Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/479

di Macriano suo generale, o pur dei Persiani stessi, come ha Zosimo, e sembra anche insinuare Pietro Patrizio2295 ne’ frammenti delle ambascerie. Sappiamo altresì, per attestato di varii antichi scrittori2296, che dall’alta dignità imperiale egli si vide ridotto alla condizione di un vilissimo schiavo sotto la tirannia del re nemico, che il menava dappertutto come un trofeo delle sue vittorie, vestito della porpora per sua maggior confusione, e carico nello stesso tempo di catene. Allorchè il tiranno volea salire a cavallo, obbligava lo schiavo Augusto a chinarsi colle mani in terra, e a servirgli di scabello, con aggiugner anche un insolente riso, dicendo che questo era un vero trionfare, e non già il dipingere nelle muraglie e nelle tavole i re vinti, come faceano i Romani. In somma nulla lasciò egli indietro per avvilire, per quanto potea, la maestà del nome romano, nè vi fu obbrobrio ed ignominia che non si facesse patire a questo infelice regnante, la cui caduta e il vergognoso stato sembrò poscia a chi visse lungi da que’ tempi degno non poco di compassione. Ma san Dionisio, vescovo allora d Alessandria, Lattanzio, Costantino il Grande, Paolo Orosio ed altri hanno riconosciuta nell’ingiusta crudeltà del re Sapore la condotta giustissima della provvidenza di Dio contra d’un principe che s’era messo in pensiero di estinguere la santa religion dei cristiani, e sopra tanti innocenti servi del vero Dio avea sfogato il suo furore. Quel che dovette oltre a tante miserie ed ignominie maggiormente lacerare il cuore di Valeriano, si può credere che fosse il vedere che aveva un figliuolo imperadore, un nipote Cesare, e tanti grandi uomini da lui sollevati ai primi posti ed onori; e pure niuno di essi alzò mai un dito per liberarlo colla forza, o per riscattarlo coll’oro da quella vergognosa schiavitù. Anzi dovette ben giugnergli all’orecchio2297 che l’infame suo figliuolo Gallieno, non solamente niun pensiero si prendeva di lui, mai non ispedì a Sapore per trattare della di lui liberazione; ma lasciava anche traspirare il contento suo per quella disavventura, che l’avea liberato da un padre riguardato da lui come troppo rigoroso. A chi con dispiacere gli parlava di questa funestissima scena, mostrava egli di consolarsi con dir di sapere che suo padre era uomo mortale, ed essere ben grande la di lui sciagura, ma che finalmente v’era incorso colla gloria di esser uom coraggioso. Ed ecco come l’ambizione sregolata avea estinto nel cuor di Gallieno tutti i doveri della gratitudine filiale, ed ogni riguardo all’onore dell’imperio romano, troppo svergognato nella persona di Valeriano dal re altero di Persia. Maggiormente poi dovea risaltare l’abbominevol sua non curanza delle sventure del padre, all’osservare come tanto il popolo romano che le milizie deploravano concordemente la miserabil sorte d’un Augusto divenuto schiavo. Fino i popoli battriani, iberi, albani e taurosciti, quantunque non fossero sudditi del romano imperio, si condolsero tanto di questo sinistro caso, che non vollero ricevere le lettere, colle quali Sapore lor notificava la sua vittoria, e scrissero ai generali romani, esibendosi pronti a prestar loro aiuto per liberare dalla schiavitù Valeriano2298. Rapporta anche Trebellio Pollione le lettere scritte (se pur non sono finte) al re Sapore da Balero re dei Cadusi, da Artabasde re dell’Armenia, e da un certo Belseto, che io credo nome guasto, nelle quali parlano in favore di Valeriano, ed esaltano il poter de’ Romani. Ma chi più era tenuto a sbracciarsi pel prigioniero Augusto, cioè Gallieno suo figliuolo, quegli era che men degli altri pensava