Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/261
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Anno di | Cristo CCLXI. Indizione IX. DIONISIO papa 3. GALLIENO imperadore 9. |
Publio Licinio Augusto per la quarta volta e LUCIO PETRONIO TAURO VOLUSIANO.
Dopo le disavventure del padre, che non fu più contato per imperadore, restò solo al governo del romano imperio il di lui figliuolo Publio Licinio Gallieno. In alcune iscrizioni da me rapportate2303 egli è ancora chiamato Publio Licinio Egnazio Gallieno. Il Reinesio2304, avendo trovato questo Egnazio, si avvisò ch’egli fosse un fratello del medesimo Gallieno Augusto, e l’opinione sua si trova seguitata dal Tillemont2305. Ma egli altri non fu che lo stesso imperadore Gallieno. Da Cornelia Salonina Augusta ebbe Gallieno due figliuoli, cioè Publio Licinio Cornelio Salonino Valeriano, a cui abbiam già veduto che non si tardò a concedere il titolo di Cesare. Trovansi molte medaglie2306 col nome suo. L’altro fu Quinto Giulio Salonino Gallieno, che in alcune rare medaglie s’incontra onorato anche esso col titolo di Cesare. Vopisco2307 nella Vita di Aureliano riferisce una lettera scritta ad Antonino Gallo console, senza che noi sappiamo in qual anno cada il consolato di costui. Dice d’essere stato ripreso da esso console in una lettera familiare, per aver mandato ad educare Gallieno suo figliuolo presso di Postumo, piuttosto che presso di Aureliano. S’è disputato chi sia questo Gallieno mandato nella Gallia, ed appoggiato alla direzione di Postumo, governatore di que’ paesi. Il Tillemont2308 parve sospettare in un luogo, benchè poscia sia di diverso parere in un altro, che questi fosse lo stesso primogenito suo, cioè Gallieno ora imperadore; ma questo Gallieno è detto puer da Valeriano, età che non conviene all’Augusto Gallieno, che in que’ tempi avea già de’ figliuoli. Parve al conte Mezzabarba 2309 che fosse mandato colà Quinto Giulio Salonino Gallieno, da noi già detto secondogenito dell’imperador Gallieno, quando Valeriano il chiama suo figliuolo, e non già nipote. Finalmente stimò il padre Pagi2310 che questi fosse Licinio Salonino Valeriano primogenito di Gallieno. Trebellio Pollione2311 il chiama Salonino Gallieno. Lascerò io che altri decida cotal controversia, per cui non si possono recare se non conghietture, e passerò innanzi. Non mancavano all’imperador Gallieno delle buone doti. Per conto dello ingegno, molti si lasciava addietro. Avea studiata l’eloquenza e la poesia; faceva anche dei versi tollerabili; mostrava genio alla filosofia platonica, e tale stima ebbe di Plotino, eccellente maestro di quella scuola, vivente allora, che gli era venuto il capriccio2312 di rifabbricare una città nella Campania, per ivi fondare una repubblica di platonici; ma ne fu distornato da’ suoi cortigiani. Pareva avere del coraggio e della prontezza2313; ma solamente ciò si verificava quando era in collera, o si sentiva irritato dallo sprezzo altrui. La sua magnificenza e liberalità, se vogliam credere a Zonara2314, era qual si conveniva ad un imperadore, amando egli di far del bene a tutti, e di non rifiutar grazie a chiunque ne chiedeva. Aggiugne ch’egli inclinava alla clemenza, non avendo fatto morire chi contra di lui s’era rivoltato. Anche Ammiano Marcellino sembra concorde con lui su questo punto. Tuttavia un ritratto ben diverso di lui fece Trebellio Pollione, e la sua crudeltà starà poco a darci negli occhi. Del pari vedremo che andò col progresso del tempo svanendo quella parte di buono che in lui si trovava, con lasciarsi egli prender la mano dall’eccessivo amor dei divertimenti e dei piaceri illeciti, e col divenir neghittoso e sprezzato: cose tutte che si tirarono dietro de’ gravissimi sconcerti, e furono quasi la rovina della repubblica romana. Non si dee già tacere che questo principe debolissimo, riconosciuta per ingiustissima la fiera persecuzione mossa dal padre contra de’ cristiani2315, restituì sul principio del suo governo la pace alla Chiesa, vietando il recar ulteriori molestie ai professori della legge di Cristo. Ma non cessò per questo l’ira di Dio, che volea puniti i Romani gentili, per aver attizzata la crudeltà di Valeriano contra dei suoi servi; e però si affollò ogni sorta di disgrazie sopra l’imperio romano, regnante Gallieno. La peste più che mai vigorosa seguitò a mietere le vite degli uomini; i tremuoti rovesciarono le città; da ogni parte i Barbari continuarono a spogliare e lacerare le contrade romane. Il maggiore de’ guai nondimeno fu, che nel cuore del romano imperio insorsero di mano in mano varii usurpatori e tiranni, l’insolenza de’ quali non si potè reprimere senza lo spargimento d’infinito