Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Ignazio Ciampi
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CIAMPI CAV. IGNAZIO
Consigliere Municipale
Ciampi Ignazio in oggi cavaliere fra la schiera sterminata degli ascritti alle onorifiche confraternite dei soliti Santi Maurizio e Lazzaro, e della Corona d’Italia, e Consigliere Comunale, ebbe i natali in Roma nel 1826 da famiglia proba e di conveniente fortuna provveduta perchè data al commercio. — La prima gioventù fugli funestata da grave sciagura domestica, avendogli morte crudelissima rapita con il colèra-morbus la sorella Regina nel 1887, della quale amante appassionato più che il vincolo di sangue o l’età tenerella importassero, patì molto per l’amara dipartita, nè valsero a confortarlo i molti elogi che poeti e prosatori fecero della defunta celebrata per bellezza e peregrina virtù. — Studiò il Ciampi nel Collegio Romano, e laureossi alla Università di Roma nel 1846: dedicossi a studiare storia e letteratura sotto la direzione del professore abate Rezzi, e parve sotto a questi di voler darsi tutto in braccio alle Muse, siccome quelle che lo avrebbero illuso ma non deluso.
L’entusiasmo che infiammò i Romani nel primo tempo del pontificato di Pio IX, i rivolgimenti politici che successero a quell’epoca di viva gioia o di tripudio, attrassero ed avvolsero nelle loro spire vertiginose lo stesso Ciampi, e quantunque giovanissimo fu segretario del Circolo Romano; però non andò più in là, e Marte non giunse a trascinarlo sui campi insanguinati della Lombardia, della Venezia e poi di Roma. Anzichè in lorica si mise in toga, quale uditore della Consulta di Stato; nel marzo 1849 fu addetto al ministero di Grazia e Giustizia, ma appresso alla restaurazione licenziossi, e lasciata Roma andò peregrinando di città in città raccogliendo cronache e documenti per pubblicare poi alcune sue opere.
Raccolse in nota stampata ciò che scrisse e pubblicò, ma in tempo nel quale qualunque studentino l’arieggia da letterato, e mille giornali e diecimila opuscoli mostrano come si possa stampare anche senza saper scrivere, e come sia facile darsi nome in pubblico spropositando cinquanta linee sovra un periodico, certo appare almeno per leggiera ambizione l’aver sognato in istampa anche gli articoli pubblicati su qualche periodico. — Lavori buoni però ne ha il Ciampi, ed una stampa seria e severa fece cenno dei migliori con vera imparzialità di giudizio. Fra questi ne piace rammentare le Cronache e Statuti della città di Viterbo, di che il Ciampi ebbe larga soddisfazione nello elogio tributatogli sulla Gazzetta Universale di Augusta dal distinto storico Gregorovius. — Non minore in merito è la Storia di Demetrio, dell’Agrippina del Nord, e la Città Etrusca, ove ricordò il più memorabile. Nè rammentiamo gli altri, che troppo il parlarne dall’assunto nostro ci allontanerebbe; basti il far sapere che quando uno scrittore fra i suoi critici ha i nomi di Tommaseo, Bersezio, Atto Vannucci e gli scrittori della Civiltà Cattolica, può essere contento siccome per segno che le sue pagine non furono giudicate foglia leggiera che il vento in ventiquattr’ore travolge e disperde, ma che furono raccolte e lette, e stimate meritevoli di una parola che ne rammentasse la esistenza.
