Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Luigi Pianciani

Luigi Pianciani

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Felice Ostini Giuseppe Pocaterra

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PIANCIANI CONTE LUIGI


SINDACO DI ROMA





SS
e scrivendo dei Consiglieri Comunali di Roma dopo il Settembre 1870 ci avesse preso vaghezza di fare con ciò una illustrazione ad alcune famiglie, la briga ch’avremmo dovuto prenderci d’ispolverare stemmi e pergamene ci avrebbe dato un compenso più lusinghiero forse, che quello non sia di analizzare dei semplici uomini. E posciachè molti la nullità propari amerebbero coprire con le gesta degli avi, ed altri ambirebbero che da lontani tempi il proprio nome si ripetesse, così negli anni che corrono facile cosa riescirebbe allo storico senza coscienza incastellare genealogie ed avvenimenti; e come i lacrimatoi, i lucernari, le medaglie, e cento altri ninnoli di antichità, si falsano, e si spacciano siccome preziosità archeologiche, così le glorie, le virtù, le rare doti, quasi patrimonio preziosissimo si potrebbero asseverare trasmesse da lontanissime generazioni, chè il popolo ornai beve grosso, nè riflette che intelligenza, valore, virtù, sono qualità che passano con l’individuo, e che il successore può ereditare il nome ed il censo, ma gli atti giammai.

In tanta copia poi di nomi, quali latini puro sangue, e quali greci, o delle cento razze che vissero nella Roma pagana; nei mille e mille importati dall’imperio o sorti con il papato, ed elevati a titolo principesco; quindi nei mille altri di capitani di ventura calati spesso a strazio d’Italia e divenuti celebri per censo senza scrupoli acquistato, sarebbe riescito facilissimo ancora appiccicare a qualche moderno [p. 168 modifica]ambizioso un nome, e fare scopo di ridicola passione ciò che in altri avrebbe valso ad eccitamento di un forte sentire; tale essendo la condizione del secolo nostro, che le nullità amano rigonfiarsi e si fanno chiamar grandi se il vento degli stolti le pallonzola alquanto, mentre chi ha vero merito per mente e per cuore deve il più spesso vivere all’oscuro, disdegnando il contatto con le prime.

Ma da tali pericoli possiamo tenerci immuni, dacché degli uomini in Campidoglio non delle loro famiglie ci siamo proposti di scrivere. E ben facemmo, chè storia spiacentissima di contraddizioni veniamo così ad evitare; perchè di sovente accade che chi sorse con la libertà, questa postergando, fautore caldissimo divenga di potere assoluto; e chi ebbe vita nel guelfismo, per amore di novità, non per convincimento, qualche volta per interesse siasi fatto ghibellino, pronto a ritornar guelfo alla prima favorevole occasione. Misteri, potrebbero questi chiamarsi del cuore umano, se per essere troppo comuni dir non si dovessero condizioni di natura.



Havvi un’epoca nella storia d’Italia bellissima e gloriosa più che altra mai; l’epoca dei Comuni. Di sotto alla maggiore oppressione del feudalismo, i vescovi ed i conti s’erano andati elevando. in potere, padroneggiando nelle terre fortificate, ma a poco a poco Sotto l’impero le città impresero a fare da sé, il cittadino divenne soldato, e la propria forza sulla debolezza dei vescovi e dei conti costituendo, poterono le città medesime allargar le proprie franchigie, si restrinse l’idea di patria, perchè limitata alla cerchia della torre natia, ma brillò la splendida libertà del Municipio.

In questa epoca parlasi della famiglia Pianciani di Spoleto; e che due sieno stati senatori di Roma parteggiando pei ghibellini, che un altro dal Barbarossa abbia avuti incarichi dilicati, ne discorre il Leo con altri storici. - Di ciò solo volemmo dar cenno, come a ricordo che nella famiglia Pianciani le tradizioni liberali dovrebbero essere vivissime, se la origine in buona epoca per alcun che potesse influire.

