cervelli rammolliti de’ dottrinari. Per l’adulterio non c’è altra pena che la irrisoria di qualche giorno di carcere pronunciata fra le grasse risa del pubblico, se pure non si ricorra al tuez-la, spicciativo mezzo di divorzio che il pubblico ap[p. 202 modifica]plaude ed i Giurati assolvono. Il libro del Dumas è quindi buono per noi come allora pe’ francesi, buono pei legislatori di Parigi e di Roma, inascoltato probabilmente dai conservatori dell’una e dell’altra nazione. Qui, come in Francia allora, i liberali per ridere applaudirono benevolmente, salvo poi ad agire come consigliano l’abate Vidieu e l’abate Margotti; poichè questa è la logica pratica dei liberali juste-milieu.

Eppure anche questi liberalucci annacquati confessano che la famiglia è malata e tocca nei suoi più intimi organi di vitalità. Non c’è bisogno di credere alla umoristica ironia di Onorato Balzac ed agli ameni calcoli coi quali nella Fisiologia del matrimonio cerca il numero delle donne oneste in Francia, per accorgersi che dappertutto in questi poveri paesi latini e cattolici ferve un processo di dissoluzione gravissimo. Bastano le statistiche ufficiali che c’insegnano quanto diminuiscano i matrimoni e quanto cresca il vizio. Ma questo per certi ingegni che vivono in sfere ultramondane e cantano virtuosi ideali, questo non è vero, o almeno è spregevole verismo occuparsene; salvo poi rovesciare tutta la colpa addosso al verismo che se ne occupa se qualche terribile infiammazione viene a suppurare. La verità fa paura. Veritas odium parit.

Dove l’organismo della famiglia è più tocco, è in Francia. Si grida alla corruzione, e il Trochu, buon’anima sua, aggiungeva corruzione italiana. Può darsi che, non trovando un calmante nella famiglia come ora è costituita, gl’istinti brutali che pure bisogna ri[p. 203 modifica]conoscere, accettare e regolare nell’uomo, cerchino una soddisfazione nella corruttela. Ma accade un altro fatto che limita assai questa pretesa corruzione latina. Se le nascite legittime diminuiscono, non crescono nemmeno le illegittime: il che significa chiaramente che si sfugge da molti, e dai più, tanto la famiglia che il vizio. È la teoria del Malthus che riceve la sua pratica applicazione, ed era ben naturale che là dove gli effetti di questa sterilità calcolata si fanno sentire più vivamente, appunto sorgessero le grida di spavento e le proposte di rimedio. Così il Naquet intraprese una campagna in favore del divorzio, il più immediato dei presunti rimedi, e perorò, scrisse, ed occupò l’Assemblea legislativa. Così il Dumas, brillante e spiritoso polemista, ha messo alla berlina i luoghi comuni cattolici e conservatori dell’abate Vidieu. Così Paolo Féval, già romanziere irreligioso e poi convertito alle massime dei gesuiti, fa inevitabilmente ridere di pietà misurandosi col suo antico collega.

Infatti si può dire che l’unica ragione la quale impedisce a certi legislatori di sanzionare il divorzio, è il rispetto ipocrita che conservano ancora verso la religione cattolica. Bella ragione in verità, dopo che con tanti pomposi discorsi e con tante leggi ambigue o paurose si volle far credere di aver proclamato e sanzionato la completa separazione dello Stato dalla Chiesa! Intanto al divorzio ripugnano i soli Stati cattolici, vili ancora in faccia alla Chiesa e imbecilli troppo per saperla vincere nelle coscienze de’ volghi. Noi che abbiamo nel diritto pubblico [p. 204 modifica]quella strana e vergognosa abdicazione di una parte delle prerogative regie costituzionali e popolari che è la legge delle guarentigie, noi siamo una prova pur troppo evidente della debolezza degli Stati latini come sono costituiti e della miserabile impotenza delle classi dirigenti, papaline ancora nel midollo delle ossa. E la Chiesa, che lo sa, resiste a questa agitazione pel divorzio, certa che tutti i conservatori paurosi saranno con lei. Grida che l’unica salvezza in questo sfacelo del progredire è nel regredire; che bisogna tornare al sacramento e sopprimere il contratto; che bisogna allevare famiglie cristiane, cattoliche romane, e ritornare con loro alla pia quiete del medio evo, se si vuole che príncipi e ricchi possano dormire in pace. E príncipi e ricchi ascoltano volentieri queste parole favorevoli ai loro interessi, senza accorgersi che la Chiesa non è mossa in questo dall’amore dell’umanità, ma dall’ambizione del dominare. I divorzi li vuol vendere lei sotto aspetto di nullità; la morale non c’entra. A questo modo il divorzio è peccato per le popolazioni latine presso le quali troviamo le più belle chiese del mondo, il maggior numero di preti ricchi e di poveri rassegnati, e il peggior stato delle famiglie e la più tollerata immoralità. Chi alza la voce è o scomunicato o ribelle. Le nazioni protestanti ci assestano di quando in quando fior di legnate, ma noi ce ne consoliamo pensando che siamo latini e cattolici, che Dio le punirà, che se siamo più immorali, la confessione ci assolve, e che la rivincita deve venire perchè è predetta nell’Apocalisse. Anche [p. 205 modifica]questa è una consolazione che ci dà la Chiesa. Beati noi!

