Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/184

Anno 184

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Anno di Cristo CLXXXIV. Indizione VII.
ELEUTERIO papa 14.
COMMODO imperadore 5.
Consoli

LUCIO COSSONIO EGGIO MARULLO e GNEO PAPIRIO ELIANO.

Al primo console Marullo ho io aggiunto il nome di Cossonio, ricavato da un’iscrizione, esistente nel Museo Capitolino, data alla luce da monsignor Torre, e prodotta anche nella mia raccolta1439. In una iscrizione del Gudio, rapportata dal Relando1440, il primo console si vede chiamato Marco Marullo, quando è certissimo che il suo prenome fu Lucio. Il secondo comparisce ivi col nome di Giunio Eliano; e pure nell’altre iscrizioni troviamo costantemente Gneo Papirio Eliano: tutte pruove che i fasti e l’erudizione antica debbono aspettar dal Gudio, in vece di un sicuro rinforzo, della confusione. Era, dissi, insorta una fiera guerra nella Bretagna1441, guerra la più lunga che si avesse Commodo ai suoi dì. Aveano i Barbari passato il muro, posto da Antonino Pio ai confini, e tagliato a pezzi il general romano con tutte le milizie che erano ivi di guardia. Portata questa funesta nuova a Roma, il vile Commodo tutto impaurito spedì tosto colà Ulpio Marcello, uomo di grand’animo, e di raro valore; chè di tali persone non era già perduto il seminario in Roma. Questi, per attestato di Dione, uomo modesto e severo, ma di una severità che si accostava all’asprezza, fece più volte conoscere la sua bravura ne’ combattimenti, nè mai si lasciò invischiare dall’amor de’ regali e della pecunia. Era vigilantissimo, e per maggiormente comparir tale, e tener anche vigilanti gli uffiziali di guerra, solea qualche sera scrivere dodici biglietti, con ordine ai suoi servi di portarli in varie [p. 601 modifica]ore della notte a diversi d’essi ufficiali, acciocchè credessero ch’egli allora vegliasse. Non si distingueva egli nel mangiare e vestire dai semplici soldati; anzi, per mangiar meno, si facea venire con bizzarria quasi incredibile fin da Roma il pane, come ognun può credere, ben secco e duro. Questo bravo uomo adunque gravissimi danni recò a que’ Barbari, e dovette dar loro una gran rotta, per cui si osserva nelle medaglie1442 che Commodo Augusto conseguì in questo anno non solamente per la settima volta il titolo d’Imperadore, ma anche quello di Britannico1443. Era egli già stato appellato Pio, adulatoriamente senza fallo, perchè egli nulla mai fece, per cui meritasse così bell’elogio. Nell’anno presente si aggiunse a’ suoi titoli quello di Felice. L’esempio suo servì poi ai susseguenti Augusti per più secoli, acciocchè cadaun d’essi fosse chiamato Pio Felice. Se non succedette nell’anno precedente, si dovrà almeno attribuire al presente la prima congiura tramata contra di Commodo. Abbiamo da Erodiano1444 ch’egli per pochi anni stette in dovere, e però probabil cosa è che in questo si sovvertisse il di lui ingegno, e che cominciasse il suo precipizio. Merita ben più di Lampridio d’essere qui ascoltato Erodiano, siccome storico che visse in que’ tempi e soggiornò in Roma. Quel mal arnese adunque di Perenne prefetto del pretorio, per dominar solo, avea già staccati dal fianco del giovane Augusto i migliori suoi consiglieri, con far subentrare in lor luogo una frotta di persone vili, e maneggiava già solo tutti gli affari: dal che può essere che prendesse origine l’odiosità dei buoni contra di Commodo. Comunque sia, la prima pietra dei disordini fu posta da Lucilla figliuola di Marco Aurelio, e sorella dello stesso Commodo. Per essere stata moglie di Lucio Vero imperadore, il padre, tuttochè la rimaritasse con Claudio Pompejano, pure le lasciò il titolo e gli onori di Augusta; ed essa nel teatro soleva assidersi in una sedia imperatoria, ed uscendo fuor di casa, le era portato innanzi il fuoco, come si faceva agli Augusti. Sposata che fu Crispina da Commodo, si vide obbligata Lucilla a cederle il primo luogo; ma gliel cedette con immensa rabbia, credendo fatto a sè stessa un gran torto per la sua anzianità in quell’onore, e da lì innanzi ne cercò sempre la vendetta. Non si arrischiò mai a parlarne con Pompejano suo marito, perchè sapeva quant’egli amasse Commodo. Passava fra lei e Quadrato, giovane nobilissimo e ricchissimo, appellato mastro di camera di Commodo da Dione1445, una stretta ed anche peccaminosa amicizia. Le tante querele di Lucilla trassero questo giovane a formar una cospirazione contro la vita di Commodo, in cui entrarono alcuni senatori ancora. Scelto fu per eseguir l’impresa un giovane di grande ardire per nome Quinziano. Lampridio il chiama Claudio Pompejano: sbaglio probabilmente suo o de’ copisti, benchè anco lo stesso scriva Zonara1446, anzi dice che fu lo stesso marito di Lucilla: errore massiccio. Ora Quinziano ito a postarsi in luogo stretto e scuro dell’entrata dell’anfiteatro, stette aspettando che arrivasse Commodo; ed allorchè il vide, sfoderato un pugnale, che tenea sotto nascosto, mattescamente gliel fece vedere con dire: Questo te lo manda il senato, e gli si avventò addosso. Se crediamo ad Ammiano1447, gli diede qualche ferita. Erodiano e Lampridio nol dicono. Certo è che lasciò tempo a Commodo di difendersi o di scappare. Preso dunque dalle guardie lo sconsigliato Quinziano, e messo ai tormenti da Perenne, rivelò i complici. Fu perciò relegata Lucilla nell’isola di Capri, e quivi da lì a qualche tempo uccisa. Tolta fu [p. 603 modifica]la vita a Quinziano, a Quadrato, ad Eletto, mastro anch’esso di camera di Commodo1448; e per attestato di Lampridio1449 1450, fecero il medesimo fine Norbana, Norbano e, Parelio colla madre sua. Il peggio fu, che il pugnale e l’assalto di Quinziano, e più le parole da lui proferite, restarono talmente impresse nella mente di Commodo, che sempre gli parea d’aver davanti agli occhi quello spettacolo, e da lì innanzi cominciò ad odiar tutti i senatori, come se veramente tutti avessero cospirato contra di lui, ed ordinato a Quinziano di fargli quel brutto complimento. Seppe ben prevalersi di questa congiuntura Perenne, per empiere di paura l’incauto principe, ed accrescere i suoi odii contra de’ più ricchi e potenti, con lavorar poi di calunnie a fine di processarli, e di arricchir sè stesso coi loro beni.