Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/100

Anno 100

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Anno di Cristo C. Indizione XIII.
Evaristo papa 5.
Trajano imperadore 3.


Consoli


Marco Ulpio Nerva Trajano per la terza volta, e Marco Cornelio Frontone per la terza.


Gran disputa fra gli eruditi illustratori de’ Fasti consolari1 è stata e dura tuttavia, senza aver mezzo finora da deciderla, quale sia stato il collega ordinario di Trajano nel presente consolato, cioè chi con lui procedesse console nelle calende di gennaio. Parve al cardinal Noris2 più probabile che fosse Sesto Giulio Frontino per la terza volta, scrittore rinomato per li suoi libri, conservati sino ai dì nostri. Poscia inclinò piuttosto a crederlo Marco Cornelio Frontone per la terza volta, come avea tenuto il Panvinio, e tenne dipoi anche il Pagi. L’imbroglio è nato dalla vicinanza dei cognomi di Frontone e Frontino. Certo è che Frontone fu console in quest’anno. E perciocchè sappiamo da Plinio3, essere stati designati per quest’anno oltre all’Augusto Trajano due altri, che serebbono consoli per la terza volta, perciò alcuni han creduto anche Frontino console nell’anno presente; ma senza apparire in qual anno preciso, tanto egli quanto Frontone, avessero conseguito gli altri due consolati. Credesi ben comunemente, che nelle calende di settembre[p. 386] fossero sostituiti in quella illustre dignità Cajo Plinio Cecilio Secondo comasco, celebre scrittore di lettere, e del panegirico di Trajano, ch’egli per ordine del senato compose e recitò in questa congiuntura, e Spurio Cornuto Tertullo, personaggio anch’esso di gran merito. Secondo il Panvinio e l’Almeloven, nelle calende di novembre succederono Giulio Feroce ed Acutio Nerva. Ma io4 ho prodotta un’iscrizione posta nel dì 29 di dicembre dell’anno presente, da cui ricaviamo essere allora stati consoli Lucio Roscio Eliano e Tiberio Claudio Sacerdote. Benchè fosse assai conosciuto in Roma il mirabil talento di Trajano Augusto, pure assunto ch’egli fu al trono, maggiormente comparì qual era, con vedersi inoltre un avvenimento ben raro, cioè ch’egli non mutò punto nella mutazion dello stato i buoni suoi costumi, anzi li migliorò; e che l’altezza del suo grado e della sua autorità servì solamente a far crescere le sue virtù. Fasto e superbia sparivano le azioni di molti suoi predecessori5. Continuò egli, come prima, la sua affabilità, la sua modestia, la sua cortesia. Ammetteva alla sua udienza chiunque lo desiderava, trattando con tutti civilmente, e massimamente onorando la nobiltà, ed abbracciando e baciando i principali: laddove gli altri Augusti, stando a sedere, appena porgeano la man da baciare. Gli stava fitta in mente questa massima, che un sovrano in vece d’avvilirsi coll’abbassarsi, tanto più si fa rispettare e adorare. Usciva egli con un corteggio modesto e mediocre; nè andavano già innanzi lacchè o palafrenieri per fargli largo colle bastonate, anzi egli talvolta si fermava nelle strade, per lasciar che passasse qualche carro o carrozza altrui. Per un imperadore era assai frugale la sua tavola, ma condita dall’allegria di lui e da quella di varie persone savie e scelte, [p. 387 modifica]ch'erano or l’una, or l’altra invitate6. Distinzione di posto non voleva alla sua mensa, nè sdegnava di andare a desinare in casa degli amici, di portarsi alle lor feste, di visitarli malati, di andar talvolta nelle loro carrozze. In somma, per quanto poteva, si studiava di trattar con tutti, non meno in Roma che per le provincie, con tanta civiltà e moderazione, come se non fosse il sovrano, ma un loro eguale, ricordando a sè stesso, che egli comandava bensì agli uomini, ma ch’era uomo anch’egli. E perchè un dì gli amici suoi il riprendevano, perchè eccedesse nella cortesia verso d’ognuno, rispose quelle memorande parole: Tale desidero d’essere imperadore verso i privati, quale avrei caro che gl’imperadori fossero verso di me se fossi uomo privato. Lo stesso Giuliano Apostata7, che andò cercando tutte le macchie e i nei dei precedenti Augusti, non potè non confessare, che Trajano superò tutti gli altri imperadori nella bontà e nella dolcezza: il che punto non facea scemare in lui la maestà, e ne’ sudditi il rispetto verso di lui. Per questa via, e col mostrar amore a tutti, egli era sommamente amato da tutti, odiato da niuno; e dappertutto si godeva una somma pace e un’invidiabil tranquillità, come si fa nelle ben regolate famiglie.