E a questi pregiudizi, a questi errori facili negli animi timidi o superstiziosi, risponde molto bene il Dumas. Pare impossibile, ma certi luoghi comuni che la Chiesa adottò per bisogno di polemica, non sapendo trovar di meglio, sono entrati a far parte del bagaglio sofistico dei nostri conservatori. Gli enciclopedisti, secondo costoro, hanno fatto la rivoluzione francese e Lutero la Riforma. Eppure ci voleva e ci vuol poco a capire che gli incolpati non hanno trovato se non la formola nella quale si è espressa la protesta contro tutto un passato di prepotenza, di delitti, di sacrilegi, operati dai Re e dalla Chiesa a pregiudizio dei sudditi e dei fedeli. Non è Lutero che ha fatto la Riforma, ma tutti i peccati e le nefandezze e le simonie papali. Non è Rousseau che ha fatto la rivoluzione, ma le oppressioni, gli arbitri, le libidini dei Capetingi. Lutero e Rousseau non fecero che trovar la parola che trascinò tutti quelli che soffrivano e non la potevano trovare. Essi gridarono avanti! e trovarono un popolo che li seguì, non per gusto di seguirli, ma perchè i suoi padroni gli avevano fatta una necessità della ribellione. È inutile maledire l’Enciclopedia e Lutero. Bisognava maledire Leone X quando vendeva le indulgenze e Luigi XV quando scendeva sino alla Dubarry. Bisognava maledire la Dateria e la Bastiglia e non sperare nella Restaurazione e nel Sillabo; e ricorrere agli sgomenti dello spettro rosso è opera perfettamente ridicola se si crede di poter frenare con que[p. 206 modifica]sto l’irrompere, l’infuriare degli interessi offesi col pretesto di questa paura. Non sono i sofismi che muovono o fermano gli avvenimenti, ma le necessità sociali: non sono gli eloquenti discorsi che hanno ragione nei tornei parlamentari, ma i bisogni che rappresentano; e se i Parlamenti o le classi dirigenti resistono, allora si infrangono fatalmente i cancelli e gl’interessi dei meno vengono travolti sotto quelli dei più e le riforme s’impongono e dopo pochi anni avviene di maravigliarsi come i legislatori siano stati tanto balordi da negare il provvedimento, il rimedio, persino la discussione. Così avverrà per molte questioni vivacissime oggi, tra le quali il divorzio non è che uno di quei rimedi palliativi che la cecità dei legislatori respinge.

E lo stesso Dumas, per quanto vegga bene e descriva meglio quel che c’è d’anormale nella nostra società e l’urgente bisogno di rimedi, se si vuole, non già per evitare, chè non si può, ma rendere meno disastroso lo scoppio necessario, si ferma anch’egli sul limitare del problema, quasi spaventato dalla sua orribilità. Anch’egli spera di arrivare alla conoscenza di Dio per mezzo della scienza, speranza unica e, temiamo, fallace, nella quale si rifugiano coloro che tremano dell’avvenire che intravedono. Spera anch’egli di giungere a conoscer Dio, cioè la nostra ragione di essere, il perchè siamo, il dove andiamo: e il suo Dio lo esaudisca. Ma c’è da temere purtroppo che l’uomo, sbugiardata la rivelazione, si fabbrichi inutilmente un Dio colle sue proprie mani e col suo proprio cervello. Questo Dio, nè carne nè [p. 207 modifica]pesce, dei razionalisti, potrà soddisfare qualche coscienza di poca curiosità e di facile calma, ma non corrispondere alle impazienze, alle aspirazioni delle masse di poca intelligenza. Varrà la pena di trovare dentro di noi questo semi-Dio della scienza, quando ci sarà sempre chi griderà o tutto o nulla?

Il Dumas lo fa notare. Discutendo del divorzio si pensa e si parla sempre degli interessi dei coniugi, dell’interesse dei figli, dell’interesse dei terzi: ma chi ricorda mai gli sciagurati che non hanno interessi perchè hanno le sole braccia per vivere, e sono i più? Ora è appunto là che la famiglia è in isfacelo e che si richiedono provvedimenti radicali; è appunto là che sono i pericoli maggiori pei figli, per le donne, pei deboli. Ma i politici sfuggono dal guardare in basso, sorridono a chi parla dell’avvenire. Quando un Ministro ha ricordato in pubblico questa prevalente classe di diseredati che ha fame e comincia a dirlo, tutti hanno gridato alla minaccia, alla retorica, al giacobinismo, ed hanno sciolto inni di giubilo alla salvezza del pareggio. Eppure all’immensa maggioranza della nazione, quella che non paga niente perchè non possiede niente, il pareggio non importa: essa preferisce che il pane costi meno. Ma a costoro non si bada, altro che per osservare come il paese dorma nella calma più perfetta. Oh, non hanno mai sentito dunque la quiete profonda che precede i temporali?

Per questo stato latente di tensione, per questa evoluzione dissolutiva che si compie negli strati inferiori mentre alla superficie tutto è tranquillo, è da [p. 208 modifica]credere che il divorzio non sia che una transazione prossima, ma non una soluzione del problema della famiglia. La rinnovazione deve necessariamente essere più radicale, tanto ne’ rapporti tra i coniugi con una differente legislazione sui diritti della donna ed una educazione relativa, quanto nei rapporti colla prole con profonde alterazioni nel diritto di eredità. Infatti lo stesso Dumas ci avverte che la diminuzione dei matrimoni e delle nascite dipende dall’applicazione pratica delle teorie malthusiane. La famiglia costa, si stenta a campare; è dunque meglio essere in pochi. Ora, per modificare questo stato di cose, il divorzio basta? No; bisogna essere logici fino in fondo, cercare che la vita sia possibile a tutti e non martirio pei più. Se si potrà campare, se potranno campare i figli, i matrimoni e le nascite cresceranno. È ben naturale che chi vive di rendita, o di lavoro grassamente retribuito, gridi all’utopia. Ma il problema è là, nè giova fingere che non esista. Quelli che trovano troppo rivoluzionario il divorzio sono serbati a veder di peggio, ed allora purtroppo sarà inutile nominare Commissioni.