sangue. Per la prigionia di Valeriano restarono in una somma confusione gli affari dell’Oriente2316; e corsa questa voce per tutto l’imperio e fra i Barbari, si spalancarono le porte alle sedizioni, alle rapine e ad ogni più funesta novità, quasi che fosse rimasta vedova abbandonata la repubblica romana, e si riputasse uomo da nulla il di lui figliuolo Gallieno Augusto. Trovavasi questi allora all’armata del Reno, per opporsi ai tentativi de’ sempre inquieti Germani. Racconta Zosimo che gli Sciti, cioè i Tartari, abitanti di là dal Danubio, unite insieme varie loro nazioni, divisero in due corpi l’immensa lor moltitudine. Coll’uno entrarono furiosi nell’Illirico, saccheggiando e devastando le città e campagne; e coll’altro vennero fino in Italia, ardendo di voglia di dare il sacco alla stessa città di Roma, ne’ cui tesori speravano di saziare la loro avidità. In fatti giunsero fino in quelle vicinanze. Il senato allora, per rimediare a sì gran pericolo, raunò quanti soldati potè, diede l’armi ai più gagliardi della plebe, in maniera tale, che mise in piedi un esercito più copioso che quello de’ Barbari: il che bastò per far retrocedere quegli assassini. Se ne tornarono essi al paese loro, ma con lasciar la desolazione dovunque passarono. Incredibili mali altresì recarono gli altri all’Illirico, dove nello stesso tempo si provò il loro flagello e quel della peste. Forse la peste medesima fu quella che cacciò di là quelle barbariche locuste. Io non so dire se possa essere succeduto in questi tempi ciò che vien narrato da Zonara2317: cioè che riuscì a Gallieno con soli dieci mila soldati suoi di sconfiggere presso a Milano trecentomila Barbari: bravura di cui non intendo io di essere mallevadore. Veramente Zosimo attesta ch’egli dalla Gallia calò in Italia per iscacciarne gli Sciti; ma Zonara scrive, essere stati Alamanni que’ Barbari, a’ quali diede la rotta. Gli antichi scrittori facilmente confondono i nomi delle nazioni barbariche. Eusebio2318 ed Orosio2319 in fatti scrivono che circa questi tempi gli Alamanni, dopo aver saccheggiate le Gallie, vennero a dare il malanno all’Italia. Anche i Sarmati, se pur non sono parte anch’essi degli Sciti mentovati da Zosimo, portarono l’armi loro contro l’Illirico nell’anno presente. Avea in quelle parti il comando dell’armi romane Regilliano2320, uomo di gran valore. Da una lettera a lui scritta da Claudio, che fu poi imperadore, si raccoglie aver egli data una gran rotta ai Sarmati presso Scupi, città della Mesia superiore, oggidì Uscubi nella Servia. Abbiamo da Trebellio2321, che essendo consoli Fosco (cioè Tosco) e Basso nell’anno 258, e sapendo le legioni della Mesia quanto fosse immerso Gallieno nelle crapole e nella lussuria, e che v’era bisogno d’un coraggioso generale contra de’ Sarmati già incamminati alla lor volta, proclamarono Imperadore Ingenuo governator della Pannonia. Ma o il testo di Trebellio si dee credere guasto, o pur egli s’ingannò in riferire la ribellione d’Ingenuo prima delle sventure di Valeriano Augusto; e dobbiamo attenerci qui ad Aurelio Vittore2322, il quale chiaramente scrive avere la cattività di Valeriano data ansa all’ambizion d’Ingenuo per ribellarsi. Lo stesso vien confermato da Zonara2323; e però all’anno presente dee appartenere quel fatto. Ne fu portata la nuova a Gallieno Augusto, che a gran giornate passò colà con un esercito, dov’erano molti Mori. Aureolo capitano della sua cavalleria diede una rotta ad Ingenuo, per la quale disperato si uccise. Può nondimeno dubitarsi se in persona vi andasse Gallieno. Abbiamo2324 una sua lettera scritta a Celere Veriano suo generale in quelle parti, dove con furore inudito gli ordina di procedere contra d’Ingenuo e de’ suoi seguaci senza misericordia alcuna, con uccidere e tagliare a pezzi chiunque de’ soldati o di que’ popoli avea avuta mano in quella sollevazione; e che quanto più farebbe di vendetta, tanto più gusto a lui darebbe. V’ha chi dice che Ingenuo, presa la città di Mursa, o di Sirmio, dove egli risedeva, col pugnale si levasse la vita, per non venire in man del crudo Gallieno. Che o nell’anno precedente o pur nel presente si rivoltassero Postumo nella Gallia, Macriano in Oriente, Valente nell’Acaia, Regilliano nella Mesia, Aureolo nell’Illirico, è stato parere di varii moderni storici. Mancano a noi lumi per distinguere bene i fili e tempi della storia, per quel che riguarda i tiranni allora insorti nel romano imperio; nè ho io voglia di presentar ai lettori le dispute dei letterati intorno a questi punti. Però chieggo licenza di parlar di essi tiranni negli anni
no match
modificaseguenti, perchè non è facile l’assegnar i veri tempi de’ fatti d’allora.