L’adulazione come in paese suo proprio suol abitar nelle corti; non già in quella di Trajano, che l’abborriva8. E però neppur gradiva che se gli alzassero tante statue, come in addietro si era praticato con gli altri Augusti, e di rado permetteva che si gli facesse quest’onore, nè altri che puzzassero di adulazione. Per altro mostrava egli piacere, che il nome suo comparisse nelle fabbriche da lui fatte o risarcite, e nelle iscrizioni de’ particolari; laonde apparendo poi esso in tanti luoghi, diede motivo ad alcuni[p. 388] di chiamarlo per ischerzo9 Erba Parietaria, erba che si attacca alle muraglie. Ma conferendo le cariche, neppur voleva esserne ringraziato, quasi ch’egli fosse più obbligato a chi le riceveva, che essi a lui. Le ordinarie sue occupazioni consistevano in dar udienze a chi ricorrea per giustizia, per bisogni, per grazie, con ispedir prontamente gli affari, specialmente quelli che riguardavano il ben pubblico. Sapeva unire la clemenza, la piacevolezza colla severità e costanza nel punire i cattivi, nel rimediare alle ingiustizie de’ magistrati, nel pacificar fra loro le città discordi. Sotto di lui in materia criminale non si proferiva sentenza contro di chi era assente; nè per meri sospetti, come si usava in addietro, si condannava alcuno. Un bellissimo suo rescritto vien riferito ne’ Digesti10, cioè: Meglio è in dubbio lasciar impunito un reo, che condannare un innocente. Sotto altri principi il fisco guadagnava sempre le cause. Non già sotto Trajano, che anche contra di sè amava che fosse fatta giustizia. Quanto era egli lontano dal rapire la roba altrui, altrettanto era alieno dal nuocere o inferir la morte ad alcuno. A’ suoi tempi un solo de’ senatori fu fatto morire, ma per sentenza del senato, e senza notizia di lui, mentre era lungi da Roma: tanto era il rispetto ch’egli professava a quel nobilissimo ordine11. Ed appunto in quest’anno fu bel vedere, come creato console egli si contenesse nel senato, in esercitando quest’eminente dignità. Nel primo giorno dell’anno volle salito in palco nella pubblica piazza prestare il giuramento di osservar le leggi, solito a prestarsi dagli altri consoli, ma non dagl’imperatori, che se ne dispensavano. Portatosi al senato, ordinò ad ognuno di dire con libertà e sincerità i lor sentimenti, con sicurezza di non dispiacergli. Così diceano [p. 389 modifica]anche gli altri Augusti, ma non di cuore, e i fatti poi lo mostravano. Ordinò ancora, che ai voti, i quali non meno in Roma che per le provincie nel dì 3 di gennaio si faceano per la salute dell’imperadore, s’aggiugnesse questa condizione: Purché egli governi a dovere la Repubblica e procuri il bene di tutti. Egli stesso in pregare gli dii per sè medesimo, solea dire: Se pure la meriterò, se continuerò ad essere quale sono stato eletto, e se seguirò a meritar la stima e l’affetto del Senato. Con tal pazienza accudiva egli ai pubblici affari, ascoltava i dibattimenti delle cause, e con tanta attenzione distribuiva le cariche, promovendo sempre chi andava innanzi nel merito, che il senato non potè contenersi dal palesar la sua gioia con delle acclamazioni, che mossero le lagrime al medesimo Trajano, coprendosi intanto il di lui volto di rossore, cioè di un contrassegno vivo della sua modestia. E verisimilmente il senato circa questi tempi conferì a Trajano il glorioso titolo di Ottimo Principe. Plinio nelle sue epistole parla di molte cause agitate in questi tempi nel senato, con aver Trajano ben disaminati i processi, e custodita rigorosamente l’osservanza delle leggi. Il primo gran dono che fa Dio agli uomini, quello è di dar loro un buon naturale, un intendimento chiaro e un’indole portata solamente al bene. Convien ben dire, che ottimo fosse il talento di Trajano, dacchè confessano gli storici, ch’egli poco o nulla avea studiato di lettere, ed era mancante d’eloquenza. Ma il suo ingegno e giudizio, e il pendìo a quel solo che è bene, supplivano questo difetto. E però, benchè non fosse letterato, sommamente amava e favoriva i letterati, e chiunque era eccellente in qualsivoglia professione.

