Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/216

Anno 216

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Anno di Cristo CCXVI. Indizione IX.
ZEFIRINO papa 20.
CARACALLA imperad. 19 e 6.
Consoli

CATIO SABINO per la seconda volta e CORNELIO ANULINO

Certi sono i cognomi de’ consoli di quest’anno, cioè Sabino ed Anulino. Per conto dei nomi, un’iscrizione riferita dal Panvinio1810 e dal Grutero1811, si dice posta Q. AQVILLIO SABINO II. SEX. AVRELIO ANVLLINO COS. Ma essa dee essere falsa; o, se è legittima, appartiene a qualche altro anno. Perciocchè un’altra presso il medesimo Grutero1812 fu alzata CATTO SABINO II. ET CO. ANVLLINO COS., ed una parimente presso il Fabretti1813, C. ATIO SABINO II. ET CORNELIO ANVLINO COS. In vece di C. ATIO, credo io che s’abbia a leggere CATIO SABINO II., perchè, se questo primo console fosse ornato del prenome, anche il prenome dell’altro apparirebbe. Dopo avere1814 l’Augusto Caracalla passato il verno in Nicomedia, dove celebrò il suo giorno natalizio nel dì 4 di aprile, ripigliò il suo viaggio1815; ed arrivato alla città di Pergamo, celebre fra i Gentili pel tempio di Esculapio, dove si facea credere alla buona gente che quel falso dio in sogno rivelasse il rimedio dei mali del corpo: quivi Caracalla si raccomandò, e di cuore, a quella ridicola divinità, che pur non avea orecchi. Egli era malsano, e pativa varii mali, parte evidenti, parte occulti: effetti dell’intemperanza sua nella gola e nella libidine, per cui anche era divenuto inabile alla generazione1816. Sognò quanto volle; ma niun sollievo trovò a’ suoi malori. Visitò la città d’Ilio, e benchè i Romani si tenessero per discendenti dai Troiani, pure più onor fece, al sepolcro di Achille. Non si trovava chi facesse la figura di Patroclo. O di morte naturale o di veleno morì allora Festo, il più caro de’ suoi liberti; e quella vana testa di Caracalla gli fece far le esequie con tutte quelle cerimonie che sono descritte da Omero per Patroclo del suo poema. Di là passò ad Antiochia, dove per qualche tempo attese alle delizie, e dichiarò guerra al re de’ Parti. Ne prese motivo, perchè Tiridate ed Antioco, due de’ suoi uffiziali, erano disertati e passati al servigio di quel re, il quale, non ostante che da Caracalla ne fossero fatte più istanze, non li volle mai rendere. Trovavasi allora quel re in dispari, perchè in guerra con un suo fratello, e Caracalla si gloriava di aver seminato fra loro la discordia; però, per non tirarsi addosso anche la potenza romana, fu costretto a restitur que’ due uffiziali. Caracalla allora si quietò, al vedersi così rispettato e temuto; e fatto poi sapere ad Abgaro re di Edessa, o sia dell’Osroene, con amichevoli lettere, che desiderava di vederlo, questi sen venne; ma, credendo di trovare in Caracalla un imperador romano, vi trovò un traditore1817. Abgaro fu messo in prigione, e Caracalla s’impadronì di quella provincia, dove in fatti lo stesso Abgaro per la sua crudeltà era forte odiato da quella nobiltà. Confessano tutti gli storici che la simulazione e il mancar di fede non fu l’ultimo dei vizii di Caracalla. Anche nella guerra fatta in Germania avea lavorato di frodi, gloriandosi poi di aver colle sue arti messa rottura fra i Vandali e Marcomanni, ed attrappolato Gaiovomaro re de’ Quadi, con torgli anche la vita. Inoltre, avendo finto di voler arrolar nelle sue guardie moltissimi giovani di nazion germanica, gli avea poi fatti tagliare a pezzi. [p. 733 modifica]In questi tempi ancora bolliva la discordia tra il re dell’Armenia e i suoi figliuoli. Caracalla colla sua consueta infedeltà chiamò cadaun d’essi alla corte, facendo loro credere di volerli accordare insieme. L’accordo fu, che tutti li ritenne prigioni, figurandosi di poter fare il medesimo giuoco dell’Armenia che avea fatto dell’Osroene; ma s’ingannò. Que’ popoli presero l’armi per difendersi, senza volersi punto fidare di un principe che s’era troppo screditato colla sua perfidia. Avea Caracalla alzato al grado di prefetto del pretorio1818 Teocrito, uomo vilmente nato, già ballerino nei teatri, e divenuto a lui caro, perchè stato suo maestro nel ballo, e che per ammassar roba commise varie crudeltà1819, e facea anche sotto mano il mercatante. Presso Sifilino è detto essere stato tanta la di lui autorità nella corte, che la facea da superiore ai due prefetti del pretorio. Questo degnissimo generale fu da lui inviato con un corpo d’armata per sottomettere l’Armenia; ma da quei popoli rimase intieramente disfatto. Scrisse in questi tempi Caracalla al senato, con dire di saper bene ch’esso non sarebbe contento delle di lui imprese; ma che, tenendo egli una buona armata al servigio suo, avea in fastidio chiunque sparlasse di lui. Quindi volle passar in Egitto, con ispargere voce d’essere spinto da divozione verso Serapide, e da desiderio di veder la fiorita città di Alessandria, fabbricata dal suo caro Alessandro Magno1820. Arrivata1821 questa nuova in quella