Pianciani conte Luigi, nacque in Roma nell’agosto del 1810. Giovane ancora, compìti gli studi legali, pe’ quali aveva mostrato particolare inclinazione, ottenne la laurea, e poco appresso ebbe nomina di avvocato nel Tribunale della Rota. Negli ultimi anni del pontificato pare a Gregorio XVI poco piacesse che il Pianciani si facesse gratuito difensore di loro che come ribelli alle leggi dello Stato doveano subire severa condanna, così che nominollo direttore generale delle Dogane, e tosto lo promosse ad Ispettore generale. Strana forma di esprimere i propri divisamenti che si aveva così papa Gregorio! Era una ricompensa per il Pianciani, siccome dottissimo in quella parte d’amministrazione? Era un torsi dinnanzi l’avvocato che pronunziava qualche frase impropria per quel tempo? Il Pianciani lasciò la toga [p. 169 modifica]per le dogane. - Eccoci all’epoca dei nomi. - Nel 1847 i cittadini di Spoleto votando con grande maggioranza il nome di Luigi Pianciani, venne desso indicato per Gonfaloniere sotto il ministero Mamiani: il tempo precipitava, chi voleva un nome doveva farsi innanzi, e Pianciani lasciato il posto di Gonfaloniere si fece soldato; eletto maggiore nello Stato maggiore del generale Zucchi, rinunziò, per partire alla difesa di Venezia in qualità di capitano. Ritornò ad aver nomina di maggiore nel 3° reggimento dei volontari, poi divenne colonnello del medesimo, fu posto al comando del distretto di Badia nel Veneto, quindi passò a Venezia.

Ma le sorti della guerra volgevano funeste; il Veneto fu abbandonato, Venezia sola rimase ardita sfidando il fuoco dello straniero, la fame, la peste; e mentre su di ogni altro punto d’Italia ripiegavasi il tricolore, a Roma doveva sventolare ancora per poco. Il Pianciani lasciato il comando delle truppe, dopo aver stornata in Urbino una rivolta che la reazione aveva preparata, venne a Roma quale deputato all’Assemblea Costituente.

In Ancona pare venisse fatto segno ad un attentato, dai più attribuito a vecchie ruggini che qualche doganiere verso di lui aveva tenuto, attentato però che non ebbe conseguenza alcuna per la intromissione di personaggi influenti. Raccontasi poi che mentre Roma dibattevasi fra le orride strette dell’assalto, e delle risoluzioni per una disperata resistenza, il Pianciani uscendo di Roma cadesse in una imboscata, e fatto prigioniero dai francesi, da costoro patisse villania ed ingiuria. - Caduta la Repubblica romana il Pianciani emigrava in Francia, forse per avere colà quella soddisfazione che non era riuscito a conseguire sotto le mura di Roma. - Quale fu la di lui vita a Parigi? - Essa era rientrata nella cerchia privata, e come tale non ispetta a noi l’evocarla, qualunque sia il giudizio che amici o malevoli possano trarre sopra il Pianciani in quell’epoca.

Da Parigi passato in Londra conobbe Mazzini, e nella emigrazione mostrossigli amico: se reduce in patria, e venuto in Campidoglio, la devozione e l’affetto verso l’esule abbia modificato, e morto, non più abbia trovato in sè le ragioni per prestare quella onoranza che tributavagli Italia, noi diremo; bastando che i Romani rammentino ciò che avvenne in Campidoglio nello anniversario, per una semplice corona che da alcuni sarebbesi voluto deporre nella protomoteca.

Il processo politico che nel 1852 fece compiere il governo ponteficio, comprendeva ancora nella sentenza di condanna il Pianciani, in uno al Mazzini ed a molti dei principali attori del 1848 e 1849.

