Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/215
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Anno di | Cristo CCXV. Indizione VIII. ZEFIRINO papa 19. CARACALLA imperad. 18 e 5. |
LETO per la seconda volta e CEREALE.
Un’iscrizione, probabilmente spettante a questo Leto console, e da me riferita nella mia Raccolta1800, se fosse a noi pervenuta ben intera, forse ci scoprirebbe ch’egli fu della famiglia Catia. Altri nomi loro dati dagl’illustratori de’ Fasti, per essere dubbiosi, io li tralascio. Sparziano scrive1801 che un Leto, il quale era stato il primo a consigliar Caracalla di uccidere Geta, fu anche il primo forzato a morir col veleno, a lui inviato dallo stesso Caracalla; e però non dovrebbe essere questo che fu ora console. Dalla Germania, secondo il medesimo Sparziano, passò Caracalla nella Dacia, oggidì Transilvania, e vi si fermò qualche tempo; con far ivi qualche scaramuccia coi Geti, appellati poi più comunemente Goti, e pare che ne riportasse vittoria. Elvio Pertinace, figlio del fu Pertinace Augusto, prese di qua motivo nell’anno seguente di dire un motto pungente; perchè, nominandosi i titoli dati a Caracalla di Germanico, Partico, Arabico ed Alemannico; aggiugnetevi, diss’egli, anche quello di Getico Massimo, come a lui dovuto per aver debellato i Geti, tacitamente nondimeno alludendo alla morte da lui data a Geta suo fratello. Forse non è vero ch’egli facesse guerra coi Geti, ma è ben da credere vero quel motto. Sappiamo che questo Pertinace fu fatto morire da Caracalla, e non già per questa puntura a lui riferita. Spanciano scrive che gli tolse la vita perchè era figliuolo di un imperadore. Ma come mai aspettò egli tanto? Forse fu in que’ medesimi tempi che egli mandò all’altro mondo Claudio Pompeiano, nato da Lucilla, figliuola di Marco Aurelio Augusto, e da Pompeiano, cioè da un padre stato due volte console, e bravo generale di armate (2). Incamminossi poi Caracalla per la Mesia nella Tracia. La vicinanza della Macedonia produsse un mirabil effetto, perchè fece diventar questo Augusto un novello Alessandro. Se gli mancò il capo e il valore di quel gran conquistatore, non gli mancò già l’esterno di lui portamento. Si vestì egli alla macedonica, e poi scrisse al senato che gli era entrata in corpo l’anima di Alessandro, e per questo volea essere chiamato Alessandro Orientale. Da tali azioni che conseguenza sia per tirare il lettore, io non istarò a cercarlo. Inoltre della più scelta gioventù della Macedonia formò una brigata di fanteria, a cui diede il nome di falange macedonica, di sedici mila persone, tutte armate nella guisa che anticamente furono le truppe di Alessandro. Volle inoltre che si alzassero statue per tutte le città in onor di esso Alessandro, [p. 728] e massimamente nel Campidoglio e in ogni tempio di Roma. Moveva il riso il vedere in varii luoghi immagini dipinte che con un sol corpo in due differenti viste rappresentavano la faccia di Alessandro il Macedone e di Caracalla.