città, gli Alessandrini, gente vana, non cupando in sè stessi per l’allegrezza, si diedero a far mirabili preparamenti di addobbi, di musiche, di profumi per accogliere con gran solennità il regnante. Ma Caracalla, secondo il suo costume, doppio di cuore, si portava colà non per rallegrar que’ cittadini, ma per disertarli. Il natural di quel popolo era inclinato forte alla maldicenza, ed avea sempre in bocca motti frizzanti, specialmente contro ai potenti. In fatti, senza nè pur risparmiare l’imperador stesso, misero in canzone la morte da lui data al fratello, attribuendogli anche un disonesto commercio colla madre, e deridendo la piccola di lui statura, non ostante la quale egli si credeva un altro Alessandro e un nuovo Achille. I principi saggi, che non prendono mosche, non fan più caso di simili ciarle, di quel che si faccia delle ingiurie de’ pappagalli e delle gazze. Ma all’iracondo e bestial Caracalla esse trapassavano il cuore, e però ne volea far gran vendetta. Giunto ad Alessandria, visitato con divozione il tempio di Serapide, vi fece molti sagrifizii; andò al sepolcro di Alessandro, e vi lasciò de’ preziosi ornamenti. Gridavano gli Alessandrini: Viva il buon Imperadore; e lo sdegno sanguinario di Caracalla stava allora per piombar sulle loro teste. Erodiano scrive che, fatta raunar la gioventù di Alessandria fuori della città, che ascendeva a migliaia, fingendo di voler formare un falange ancora di Alessandrini, dopo averli fatti attorniare dal suo esercito, tutti ordinò che fossero messi a fil di spada. Orridissima fu quella strage. Dione1822 scrive che il macello seguì nella città di notte e di giorno, ed essere stato sì grande il numero degli uccisi, che impossibile fu il raccoglierlo1823. Vi perì gran copia ancora di forestieri venuti per veder quelle feste; il sacco fu dato ai fondachi a alle case, nè andarono esenti dalla rapacità militare que’ templi. E questi furono i nemici che il detestabil Augusto andò a cercare in Oriente per gastigarli. Divise poi la città in due parti, la privò di tutti i privilegii, e lasciovvi presidio, con divieto ai cittadini di far adunanze in avvenire. Perseguitò ancora i seguaci di Aristotile, con dire che quel filosofo era stato1824 cagion della morte di Alessandro, e levò loro le scuole che godevano [p. 735 modifica]in quella città. Da uno di quegli oracoli Caracalla fu chiamato una fiera; ma chi v’ha che non l’abbia a chiamar tale, e vedute crudeltà sì enormi? Anch’egli nondimeno si gloriava di questo, benchè molti poi facesse uccidere, perchè divulgavano l’oracolo suddetto. Tornossene questa fiera Augusta ad Antiochia, con animo di far una delle sue frodi anche ad Artabano re dei Parti. Se crediamo ad Erodiano1825, gli dimandò per moglie una di lui figliuola, proponendo nello stesso tempo di far una specie di unione delle due monarchie, sufficiente ad assoggettar tutto il mondo allora conosciuto. Non ne volea sentir parlare a tutta prima Artabano, ma poscia, accettato il partito, lasciò campo a Caracalla d’inoltrarsi nel suo regno, come s’egli andasse a prendere la sposa, e a visitar il re suocero. Venne da una certa città ad incontrarlo Artabano con immensa quantità di gente tutta inghirlandata e senz’armi. Allora Caracalla comandò a’ suoi di menar le mani contra de’ Parti, che, trovandosi privi di cavalli e d’armi, ed imbrogliati dalle vesti lunghe, nè poteano punto difendersi, nè speditamente fuggire. Gran carnificina vi fu fatta; il re ebbe tempo di scappare; restò il paese in preda ai Romani, i quali, stanchi del tanto uccidere e rubare, se ne tornarono finalmente nella Mesopotamia colla gloria di essere insigni traditori. Dione1826, all’incontro, lasciò scritto (ed è ben più verisimile il suo racconto) che avendo Artabano promesso la figliuola a Caracalla, e poi negatala, perchè s’avvide avere un sì perfido Augusto dei perniciosi disegni sopra il suo regno, e che non era uomo da fidarsi di lui; allora Caracalla ostilmente entrò nella Media, saccheggiò e smantellò varie città, e fra l’altre Arbela, e distrusse i sepolcri dei re parti. Si servì ancora di lioni, mandandoli a quelle genti1827. Dione nondimeno scrive che fu un solo lione, che, calato all’improvviso dal monte, fece del male ai Parti. Ora, quantunque niuna battaglia seguisse, perchè i Parti scapparono alle montagne, e di là dal fiume Tigri, pure il vano imperadore scrisse al senato magnifiche lettere di queste sue vittorie, colle quali avea conquistato tutto l’Oriente, e volle il titolo di Partico. Si sapeva a Roma quel ch’era, ma convenne far vista di credere illustri e memorande quelle imprese. Nelle monete1828 dell’anno seguente si trova menzionata la vittoria partica, ma non si vide già che egli prendesse il titolo di Imperadore per la quarta volta, benchè al Tillemont1829 sia sembrato di vederlo. Venne1830 poscia Caracalla coll’armata a prendere la stanza di verno nella città di Edessa, assai contento delle sue strepitose prodezze.