A Londra intanto aveva il Pianciani stretta relazione con alcuni dei più celebri emigrati, e più che con altri costumò con A. Saffi, Louis Blanc, Victor Hugo, Herden; il tempo occupava in istudi sociali, e la voglia di discorrere disfogava spesso nei funerali, perchè per poco che di una persona si sapesse, non mancava il Pianciani di encomiare sulla fossa o la solita virtù cittadina od il tanto elastico amore di [p. 170 modifica]patria, chè nelle emigrazioni od in ispeciali circostanze politiche nulla riesce più facile dello avere amici che morti vi piangano e la terra quasi abbrunino per la perdita amarissima, e vi erigano un monumento di elogi per virtù e per atti che forse non passarono manco per il pensiero, ma che sopra una bara si devono dire, non istimandosi buono che chi muore in certi tempi, non dev’essere stato e grande e virtuoso e magnanimo. È vero che di sovente si fanno servire di pretesto i morti perchè dei vivi si discorra; comunque sia, una finzione più, una meno, ciò non altera il carattere del nostro secolo che vive di fittizio, di esterno, di accidentale.

A Jersk pubblicavasi un giornale repubblicano L’hom, ed il Pianciani che il repubblicanismo aspirava per tutti i pori della pelle, in quello collaborava, e le idee ora sotto la forma poetica, entusiasta, propria dell’Italia, ora sotto quella matematica, calcolatrice dell’Inghilterra, esponeva, ritraendo fama di colto e simpatico scrittore. A Londra finalmente quale membro con il Montecchi di una associazione per aiuto degli emigrati, potè a parecchi essere di giovamento.

Ma nel 1857 saputo come il padre suo fosse a fine di vita, desideroso di rivederlo e di chiudergli gli occhi in pace, venne in Italia, e dal Piemonte domandò al governo ponteficio il libero passo per Roma. - Non potè ottenerlo. - Strinse relazione con Garibaldi, passò nel Belgio, in Isvizzera, e ricomparve nel 1860, disposto a formare un corpo di cinque colonne per favorire un moto garibaldino sul territorio romano. Nel 1863 fu fra i promotori della associazione elettorale italiana: nel 1865 eletto in vari collegi a primo scrutinio optò per Spoleto, entrò in Parlamento, e sedette alla estrema sinistra, dove ancora rimane: nel 1866 arruolossi guida nello Stato maggiore di Garibaldi; venne aggiunto al Comando, aggregato alla brigata Haug, e per i combattimenti d’Ampola e Bezzecca fu insignito dell’ordine militare di Savoia. - Dopo la campagna del 1866, Spoleto lo abbandonava per il Campello; Bozzolo lo chiamava a sè, lo faceva suo rappresentante. Nel 1867 messosi a disposizione di Garibaldi, avuto il comando di un corpo, ebbe parte nella presa di Monte Rotondo, poi entrò a Tivoli per congiungorsi con le colonne Nicotera, Salomone.

- E dopo Tivoli appese la camicia rossa, ritornando alla Camera per sostenere l’abolizione del privilegio dei chierici nella leva militare, e per combattere Macinato e Regìa. Propugnò il decentramento amministrativo; parlò sempre per la occupazione più sollecita ed incondizionata di Roma, adoperossi a che venissero impedite le esecuzioni capitali di Luzzi ed Aiani, finalmente nel 1870 inviò a Roma armi e danaro per la.insurrezione.

Dopo il 20 Settembre 1870, ecco il Pianciani in Roma, fondare con Montecchi il Circolo Romano, i Comitati romani per il plebiscito, e nelle prime elezioni amministrative venire portato in Campidoglio.

Il Campidoglio!..... Al conte Luigi Pianciani doveasi fino d’allora aprire dinnanzi l’immenso quadro della Roma che fu, o di quella che essere dovrebbe.