Volendo poi passare il Bosforo di Tracia per entrar nell’Asia, fu in pericolo di fare naufragio, essendosi rotta l’antenna della sua nave; ma si salvò nello schifo. Racconta Dione (2), che essendo giunto a Nicomedia, dove passò il verno di quest’anno, la sua vita era questa. Facea sapere ai senatori che l’accompagnavano (uno de’ quali era lo stesso Dione) che alla levata del sole fossero pronti, perchè volea tener ragione e trattar degli affari spettanti al pubblico bene; e li facea aspettar fino a mezzodì, e talvolta fino a sera, senza mai lasciarsi vedere. Ed egli intanto si dava bel tempo col carrozzare, ammazzar bestie, addestrarsi ai combattimenti de’ gladiatori, e col bere ed ubbriacarsi. Alla presenza degli stessi senatori mandava piatti di vivande e bicchieri di vino ai soldati ch’erano di guardia. Finalmente si lasciava pur vedere per isbrigar qualche causa, per lo più mezzo ubbriaco ed appena udite poche parole, voleva che si decidesse. Teneva in sua corte un eunuco spagnuolo, deforme al maggior segno non men di corpo che di costumi, creduto uno stregone, e fabbricator di veleni, che facea da padrone sopra il senato. Dappertutto manteneva spie che gli riferivano quel di vero o di falso che lor piaceva, senza parteciparlo al suo consiglio; volendo egli gastigar le persone senza saputa de’ ministri: il che cagionava una somma confusion di cose, ed era seminario di molte ingiustizie. In tutti poi questi suoi viaggi pareva che avesse tolto di mira i senatori, per ridurli in camicia, volendo che a loro spese (cioè, per quanto io credo, della repubblica) fabbricassero per istrada alloggi e case di molto costo, la maggior parte delle quali a nulla servirono, e nè pur erano da lui vedute. E dovunque egli s’immaginava di dover dimorare nel verno, esigeva che gli si edificassero anfiteatri e circhi; e questi appresso si distruggevano. Che s’egli impoveriva il senato e maltrattava i senatori, era poi tutto cortesia verso i soldati, e consisteva la sua gran premura in regalarli con prodigalità incredibile. Nelle monete (1) di quest’anno si vede esaltata la di lui liberalità VII, VIII e IX, senza fallo usata verso le milizie. Largamente poi spendeva in bestie fiere o mansuete, e in cavalli (2), per far la caccia di quelle, o per correre alla disperata con gli altri in cocchio. Volta vi fu ch’egli uccise di sua mano cento cignali. E facendo le sue carriere, diceva d’imitare il sole, gloriandosi forte di non esser da meno di lui. Costrigneva poscia i suoi cortigiani e gli altri ricchi a rappresentar degli spettacoli con gravissima loro spesa, e vigliaccamente ancora dimandava ad essi del danaro quando n’era senza. Tale fu la sua maniera di vivere finchè regnò; e per questo suo scialacquare non si può dire quante gabelle nuove egli mettesse, quante estorsioni facesse; di maniera che egli in quei pochi anni diede il guasto a tutto l’imperio romano, e desolò le provinvie. E diceva spesso di non abbisognar di cosa alcuna, fuorchè di danaro, da impiegarsi poi, non già in gratificar chi lo meritava, ma solamente per arricchir soldati e regalar adulatori. A Giunio Paolino donò egli un dì dieci mila scudi d’oro, perchè gli disse, che quando anche fingeva d’essere in collera, sapea farlo sì bene, che si credea veramente incollerito. Giulia Augusta sua madre, che gli tenne sempre compagnia in questi viaggi, non si guardò dal riprenderlo, perchè gittasse tanti tesori [p. 730] in seno ai soldati, con essersi ridotto a non aver più un soldo di tanti danari giustamente o ingiustamente esatti; ed egli: Non dubitate, o madre (rispose mostrandole la spada), finchè questa durerà, non mancheranno danari. Tanto poi si mostrò spasimato per la memoria di Alessandro il Grande questo nuovo Alessandro, che, essendosi compiaciuto un dì in vedere un tribuno di soldati saltar molto snello a cavallo, gli dimandò di che paese fosse: Macedone, rispose egli. E il vostro nome? Antigono. E quello del padre? Filippo. Allora disse Caracalla: Ho tutto quel ch’io voleva; e il fece salire a più alto posto, e da lì a poco il creò senatore e pretore. Fu proposta davanti a lui la causa d’un certo Alessandro, non già Macedone, reo di molti misfatti. Perchè l’accusatore di tanto in tanto andava dicendo: Alessandro omicida; Alessandro odiato dagli dii. Caracalla, quasi che si parlasse di lui, saltò su gridando: Se non la dismetti di trattar così il nome di Alessandro, ti farò andar per le poste all’altro mondo. Conduceva anche seco molti elefanti, perchè ancor questo conveniva ad un vero imitator d’Alessandro e di Bacco. Ed ecco in quali mani era caduto in questi tempi il misero imperio romano. Furono nell’anno presente, se dice il vero Eusebio1808, terminate in Roma le terme antoniane, fabbricate d’ordine d’esso Caracalla. Sparziano1809 fa un bell’elogio di quell’edifizio, mirabile non meno per la magnificenza che per la bellezza dell’architettura. Resta ancora accertato, che laddove in addietro si contava per grazia grande il conseguire la cittadinanza di Roma, questo imperadore con suo decreto la diede a tutte le città del romano imperio: intorno a che molto hanno parlato i letterati illustratori delle cose romane.