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alloggi e case di molto costo, la maggior parte delle quali a nulla servirono, e nè pur erano da lui vedute. E dovunque egli s’immaginava di dover dimorare nel verno, esigeva che gli si edificassero anfiteatri e circhi; e questi appresso si distruggevano. Che s’egli impoveriva il senato e maltrattava i senatori, era poi tutto cortesia verso i soldati, e consisteva la sua gran premura in regalarli con prodigalità incredibile. Nelle monete (1) di quest’anno si vede esaltata la di lui liberalità VII, VIII e IX, senza fallo usata verso le milizie. Largamente poi spendeva in bestie fiere o mansuete, e in cavalli (2), per far la caccia di quelle, o per correre alla disperata con gli altri in cocchio. Volta vi fu ch’egli uccise di sua mano cento cignali. E facendo le sue carriere, diceva d’imitare il sole, gloriandosi forte di non esser da meno di lui. Costrigneva poscia i suoi cortigiani e gli altri ricchi a rappresentar degli spettacoli con gravissima loro spesa, e vigliaccamente ancora dimandava ad essi del danaro quando n’era senza. Tale fu la sua maniera di vivere finchè regnò; e per questo suo scialacquare non si può dire quante gabelle nuove egli mettesse, quante estorsioni facesse; di maniera che egli in quei pochi anni diede il guasto a tutto l’imperio romano, e desolò le provinvie. E diceva spesso di non abbisognar di cosa alcuna, fuorchè di danaro, da impiegarsi poi, non già in gratificar chi lo meritava, ma solamente per arricchir soldati e regalar adulatori. A Giunio Paolino donò egli un dì dieci mila scudi d’oro, perchè gli disse, che quando anche fingeva d’essere in collera, sapea farlo sì bene, che si credea veramente incollerito. Giulia Augusta sua madre, che gli tenne sempre compagnia in questi viaggi, non si guardò dal riprenderlo, perchè gittasse tanti tesori [p. 730] in seno ai soldati, con essersi ridotto a non aver più un soldo di tanti danari giustamente o ingiustamente esatti; ed egli: Non dubitate, o madre (rispose mostrandole la spada), finchè questa durerà, non mancheranno danari. Tanto poi si mostrò spasimato per la memoria di Alessandro il Grande questo nuovo Alessandro, che, essendosi compiaciuto un dì in vedere un tribuno di soldati saltar molto snello a cavallo, gli dimandò di che paese fosse: Macedone, rispose egli. E il vostro nome? Antigono. E quello del padre? Filippo. Allora disse Caracalla: Ho tutto quel ch’io voleva; e il fece salire a più alto posto, e da lì a poco il creò senatore e pretore. Fu proposta davanti a lui la causa d’un certo Alessandro, non già Macedone, reo di molti misfatti. Perchè l’accusatore di tanto in tanto andava dicendo: Alessandro omicida; Alessandro odiato dagli dii. Caracalla, quasi che si parlasse di lui, saltò su gridando: Se non la dismetti di trattar così il nome di Alessandro, ti farò andar per le poste all’altro mondo. Conduceva anche seco molti elefanti, perchè ancor questo conveniva ad un vero imitator d’Alessandro e di Bacco. Ed ecco in quali mani era caduto in questi tempi il misero imperio romano. Furono nell’anno presente, se dice il vero Eusebio1808, terminate in Roma le terme antoniane, fabbricate d’ordine d’esso Caracalla. Sparziano1809 fa un bell’elogio di quell’edifizio, mirabile non meno per la magnificenza che per la bellezza dell’architettura. Resta ancora accertato, che laddove in addietro si contava per grazia grande il conseguire la cittadinanza di Roma, questo imperadore con suo decreto la diede a tutte le città del romano imperio: intorno a che molto hanno parlato i letterati illustratori delle cose romane.