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Anno di Cristo CI. Indizione XIV.
Evaristo papa 6.
Trajano imperadore 4.


Consoli


Marco Ulpio Nerva Trajano per la quarta volta, e Sesto Articolajo.


Credesi che l’uno di questi consoli avesse nelle calende di marzo per successore nel consolato Cornelio Scipione Orfito, e che nelle calende di marzo fossero sostituiti Bebio Macro e Marco Valerio Paolino; e poi nelle calende di luglio procedessero colla trabea consolare Rubrio Gallo e Quinto Celio Ispone. Trovasi un’iscrizione, da me12 riferita, posta a Marco Epulejo (forse Apulejo) Procolo Cepione Ispone, ch’era stato console. Sarebbe da vedere se si tratti del suddetto Ispone. Per me ne son persuaso, quantunque chiaro non apparisca in qual anno cada il di lui consolato. Han creduto molti storici, che in quest’anno avvenisse la prima guerra di Trajano contra dei Daci. Tali nondimeno son le ragioni addotte dal giudiziosissimo cardinal Noris13, che pare doversi la medesima riferire all’anno seguente. Nulladimeno il Tillemont14, scrittore anch’esso accuratissimo, inclinò a giudicarla succeduta in questo anno. Più sicuro a me sembra il differirla al seguente, quantunque si possa credere cominciata la rottura nel presente. Già vedemmo fatta da Domiziano una vergognosa pace con Decebalo re dei Daci, a cui egli s’obbligò di pagare ogni anno certa somma di danaro a titolo di regalo, che in fatti era un tributo. All’animo grande di Trajano parve troppo ignominiosa una sì fatta concordia e condizione, nè egli si sentì voglia di pagare15. Per questo rifiuto Decebalo cominciò a formare un possente armamento, e a minacciar le terre

  1. Panvinus, Pagius, Tillemont, Stampa.
  2. Noris, Ep. Consul.
  3. Plinius in Panegyr.
  4. Thesaurus Novus Inscript., pag. 305, n. 5.
  5. Plinius in Panegyr.
  6. Eutropius in Breviar.
  7. Julianus de Caesaribus.
  8. Plinius in Panegyrico.
  9. Ammianus lib. 27. Aurelius Victor in Epitome.
  10. Lege 5. Digestis de Poenis.
  11. Plinius in Panegyr.
  12. Thesaurus Novus Veter. Inscript. pag. 316.
  13. Noris, Epistola Consulari.
  14. Tillemont, Mémoires des Empereurs.
  15. Dio., lib. 68.