Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Giacomo Astengo

Giacomo Astengo

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Augusto Armellini Giacomo Balestra

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ASTENGO COMM. GIACOMO


Consigliere Municipale




CC
on il nome di Astengo avvocato Giacomo venne nelle elezioni amministrative del 1873 portata in Campidoglio a Consigliere comunale una persona nata e vissuta lontano da Roma. - Chi era?...

In Savona capoluogo della divisione e provincia del suo omonimo negli antichi Stati Sardi, città che si distende lungo il Mediterraneo, nacque Astengo Giacomo nel dì 17 febbraio dell’anno 1814. I Padri delle Scuole Pie godendo colà fama di savi e distinti maestri, tenevano un pubblico collegio frequentato dai giovani non solo del luogo ma eziandio delle provincie limitrofe. L’Astengo ebbe presso tali Padri a percorrere i suoi studî, e da loro venne portato sulla porta della Università di Genova, ove nell’anno 1836 prese la solita laurea in utroque. Avvocatò per qualche tempo, fino a che il re di Piemonte con suo decreto 19 marzo dell’anno 1849 nominollo Provveditore per gli studi nella provincia di Savona. Nel giugno 1852 i Savonesi per dar prova che lo conoscevano se lo elessero a deputato, ed in tre legislature successive a lui vollero affidato l’incarico di rappresentarli in Parlamento. Intruppossi fra color che son sospesi, e se il suo scanno al centro non fu come la trutina nella bilancia parlamentare, ciò nemmeno tolse che quale essere pensante l’ago di sue opinioni piegasse a destra segnando gradi tanti e tanti nel partito politico capitanato dal conte di Cavour. Parecchie volte la Camera ebbe ad ascoltare la sua relazione discutendosi i bilanci del ministero di Grazia e Giustizia, ma la parte principale sostenne esso quando fu relatore della Commissione sul progetto di legge per l’ordinamento giudiziario e per la istituzione dei Giurati. — Ad ogni tratto il nome [p. 30 modifica]di Astengo figura nelle Commissioni governative per i vari progetti di legge, così nel 1859 lavorò alla compilazione del codice di procedura civile; nel 1861 studiò sul miglior sistema da adottarsi per la procedura giudiziaria del regno, quindi con il Pescatore e l’Aloisio ebbe incarico di compilare un nuovo Codice che non potè venir presentato, e discusso per il mutamento di ministero, tale essendo la condizione d’Italia che a lei si possa applicare il detto di Dante a Firenze nel canto VI del Purgatorio, poichè chiunque monta seggio e s’incappella ministro, il fatto da altri per buono che sia cangia e distrugge tanto da mostrare che per qualche cosa i gabinetti si mutano. — Parve che l’Astengo fosse condannato alla pena di studiare e compilare codici, vera fatica da Danaidi; forse ciò sarà avvenuto per la intelligenza e pratica che in esso stimavasi grandissima, ma il merito di un onorevole giudizio non iscema però la briga ed il fastidio. Anche il ministero Minghetti legollo alla macina di un nuovo codice civile, poi alla compilazione di un progetto di legge sul sistema ipotecario e sulla trascrizione; quindi il La Marmora nel novembre 1861 lo caricò dei codici di Commercio perchè ne compilasse uno adatto all’Italia; nell’aprile 1865 lo fece membro della Commissione incaricata a redigere i codici e relativi regolamenti, e quando i fati ebbero pietà dell’onorevole rappresentante di Savona, con la commenda dei santi Maurizio e Lazzaro entrò nell’ottobre 1865 in Senato, dove potè ripetere con i colleghi il Deus nobis haec otia fecit di Virgilio. Finalmente nel 1866 venne nominato membro e vice-presidente del Consiglio di amministrazione del fondo per il culto, ufficio nel quale ad ogni scadenza di tempo venne rieletto con la puntualità di una cambiale che si rinnovi.

In questi cenni sta tutta la vita civile e politica dell’avvocato Giacomo Astengo. Nel 1871 passò a stabilire sua dimora in Roma, quando il palazzo che Catterina de’ Medici, poi regina di Francia, aveva fatto costruire ove stavano le sontuose terme di Nerone, e che da tribunale, sic come avealo ridotto fu Benedetto XIV, e poi da ministero delle finanze pontificie, fu tramutato in Senato. — Fino al settembre 1870 sul grande balcone che prospetta la piazza Madama facevasi la estrazione del lotto: oggi da quello spiega superbo i suoi colori all’aure il vessillo dell’Italia libera: — un dì sotto a quello si adunavano le femminette ansiose sull’esito della ruota della fortuna; oggi coloro che braveggiano da politici guardano quel palazzo e fanno loro vaticinî e commenti su quanto colà entro si discute dai Senatori. Mutazioni dei tempi!....

A parte i meriti personali dell’individuo, Giacomo Astengo era un nome grosso; come tale fu portato candidato nelle liste amministrative del 1873, e vi riuscì.

