Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
326 |
ca. Carta bianca da stampare è poco men che denaro; carta stampata egli è presso a poco come avere dei sassi. A quella tutti guardano con ansietà, da questa tutti ritirano gli occhi con raccapriccio. Onde questo? Per la poca voglia che c’è di leggere, dirà taluno; ma quando questa poca voglia nocesse alla carta stampata, dovrebbe nuocere per egual maniera anche all’altra, che può chiamarsi materia prima da essere lavorata e resa abile al commercio degli stampatori. S’è mai udito che ove i tessuti di seta fossero scapitati di pregio, salisse in riputazione la cura de’ bachi? Bisogna guardare più su chi voglia trovare il vero motivo di questa troppo sensibile stravaganza.
La carta bianca è campo aperto alle speranze di una moltitudine di persone, che in esso sperano di poter gettare, con non piccolo loro profitto, quelle varie sementi che riceverono, o si credono aver ricevuto dalla natura. Il letterato ci verserà entro le sue storie, i suoi poemi, o che altro la penna obbediente saprà mettere insieme (la penna che molte volte ancora fa da sé, senza che il cervello se ne voglia immischiare per nulla); il tipografo ci spiegherà le belle regole di proporzione che ha saputo concepire nel proprio intelletto, e si studierà a trovar modo, che nella battaglia tra l’economia dell’editore e l’economia de’ lettori, questi ultimi ne rimangano colla peggio; i librai e gli accaparratori d’associati metteran fuori le loro ciance a ma-