Bizzarrie/Carta bianca e carta nera
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CARTA BIANCA E CARTA NERA.
A chi vedesse due alti colli in un magazzino, dei quali uno di carta tutta bianca e l’altro di carta stampata, e fossegli domandato qual credesse essere di maggiore pregio, che cosa gli converrebbe rispondere? Secondo ragione di naturale discorso la carta stampata senz’altro, ma secondo quello che abbiamo da’ fatti la carta bianca. Carta bianca da stampare è poco men che denaro; carta stampata egli è presso a poco come avere dei sassi. A quella tutti guardano con ansietà, da questa tutti ritirano gli occhi con raccapriccio. Onde questo? Per la poca voglia che c’è di leggere, dirà taluno; ma quando questa poca voglia nocesse alla carta stampata, dovrebbe nuocere per egual maniera anche all’altra, che può chiamarsi materia prima da essere lavorata e resa abile al commercio degli stampatori. S’è mai udito che ove i tessuti di seta fossero scapitati di pregio, salisse in riputazione la cura de’ bachi? Bisogna guardare più su chi voglia trovare il vero motivo di questa troppo sensibile stravaganza.
La carta bianca è campo aperto alle speranze di una moltitudine di persone, che in esso sperano di poter gettare, con non piccolo loro profitto, quelle varie sementi che riceverono, o si credono aver ricevuto dalla natura. Il letterato ci verserà entro le sue storie, i suoi poemi, o che altro la penna obbediente saprà mettere insieme (la penna che molte volte ancora fa da sé, senza che il cervello se ne voglia immischiare per nulla); il tipografo ci spiegherà le belle regole di proporzione che ha saputo concepire nel proprio intelletto, e si studierà a trovar modo, che nella battaglia tra l’economia dell’editore e l’economia de’ lettori, questi ultimi ne rimangano colla peggio; i librai e gli accaparratori d’associati metteran fuori le loro ciance a magnificare il merito dell’ultimo arrivato nel concorso delle cose stampate, senza voler parlare di più altre persone, che, qual a questo, qual a quel modo, aspettano dalla carta bianca la redenzione di molte pene che li travagliano.
Ma quella carta è pur alla fine stampata! L’autore vi ha fallite le sue speranze, in quanto che dopo la pubblicazione dell’opera non ebbe che censure, o la lode che ne ottenne non fu a grande pezza proporzionata alla sua aspettazione. Oh avesse a tornare da capo! Oh potesse radere quelle nere righe via dalla carta! Benedetta la carta bianca, su cui non possono i morsi de’ giornalisti, e i frizzi de’ legislatori delle conversazioni! E il tipografo? Il dabben uomo ebbe a soffrire le bizzarrie dell’autore, tutto quel tempo che la stampa è durata; e ad ogni foglio che toglieva al torchio per riporlo nel magazzino sentiva crescersi il cuore, fino al giorno in cui ordinò che si dessero fuori le carte colorate per le coperte. Fu quello il giorno che sogliono i muratori piantare di sopra la fabbrica il palo con la tabella inghirlandata di foglie, e cantare viva. Ma dopo quel giorno? Continue repliche di corrispondenti che non sanno che si fare del libro, che loro da mesi marcisce negli scaffali, dopo esser stato inutilmente esposto sul davanzale della bottega tra le novità, da più che una settimana. E le noie tollerate? E il capitale impiegato? Oh potesse tornar carta bianca quella sì alta massa di carta stampata! Benedetta la carta bianca, ch’è denaro vivo e fumante! E via con questo discorso per quante sono le persone che s’impacciano in simil genere di negoziati.
Se per altro aveste a rivedere indi a poco autore e tipografo, li credereste guariti dopo quella prima esperienza? Conobbero il pregio della carta bianca, ma non per questo cessarono di affaccendarsi a imbrattarla con ogni potere. Eh! dicano pure i giornalisti, io scaricherò loro addosso, nella prefazione che metterò in fronte all’altra opera che sto componendo, tale un rovescio di eloquenza controversistica che ne rimarranno balordi. Oltre che in questo nuovo scritto mi guarderò da quelle mende, che mi furono notate con troppo minuta censura, ed hanno frequenti riscontri anche nei libri di maggior fama. Ma bisogna accordarsi ai tempi e all’umore de’ leggitori. Esce fuori il secondo lavoro, e non ha miglior fortuna del primo; e l’autore rinnova pel terzo quel discorso stesso che fatto avea pel secondo, e così fino all’ultimo de’ suoi giorni e de’ suoi lavori. Il tipografo per altra parte s’immagina aver fatto senno dopo il primo tentativo. D’ora innanzi mai più opere nuove, al più al più una qualche ristampa con correzioni ed aggiunte. E poi più corrente la stampa, e quindi il prezzo più modico, che faccia abilità fino allo scolaretto di venirne all’acquisto. Fuori quest’altra edizione; nuove lagnanze dei librai, e i magazzini ingombri come prima di carta stampata, che rende lo stesso fetore dell’acqua stagnante.
A volere però parlare schiettamente, non siamo presso a poco tutti nella condizione appunto di quell’autore e di quel tipografo, che hanno formato finora il soggetto delle nostre derisioni? Non è carta bianca per ognuno quell’oggetto, qualunque si fosse, nel quale ripose la propria speranza; non diventa carta stampata subito che la speranza venne all’atto? E non torniamo di nuovo a metterci sulla strada dello sperare, dopo ancora la trista esperienza che ne abbiamo fatto? Così è, e così deve essere della nostra natura, la quale, ove cessasse da questa continua e travagliosa vicenda, il mondo, di così vario ed animato ch’egli è, si muterebbe in uniforme e silenzioso, nè altro in esso vedrebbonsi che persone desiderose di morire per essere libere dalle noie dell’aspettare. Non vuolsi pertanto condannare affatto questa rinascente speranza, nè credere che fosse minore la pazzia di chi o nessuno esperimento facesse, o fatto il primo, si rimanesse dal più tentarne. Solo che dal vedere come la più parte delle nostre speranze non ottengano il loro effetto, o l’ottengano manchevole ed imperfetto, impariamo a camminare con più cautela, e nel fabbricarci un incerto domani non spendiamo con troppo inconsiderata prodigalità la certezza dell’oggi. La vita, fu detto, e fu detto bene, è come un foglio di carta bianca, su cui tanto può scriversi un vigliettino amoroso, quanto una sentenza di morte. Che dunque? Non presumere che le debbano tutte esser rose, e per alcune spine che ci trafiggono non darsi così subito al disperato. Scrivere e poi distornare alcune parti della scrittura per riporvene delle migliori, è quello che si fa da tutti i maestri di stile; ma conchiudere ogni nostro studio col cancellare è un pò troppo. Anche qui s’intende acqua, non il diluvio. A chi si volge indietro a leggere nella pagina della propria vita, e ci trova di molti sgorbii, certamente non gode l’animo; ma dovrà egli per questo augurarsi che fosse tal pagina su cui nulla potesse leggersi, né in bene nè in male, come gli sciagurati che non fur mai vivi?