Una quistione gravissima erasi sollevata d’incontro alle urne amministrative. — Chiamata Roma ad essere la capitale del regno d’Italia veniva ad accogliere in se quanto havvi nella penisola di singolare, di disparato, di strano pei diversi climi, nature e costumanze delle popolazioni. Il Piemonte da piccolo regno fatto asilo di [p. 31 modifica]quanti per le vicende del 1848 erano stati messi al bando dai governi restaurati, rifugio di molti i quali prese in uggia le signorie straniere volevano respirare all’ombra del vessillo tricolore, se ristretto nei confini si fece grande nelle attribuzioni, e passo passo che venne la bandiera piantando oltre il Ticino, insediando nelle pubbliche amministrazioni i fedeli suoi, fece disparire le multiformi favelle, ed in ogni ufficio alto e basso non risuonò altro idioma che quello della Dora. Qualche mordace disse che l’Italia era fatta paese di conquista, ma le erano calunnie cotesto, che l’avere il Piemonte fatto occupare da suoi i più alti e bassi impieghi, e nei medi per bisogno di pane avendo i servi dei caduti governi accettato, non voleva esprimere conquista, ma la idea savissima sempre di educare i popoli a libero vivere siccome liberissimi si chiamavano i pubblici funzionari da qualunque basso stato fossero sorti. Moltissimi fra coloro che la Storia di Roma e d’Italia non appresero sui testi delle scuole albertine ma per istudî serî e fondati criterî e pratica nel leggere i monumenti, pensavano che Roma capitale del regno dovesse essere il compimento di una idea non da ogni mente possibile a concepirsi. - Roma! questa grande regina che ha per corona venticinque secoli di gloria, che fece di sò parlare perchè essa era l’Italia e l’Italia era Roma; cosmopolita che abbracciò nei secoli gli uomini di tutte le famiglie senza distinzione di razze, di zone, di lingue; vera madre della umanità, vera maestra delle scienze più ardue, delle arti più belle, delle virtù più generose, delle più antiche tradizioni dalle prime leggi dei re all’ultima bolla del papa; che mostra ancora orgogliosa i monumenti di tutte le sue epoche, le memorie di tutti i suoi fasti, solenne vassallaggio del mondo a lei captivo; Roma, co’ suoi archi trionfali, con i suoi palazzi cesarii, con i suoi obelischi tolti all’Egitto, con le sue statue rapite alla Grecia, con quella di Pompeo ancora rosseggiante del sangue di Cesare; Roma, dove ogni atomo di terra parla di una gloria, dove vedesi ancora il selciato con il solco dei carri trionfali che si trascinavano dietro incatenati i re di tutto il mondo; Roma, con il colle dove tracollò la bilancia al peso della spada di Brenno, dove stà ancora arido il campo di Tarquinio ultimo re; Roma, dove il Colosseo parla di tre milioni di gagliardi che lottarono con i leoni, e morirono straziati per trovar nella religione quella libertà che i Cesari tiranni rapivano; Roma, dove sei generazioni si scavarono sotterra in una notte eterna un’altra Roma più grande e più meravigliosa di quella che stava di sopra; Roma, che non rivide i re entro le sue mura che supplichevoli nella polvere delle basiliche o reggenti la staffa sotto ai piedi dei pontefici; Roma, dall’alto de’ suoi colli guardava sdegnosa, ripetendo «è impossibile che la mia gloria da nuova libertà si menomi e distrugga.» Quell’esercito di statue di uomini veramente grandi in ogni tempo, pareva dovesse dire come nelle arti e nelle scienze, nelle anni e nella toga nulla da altri avesse Roma da imparare. - Ma così essere non doveva; e conquistata Roma, quale ultima fra le più piccole terre giudicata, predicòssele per sommo bene che gli uomini di altrove [p. 32 modifica]dovesse essa liberamente chiamare perchè nella municipale amministrazione consigliassero, e meglio ancora se quella reggessero.

Poteva il principio essere buono per dare prova di una unificazione che non ingrettisce nel municipalismo; questo chiamare in Campidoglio gli uomini di ogni plaga poteva rimostrare come Roma sia, siccome fu, l’Italia; ma a ciò non bastava che la reggia, il Senato, la Camera elettiva, i ministeri s’empissero di persone d’ogni idioma da convertir Roma in Babele con la vera confusione delle lingue? - Il Campidoglio doveva essere come una famiglia inaccessibile e rispettata dagli occupanti la città; l’ufficialismo governativo non avrebbe dovuto salire la rocca, che il solo desiderarlo era poca cortesia verso gli ospitanti riguardandoli per gentarella troppo semplice che il grande vivere ignorasse e gli affari propri male avesse saputo tenere. - Brutta cosa la è sempre ingerirsi negli altrui fatti, e poco al bene corrispondente, perchè gli uomini d’importazione al Campidoglio avrebbero più facilmente spropositato per dar segno di vita, anzichè recato quel lume e vantaggio che solo può venire da chi conosce i bisogni ed ha dovere ed interesse a provvedervi. - Poteva ancora l’importazione fare apparire che come il politico ed il civile ordinamento, così il municipale eziandio si volesse regolamentare secondo le massime del governo ed incorporare il Comune nello Stato.

Scrivendo dell’Astengo nato nelle provincie degli antichi Stati Sardi, e poi portato a consigliere municipale in Campidoglio era in noi necessità esprimere questo concetto, non perchè giudichiamo sole ottime le piante che crescono sui colli di Roma, nè perchè l’erba del di fuori spregiamo, ma perchè la tutela del Comune in tempi di promessa libertà essere dovrebbe siccome sacra ed inviolabile solo ai cittadini del luogo lasciata. - E l’Astengo tale verità riconobbe, e nello accettare l’onorevolissimo incarico venutogli dai voti di coloro che per i nuovi uffizi presero stanza in Roma, volle darsi con intelligenza e coscienza a tenere il posto nel Consiglio municipale, che se sul Piano regolatore disputando non compose alla nomèa goduta, ciò è prova che mal di Roma può trattare, chi di Roma non conosce i veri bisogni.

Auguriamoci che l’Astengo possa volere che gl’interessi veri del Comune prosperino senza riguardo a famiglie, a caste, a partiti, e così diverrà cittadino romano per la stima degli amministrati, non già per la accidentalità di un soggiorno, o per i voti di coloro che ebbero con esso lui comuni la culla e la vita.