E con ciò abbiamo detto quanto basta del Ciampi come letterato. Più difficile riesce forse il discorrerne come di uomo politico, dappoichè appresso alla restauraziono del governo pontifìcio nel 1849 non diessi vivo ad alcun partito, chè quà pareagli il sacerdotale troppo in opposizione alle generali aspirazioni del tempo, là il repubblicano troppo spigliato ed audace nel dare guerra a tutto ed a tutti, quindi il monarchico-unitario essere un composito di sangue di drago e di grani d’incenso, un po’ di bonetto frigio sormontato dalla croce, un po’ di croce ridotta a spada, e le vecchie leggi e costumanze e massime conservatrici fatte fodero di quella spada che poteva un dì sfoderarsi da un re, ma passare poi in mano di un ardito o di un despota. L’unificazione d’Italia, se pure il Ciampi la intravedeva, atterrivalo, quasi per esso impresa perigliosa e compromettente; ed i monarchici savoiardi che le repubbliche di Venezia e di Roma tentavano far dimenticare perchè dai popoli si celebrassero solo le gesta dei conti di Morienna ora con Dio ed ora contro la disciplina della sua Chiesa, dinnanzi al nostro Consigliere apparivano per quella turba che Dante chiamò vissuta senza infamia e senza lodo, appunto perchè senza una fede viva, determinata, sicura. — Fu prudenza o fu tema? fu rotto consiglio o fiacchezza d’animo? — Noi nol diremo, le vicende politiche di questi tempi ci hanno avvezzato a giudicare mala cosa il non avere una fede determinata; chè l’altalena è brutto giuoco, e meglio fa un nemico franco e leale, che non sia un uomo senza colore e senza spirito.
Nello avvicendarsi poi della vita politica gli atti tutti del passato si chiamano ad esame, e chi non ha azioni e bandiera riesce in dubbio, e raro è che acquisti la importanza e la forza donata all’uomo che francamente ha militato; amico o nemico di chi ha vinto, ciò non monta, chè anzi il più spesso avviene che il nemico audace prenda per sè la parto migliore nel bottino di sua sconfitta, e si presenti reciso con il dire: «ciò voglio e tengo perchè oggi mi unisco al vincitore.» E gli amici si trovano di sovente a serenare la notte, dopo che la casa propria hanno perduta sperando riaverla migliore nella patria una e libera.
Il commento fa al caso, e ci trarrebbe a lavorar di forbice: lasciamo quindi anche il panno della politica, e riparliamo solo dell’uomo Ignazio Ciampi.
Vestì la toga nel Tribunale della Rota di dove uscì avvocato nel 1855, e volendo esercitare anche nella parte penale, mentre i civilisti del tempo vi si sdegnavano, dedicossi con impegno sommo in difese, dove all’intelletto richiedevasi molto cuore, e fra queste trattò quella per la sommossa di Trastevere e per il seguito eccidio in casa Aiani, causa che se fu prima per la importanza, fu seconda nel suo esercizio, perchè di altra sommossa trasteverina egli aveva gl’imputati difesi ed in parte salvati. — Le difficili cure del foro divise con i più cari lavori della penna, e poetò e scrisse commedie e racconti, e le vite di vecchi uomini commentò, e così isfuggendo la politica, nè per quanto avveniva molto interessandosi, giunse tranquillo al settembre 1870.
