Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/260

Anno 260

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Anno di Cristo CCLX. Indizione VIII.
DIONISIO papa 2.
VALERIANO imperadore 8.
GALLIENO imperadore 8.
Consoli

PUBLIO CORNELIO SECOLARE per la seconda volta e GIUNIO DONATO per la seconda.

Il prenome e nome di questi due consoli, non ben sicuri in addietro, vengono oggidì chiaramente confermati da una nobile iscrizione, esistente nel museo del Campidoglio, che si legge nella mia Raccolta2286. Le ricchezze portate al loro paese dagli Sciti, cioè dai Tartari, saccheggiatori di Trabisonda sul mar Nero, fecero invogliar altri circonvicini Barbari a concorrere a così lucroso mestiere2287. Si diedero tosto a preparar navi, obbligando gli schiavi cristiani a [p. 895 modifica]fabbricarne; poi senz’aspettare il fine del verno, e senza volersi valer di quei legni, per la Mesia inferiore passando, ebbero maniera di valicar lo stretto di Bisanzio, e di giugnere a Calcedone, città che andò tutta a sacco. Di là si trasferirono a Nicomedia di Bitinia, città vasta e piena di popolo, abbondante in ricchezze e in ogni copia di beni. Ancorchè ne fossero fuggiti i cittadini portando quel meglio che poterono con loro, sì grande nondimeno fu la preda ivi fatta, che ne stupivano i Barbari stessi. Le città di Nicea, di Cio, di Apamea e di Prusa incorsero nella medesima infelicità; e perchè coloro non poterono mettere il piede in quella di Cizico, se ne tornarono indietro, e diedero alle fiamme Nicomedia e Nicea. Dimorava tuttavia l’Augusto Valeriano in Antiochia, quando gli vennero sì funeste nuove dalla Bitinia. Credevasi che egli spedirebbe colà alcuno de’ generali con un corpo di gente; ma perchè era signore assai diffidente, altro non fece che inviar Felice alla difesa di Bisanzio. Ed egli poi se ne andò colla sua armata nella Cappadocia. Trovò guastata da’ Persiani anche quella provincia: dai Persiani, dico, i quali aveano ancora fatta rivoltare l’Armenia, e creato ivi un re da loro dipendente, stando più che mai orgogliosi in campagna contra de’ Romani. Ma giunto era il tempo che Dio voleva umiliare ed insieme punire Valeriano, crudel persecutore de’ servi suoi, e reo di tante morti date a sì gran copia d’illustri campioni della fede di Cristo. Quando egli pur pensava di andare a mettersi a fronte de’ Persiani, ecco la peste entrar nel di lui esercito, e farne un orribile scempio. Ciò non ostante, più storici2288 scrivono che fece guerra ai Persiani nella Mesopotamia; e che in una battaglia per tradimento di un suo generale, come scrive Trebellio Pollione2289, egli fu vinto. Questo generale vien creduto Macriano; e san Dionisio vescovo d’Alessandria presso Eusebio2290 scrive che costui, dopo avere istigato Valeriano a perseguitar i cristiani, e dopo avere ottenuto il supremo comando dell’armata, come s’ha da una lettera2291 scritta da Valeriano al senato, tradì lui stesso in fine. Noi vedremo che costui aspirava all’imperio, e senza la rovina di Valeriano non poteva salire sul trono. Zonara2292 pretende che Valeriano in questo infelice combattimento restasse preso. Ma Zosimo2293, senza far menzione alcuna di battaglia, e solamente notando che rimase disfatto lo esercito romano dalla peste, seguita a dire che Valeriano, uomo non avvezzo alle peripizie della guerra, cadde in disperazione, nè altro scampo seppe immaginare, che quello di guadagnar col danaro il temuto re Sapore, cioè di comperar la pace dai Persiani. Spedì per questo ambasciatori con grande offerta d’oro; ma Sapore li rimandò indietro senza nulla accettare, solamente rispondendo, che se Valeriano volesse venire ad abboccarsi con lui, si tratterebbono meglio i loro affari. Qui mancò la prudenza a Valeriano; perchè, fidatosi della parola del re barbaro, andò con poco seguito a trovarlo, e fu immediatamente ritenuto prigione. Altri2294 furono di parere, che trovandosi Valeriano in Edessa, ed essendo affamato l’esercito, i soldati si sollevarono minacciando la vita di lui; e ch’egli se ne fuggì nel campo persiano, dove restò imprigionato. Questo racconto ha ben ciera di favola. Certo è intanto che Valeriano imperadore de’ Romani cadde nelle mani di Sapore, superbissimo re de’ Persiani, e secondo tutte le apparenze, per frode o [p. 897 modifica]di Macriano suo generale, o pur dei Persiani stessi, come ha Zosimo, e sembra anche insinuare Pietro Patrizio2295 ne’ frammenti delle ambascerie. Sappiamo altresì, per attestato di varii antichi scrittori2296, che dall’alta dignità imperiale egli si vide ridotto