Pagina:Biografie dei consiglieri comunali di Roma.djvu/31


astengo comm. giacomo

quanti per le vicende del 1848 erano stati messi al bando dai governi restaurati, rifugio di molti i quali prese in uggia le signorie straniere volevano respirare all’ombra del vessillo tricolore, se ristretto nei confini si fece grande nelle attribuzioni, e passo passo che venne la bandiera piantando oltre il Ticino, insediando nelle pubbliche amministrazioni i fedeli suoi, fece disparire le multiformi favelle, ed in ogni ufficio alto e basso non risuonò altro idioma che quello della Dora. Qualche mordace disse che l’Italia era fatta paese di conquista, ma le erano calunnie cotesto, che l’avere il Piemonte fatto occupare da suoi i più alti e bassi impieghi, e nei medi per bisogno di pane avendo i servi dei caduti governi accettato, non voleva esprimere conquista, ma la idea savissima sempro di educare i popoli a libero vivere siccome liberissimi si chiamavano i pubblici funzionari da qualunque basso stato fossero sorti. Moltissimi fra coloro che la Storia di Roma e d’Italia non appresero sui testi delle scuole albertine ma per istudì seri e fondati criteri e pratica nel leggere i monumenti, pensavano che Roma capitale del regno dovesse essere il compimento di una idea non da ogni mente possibile a concepirsi. - Roma! questa grande regina che ha per corona venticinque secoli di gloria, che fece di sò parlare perchè essa era l’Italia e l’Italia era Roma; cosmopolita che abbracciò nei secoli gli uomini di tutte le famiglie senza distinzione di razze, di zone, di lingue; vera madre della umanità, vera maestra delle scienze più ardue, delle arti più belle, delle virtù più generose, delle più antiche tradizioni dalle prime leggi dei re all’ultima bolla del papa; che mostra ancora orgogliosa i monumenti di tutte le sue epoche, le memorie di tutti i suoi fasti, solenne vassallaggio del mondo a lei captivo; Roma, co’suoi archi trionfali, con i suoi palazzi cesarii, con i suoi obelischi tolti all’Egitto, con le sue statue rapite alla Grecia, cori quella di Pompeo ancora rosseggiante del sangue di Cesare; Roma, dove ogni atomo di terra parla di una gloria, dove vedesi ancora il selciato con il solco dei carri trionfali che si trascinavano dietro incatenati i re di tutto il mondo; Roma, con il colle dove tracollò la bilancia al peso della spada di Brenno, dove stà ancora arido il campo di Tarquinio ultimo re; Roma, dove il Colosseo parla di tre milioni di gagliardi che lottarono con i leoni, e morirono straziati per trovar nella religione quella libertà che i Cesari tiranni rapivano; Roma, dove sei generazioni si scavarono sotterra in una notte eterna un’altra Roma più grande e più meravigliosa di quella che stava di sopra; Roma, che non rivide i re entro le sue mura che supplichevoli nella polvere delle basiliche o reggenti la staffa sotto ai piedi dei pontefici; Roma, dall’alto de’suoi colli guardava sdegnosa, ripetendo «è impossibile che la mia gloria da nuova libertà si menomi e distrugga.» Quell’esercito di statue di uomini veramente grandi in ogni tempo, pareva dovesse dire come nelle arti e nelle scienze, nelle anni e nella toga nulla da altri avesse Roma da imparare. - Ma così essere non doveva; e conquistata Roma, quale ultima fra le più piccole terre giudicata, predicòssele per sommo bene che gli uomini di altrove do-