[p. 171 modifica]Nella storia di Roma trovasi sotto ai re un popolo che si unisce, si ordina, e pare si disponga ad acquistare e possedere que’ vantaggi che il libero reggimento dà anche senza trono: nella repubblica, guerriero e legislatore percorre il mondo, strugge la barbarie, e con il fuoco della latina civiltà scalda le genti più riottose che strisciavano come serpi sulle arene dell’Africa, o come orsi si rintanavano fra le roccie più silvestri del Settentrione; poi come oppresso per troppo peso di allori si piega, si lascia cadere per istanchezza, si fa letto delle spoglie nemiche, si abbandona nelle voluttà, le canzoni di amore sostituisce agli inni di guerra, rinnega Pallade e Minerva per Venere, si ubbriaca fra le finzioni, e segna la curva cadente della propria parabola nel primo secolo dell’impero. Dalla fiacchezza va alla corruzione, dalla corruzione alla ferocia; quindi si pasce di sangue nei Circhi siccome prima lo aveva aspirato dai nemici nelle più lontane regioni; mollezza nella famiglia, immoralità nello Stato; cadono le ultime foglie della virtù, di grande non rimangono che le tombe. Il cristianesimo rianima l’ignavia e l’egoismo; scende nelle tane dove le femmine erano sacre alla prostituzione, e gli uomini alla morte per dare spettacolo ai ricchi; chiama tutti figli di un padre, eguali in un diritto, fratelli in una fede, in un amore; purifica; dall’orrido sensibile solleva verso un insensibile che affascina ed attrae; rompe le ali all’aquila, pianta la croce. - Passano quindici secoli: feste e ribellioni rompono appena la’ monotonia degli anni che si succedono e si imitano; si distrugge e si rifabbrica; pare che ogni generazione vivente odi la passata, e che ogni memoria di quella voglia cancellare; non si vive ma si vegeta; i ricchi oziano, i poveri elemosinano: sotto all’impero v’era la tessera per la quotidiana distribuzione di pane e carne, sotto al papato vi sono trecento conventi che aprono ogni giorno la porta a migliaia di pitoccanti.

Il cannone del 20 settembre atterra tutto un mondo: fra l’immense rovine stà il Campidoglio.

Il Campidoglio!..... Il nuovo governo presso i discendenti di Pier Capponi affondò siccome in letto bene sprimacciato; presso i discendenti di Cola da Rienzi sentì il rimbalzo. Il nome solo di Roma era una splendida epopea: anche fra un popolo di dormienti viveva lo spirito delle tre grandi civiltà di che fu sede.

Dal Campidoglio però doveasi ad altra cosa mirare. Gli avanzi di dieci colossei, di venti archi, di cento colonne storiche, di trecento templi, tutti questi splendidi ricordi del passato, potevano essere di compenso ai più costretti di mendicare loro vita a frusto a frusto? Quello inesprimibile diletto che inebbria pel riaffacciarsi che fa alla mento a somiglianza di vaga fantasmagoria il ricordo di venticinque secoli, poteva lasciar contenti gli uomini della pubblica cosa, senza un pensiero serio e vivo di materiale miglioramento?.....

A tutto ciò avrà forse posto mente il Pianciani nello entrare in Campidoglio, mentre il voto universale designavalo a Sindaco. - Repubblicano, siccome erasi per lo [p. 172 modifica]addietro addimostrato, doveva certo pensare alle fondamentali riforme che si sarebbero dovute introdurre per dare alla popolazione un indirizzo che corrispondesse nella dignità all’antico civis romanus, e che per iscopo tendesse a portare quei benefizi che una retta e disinteressata economia può sola arrecare: democratico, quale era apparso dai suoi atti antecedenti, doveva conoscere i bisogni delle singole classi, e provvedere perchè il lusso smodato non offendesse la nobile severità della miseria, nè questa ricevesse ingiuria con soccorso che non fosse frutto di lavoro: cittadino romano doveva sentirsi stringere l’anima al confronto delle superbe basiliche, degli immensi monasteri, dei vastissimi palazzi, con vicolettacci stretti, umidi, scuri, dove in vere tane nascono, vegetano e muoiono i successori dei Quiriti, di dove sfugge alla mattina e torna a stagnare ogni notte il torrente umano, mescolanza di uomini, di donne, di bestie, di cose, di età, di sessi, di salute, di malattie, fra un’aria ch’è fumo, vapore, la nebbia incoerente dell’incubo, tenebra di sogni, abbarbagliamento di luci, di figure, fra cui perdesi financo il concetto di quella triste commedia che la fede e l’indifferentismo, la beneficenza e l’oziosità, la ricchezza e la miseria rappresentano sciaguramente nella grande città dei sotte colli.