L’aver esso avuta parte in parecchi processi politici, fu ragione perchè dal nuovo governo ricevesse l’incarico di rivedere le buccie a quelli che si erano fatti dal governo pontificio specialmente negli ultimi tempi. — L’incarico poteva essere bene affidato per la intelligenza e la integrità di carattere nel Ciampi, ma quale campo spinoso non gli si dava mai a districare? — La è storia in tutti i governi che ne’ Tribunali la passione politica spesso predomini sulla vera giustizia, senza osservare poi la giustizia stessa essere parola, e molte volte senza correlativo. Raro avviene che chi signoreggia non abbia ragione in Tribunale, e che giudici, per quanto si vantino integerrimi ed indipendenti, dacchè il dirlo costa poco, non subiscano l’influsso generale della forma di governo predominante. La giustizia vera è dunque un accidente, che ove così non fosse, non si vedrebbe un Tribunale dar contro alla sentenza dell’altro, e chiamarsi sempre giusto ciò che l’ultimo ha sentenziato; e quando il governo cambia, quei giudici stesssi giudicare per intimo e retto ed indipendente convincimento, reità ciò che sotto il governo, che ebbero appena cessato di servire, giudicavano devozione e buon rispettò alla sacra legge, e per contrario plaudire alle manifestazioni verso il nuovo regime, mentre poco tempo innanzi le aveano condannate. — E solo chi si desse briga di porre a fianco dei nomi dei giudici ciò che molti fra essi sentenziarono allorchè stavano al soldo del Pontefice, dell’Austria, del Borbone, severemente condannando in nome della giustizia e per la propria intemerata coscienza, chi avesse fatto un viva all’Italia e per la sua unificazione cospirato, con ciò che in oggi sentenziano contro chi fa voti per qualcuno dei caduti sovrani, vi sarebbe materia di che lungamente ridere, se a paro con il riso non sorgesse amara la domanda, dove sia la giustizia, quale sentenziamento per coscienza sia attendibile, e se nello giudicare dell’onore e della vita dei cittadini sia inspiratore non il retto giudizio ma l’interesse del posto. Che se siffatti pensieri nascono dinnanzi ai processi politici, quanti ancora e più gravi non ve ne hanno in ciò che può riguardare i delitti comuni? Quanti onesti condannati in odio alla opinione politica per ladri e peggio! e su quanti bari ed infami non si sarà passata la fede di benemerenza politica, assoluti ed onorati come cittadini malvagiamente imputati, e come patriotti virtuosissimi, o martiri politici messi all’onoranza!.... — Brutta merce aveva dunque il Ciampi, non per il fatto di Roma, ma perchè in ciò chiudevasi un principio supremo. — Che abbia il Ciampi fatto lo ignoriamo; in tali casi gli errori non vengono dagli uomini ma dai costumi, e dalla stessa società che poggia tutta sull’opinione e sulla giustizia fittizia della fortuna del giorno.
Nelle prime elezioni il nome d’Ignazio Ciampi uscì dalle urne amministrative: salì la dolce erta del Campidoglio, e mostrassi siccome assiduo di presenza, così pieno d’interesse per ogni cittadina quistione. — Fece parte di parecchie Commissioni, ed onorifica fu da esso stimata quella di rappresentaro il Municipio di Roma ai solenni funerali con che Milano diede l’estremo vale ad Alessandro Manzoni. — Non ricorderemo l’insegnamento di Storia dato dal Ciampi nella Romana Università; ora è vice-presidente del Tribunale Civile e Correzionale, e dove il cavalierato al ministero Menabrea sotto al quale si presero in considerazione i suoi lavori storici e letterarî. Diede consigli per quanto riguarda la pubblica istruzione e vuolsi che bene ne sarebbe a questa venuto se in gran parte le idee del Ciampi fossero state seguite: malanno solito che l’ambizione in chi sta al potere o l’antagonismo mestierante lasci il buono per aver quasi l’obbligo di riconoscerlo in altrui.
Nel Consiglio Comunale il cav. Ignazio Ciampi potrà ben fare se vincendo il naturale riguardo che di sovente portano le gare personali di chi sta al fianco, porterà con franca parola le idee di un progresso, che non s’inspira al grettissimo locale, ma spazia sublime al vero bene intellettuale e morale di una popolazione.
Al Campidoglio sentesi ancora troppo del macigno sul quale è costrutto, e v’ha la lotta del vecchio con il nuovo, del passato con l’avvenire, si fa della politica nella amministrazione, si mette l’individualismo sulla generalità: ciò tutto porta all’equivoco, da che nasce il caos nel pensiero e nell’azione. Rompere questa catena di pregiudizio pare opera difficile, ma lo sarà per i caratteri fiacchi. Pensi il Ciampi che il Comune è termine medio fra lo Stato e la Famiglia; voglia il bene, e sarà certo di concorrere in opera coronata sempre dalla coscienza del giusto e dalla universale estimazione.