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ma di carta stampata, che rende lo stesso fetore dell’acqua stagnante.

A volere però parlare schiettamente, non siamo presso a poco tutti nella condizione appunto di quell’autore e di quel tipografo, che hanno formato finora il soggetto delle nostre derisioni? Non è carta bianca per ognuno quell’oggetto, qualunque si fosse, nel quale ripose la propria speranza; non diventa carta stampata subito che la speranza venne all’atto? E non torniamo di nuovo a metterci sulla strada dello sperare, dopo ancora la trista esperienza che ne abbiamo fatto? Così è, e così deve essere della nostra natura, la quale, ove cessasse da questa continua e travagliosa vicenda, il mondo, di così vario ed animato ch’egli è, si muterebbe in uniforme e silenzioso, nè altro in esso vedrebbonsi che persone desiderose di morire per essere libere dalle noie dell’aspettare. Non vuolsi pertanto condannare affatto questa rinascente speranza, nè credere che fosse minore la pazzia di chi o nessuno esperimento facesse, o fatto il primo, si rimanesse dal più tentarne. Solo che dal vedere come la più parte delle nostre speranze non ottengano il loro effetto, o l’ottengano manchevole ed imperfetto, impariamo a camminare con più cautela, e nel fabbricarci un incerto domani non spendiamo con troppo inconsiderata prodigalità la certezza dell’oggi. La vita, fu detto, e fu detto bene, è come un foglio di carta bianca, su cui tanto può scriversi