Quali idee portava il Pianciani in Campidoglio?..... In sul principio lasciò molto a desiderare, e quando gli si domandava una parola, un atto che fosse segno di vita, i suoi amici rispondevano «pazienza! deve raggiungere una meta, acquistarsi la fiducia, e poi Roma ne avrà vantaggio ed onore.»

Egli è quivi dovere di giustizia accennare come moltissimi ostacoli gli si sieno elevati contro, per non volersi dare a Roma un Sindaco che nel Parlamento sedesse sui banchi della sinistra. Ma quando da ogni canto sorsero le domande che almeno per titolo di saggio, l’intelligenza, il cuore, la esperienza del Pianciani si mettessero alle prove, in allora più accaniti e più studiati furono i mezzi per avversarlo; senza che quelli si sieno risparmiati del ridicolo ghignante sopra una congiurata impotenza. Il buon volere ed il coraggio non parvero venirgli meno, ma bastavano?..... Il Pianciani fungendo le funzioni di Sindaco aveva dinnanzi a sè l’avvenire, e stava ad esso il modellarlo secondo le idee proprie. Il Pianciani vedeva il deserto cingere la città di Roma come una fascia mortuaria; non agricoltura, non industria, non commercio; ma una popolazione avvezza fin dal tempo più remoto a vivere sul forestiere, o sul Vaticano: vedeva il governo fare suo pro di Roma come in città di conquista, nè punto curarsi come le grandi masse vivessero, alloggiassero, cibassero: vedeva migliaia di famiglie bisognose della emozione della osteria, si finisca pure con il coltello o nella prigione o nel cimitero, perchè male può vivere, o semplicemente respirare il lavoratore nei covili che si chiamano abitazioni per i poveri: vedeva i figli abbonanti le domestiche stamberghe inondare ancor tenerelli le vie, e perduto ogni profumo d’innocenza, ogni sentimento di pudore, annegare nella morta gora dell’ozio e del vizio. Questo quadro lercioso ma vero, ributtante ma bisognevole troppo di [p. 173 modifica]provvedimenti, avrebbe dovuto animare il Piancani per un efficace rimedio. Se l’uomo può respirare un’aria non avvelenata in famiglia, non più sente impetuosissimo il bisogno del divagamento nella osteria; se la donna può raccogliere intorno a sè i figli, sono allontanati i maggiori pericoli della prostituzione; se nasce il desiderio al lavoro, e se questo è pronto per ogni richiedente, si moralizza, si educa, si migliora economicamente, scompare la miseria, la pitoccheria speculativa, si formano gli operai e gl’industriali. Ha pensato a ciò il Pianciani? Forse che il provvedere a tali classi era appalesarsi per un socialista?....

Non intendiamo con ciò di muovere biasimo troppo severo alla amministrazione del conte Luigi Pianciani: da un voto generale era salutato il solo uomo possibile; con grande aspettazione fu studiata l’opera sua: in oggi?.. molti sono i desideri che rimangono insoddisfatti. Forse chi sale in alto vede le cose con diversa misura di chi rimane al basso; ma spesso v’è il capogiro; la mente s’annebbia, i colori si confondono, si sta in alto perchè aggrappati, guai abbandonarsi! il corpo precipita. Forse le difficoltà s’aumentano da ambizioni e da interessi che chi opera con giustizia non sempre può soddisfare; e poi v’ha il dente dell’invidia e l’ira di partito e l’astio di casta; ma sovTa tutto v’ha la pubblica coscienza che non s’inganna, e chq le azioni perscrutando, gli uomini giudica in rapporto ai doveri assunti ed al bene operato.