alla condizione di un vilissimo schiavo sotto la tirannia del re nemico, che il menava dappertutto come un trofeo delle sue vittorie, vestito della porpora per sua maggior confusione, e carico nello stesso tempo di catene. Allorchè il tiranno volea salire a cavallo, obbligava lo schiavo Augusto a chinarsi colle mani in terra, e a servirgli di scabello, con aggiugner anche un insolente riso, dicendo che questo era un vero trionfare, e non già il dipingere nelle muraglie e nelle tavole i re vinti, come faceano i Romani. In somma nulla lasciò egli indietro per avvilire, per quanto potea, la maestà del nome romano, nè vi fu obbrobrio ed ignominia che non si facesse patire a questo infelice regnante, la cui caduta e il vergognoso stato sembrò poscia a chi visse lungi da que’ tempi degno non poco di compassione. Ma san Dionisio, vescovo allora d Alessandria, Lattanzio, Costantino il Grande, Paolo Orosio ed altri hanno riconosciuta nell’ingiusta crudeltà del re Sapore la condotta giustissima della provvidenza di Dio contra d’un principe che s’era messo in pensiero di estinguere la santa religion dei cristiani, e sopra tanti innocenti servi del vero Dio avea sfogato il suo furore. Quel che dovette oltre a tante miserie ed ignominie maggiormente lacerare il cuore di Valeriano, si può credere che fosse il vedere che aveva un figliuolo imperadore, un nipote Cesare, e tanti grandi uomini da lui sollevati ai primi posti ed onori; e pure niuno di essi alzò mai un dito per liberarlo colla forza, o per riscattarlo coll’oro da quella vergognosa schiavitù. Anzi dovette ben giugnergli all’orecchio2297 che l’infame suo figliuolo Gallieno, non solamente niun pensiero si prendeva di lui, mai non ispedì a Sapore per trattare della di lui liberazione; ma lasciava anche traspirare il contento suo per quella disavventura, che l’avea liberato da un padre riguardato da lui come troppo rigoroso. A chi con dispiacere gli parlava di questa funestissima scena, mostrava egli di consolarsi con dir di sapere che suo padre era uomo mortale, ed essere ben grande la di lui sciagura, ma che finalmente v’era incorso colla gloria di esser uom coraggioso. Ed ecco come l’ambizione sregolata avea estinto nel cuor di Gallieno tutti i doveri della gratitudine filiale, ed ogni riguardo all’onore dell’imperio romano, troppo svergognato nella persona di Valeriano dal re altero di Persia. Maggiormente poi dovea risaltare l’abbominevol sua non curanza delle sventure del padre, all’osservare come tanto il popolo romano che le milizie deploravano concordemente la miserabil sorte d’un Augusto divenuto schiavo. Fino i popoli battriani, iberi, albani e taurosciti, quantunque non fossero sudditi del romano imperio, si condolsero tanto di questo sinistro caso, che non vollero ricevere le lettere, colle quali Sapore lor notificava la sua vittoria, e scrissero ai generali romani, esibendosi pronti a prestar loro aiuto per liberare dalla schiavitù Valeriano2298. Rapporta anche Trebellio Pollione le lettere scritte (se pur non sono finte) al re Sapore da Balero re dei Cadusi, da Artabasde re dell’Armenia, e da un certo Belseto, che io credo nome guasto, nelle quali parlano in favore di Valeriano, ed esaltano il poter de’ Romani. Ma chi più era tenuto a sbracciarsi pel prigioniero Augusto, cioè Gallieno suo figliuolo, quegli era che men degli altri pensava [p. 899 modifica]a liberarlo o riscattarlo. E però Valeriano, spogliato dell’imperio, in un abisso di miserie, continuò a vivere alcuni anni ancora nella schiavitù, da cui finalmente la morte il liberò. L’autore della Cronica Alessandrina scrive 2299 che i Persiani l’uccisero nell’anno di Cristo 269, ma più verisimil sembra che morisse di morte naturale. E morto che fu, per ordine di Sapore, venne scorticato2300. Concia la sua pelle, per maggior vergogna del nome romano, fu posta in un tempio, e si mostrava a tutti gli ambasciatori vegnenti da Roma, per ricordar loro di non fidarsi molto della loro potenza. Il dirsi da Agatia2301 che Valeriano fu scorticato vivo, si può relegar tra le favole. Ho io pur rapportata a quest’anno la cattività di questo imperatore, con seguitar l’opinione del Panvinio, del Petavio, del Pearson, del Tillemont e d’altri, perchè questa convien più col filo delle azioni di lui a noi conservate da Trebellio Pollione e da Zosimo. Il padre Pagi2302, che mette la di lui caduta nell’anno precedente, niuna valevole pruova adduce da poter battere l’altra opinione, che il fa prigioniere nell’anno presente, come scorgerà chiunque sappia farne l’esame.