La fede politica del Pianciani, avealo fatto supporre uomo superiore alle debolezze di chi passa la vita sbadigliando fra i saloni delle corti: i molti anni passati all’estero davano lusinga che uomo uso fosse di larghe vedute, sì che in breve un nuovo impulso economico si sarebbe dato alla città: il suo carattere indipendente e fermo prometteva ancora che impavido avrebbe guardato oppositori ed avversari per attendere franco al benessere che con tanta fiducia da esso solo speratasi. - Diremo noi che tali aspettazioni sieno rimaste deluse?

Errori il Pianciani ne commise; ma poichè la sua nomina definitiva di Sindaco non data che dal 24 luglio 1873, così possiamo anche dire ch’esso trovasi sul principio della via, e che stà alla mente ed al cuore suo il rendersi benemerito di Roma e della civiltà. Se esso crede che a Roma il carattere di Sindaco importi l’essere politico di un ordine piuttostochè d’un altro; oppositore di quanto ai partiti estremi talentasse, distruttore di tradizioni e di memorie, innovatore minuzioso di quanto spetta al più semplice edile; creda il conte Luigi Pianciani che tale non sarebbe il Sindaco voluto da Roma. Il Campidoglio non ha altare per adorazioni politiche, è un campo aperto dove si dissoda il terreno dell’avvenire: agricoltura, industria e commercio sono i tre primi punti dell’azione; miglioramento delle classi laboriose, affratellamento con la troppo elevata; moralità e prosperità nella famiglia, indipendenza dallo Stato se invadente, nodo fra quella e questo se retto; ecco per quale via può il Sindaco mostrare ai cittadini di corrispondere alla generale fiducia; il che per [p. 174 modifica]nulla è impossibile o difficile ad un uomo che come il conte Luigi Pianciani all’ardito pensiero sappia e voglia unire la fermezza e la costanza dei propositi.

Un ultima parola ci rimarrebbe a scrivere come commento alle opere pubblicate dal Pianciani; ma queste si risolvono per il più in alcune manifestazioni di idee politiche amministrative. Degno di qualche riflesso sarebbe il suo studio sulla Riforma delle prigioni nello Stato Romano; meno critico nel lato storico riesce l’altro lavoro pubblicato a Londra nel 1859 la Roma dei papi: confondibile con cento mille opuscoli che fanno più rumore in tipografia che in sulla piazza, è quello pubblicato in Milano nel 1860 sull’andamento delle cose in Italia: le sue confutazioni ai discorsi di Cambray-digny e di Sella ritraggono il deputato di sinistra; migliore fra tutti è forse il volume sul discentramento amministrativo, e di massimo interesse per Roma, non che di vantaggio ove seriamente venisse applicato, è l’opuscolo-progetto sulle opere di Beneficenza, ch’esso vorrebbe partite in grandi quadri con efficaci provvedimenti, nella lusinga che per tale via si potesse e la miseria cronica correggere, ed il vagabondaggio speculativo distruggere, e la pubblica carità ridurre seriamente attiva secondo lo scopo della sua origine per una parte, secondo i bisogni e le esigenze dei tempi per un’altra. Non ripeteremo che lo stile sia l’uomo, poiché da quello non sapremmo ben conoscere il Pianciani; mentre malgrado le debolezze del carattere, gli errori spesso necessari, e le difficoltà che gli resero in fino ad ora faticoso il procedere, amiamo giudicarlo uomo che sappia volere, e che volendo possa portare in Campidoglio non la grettezza di comuni passioni, ma l’idea del vero e solo bene amministrativo.







Roma 1873. Tip. Caggiani, Santini & C.