Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/101
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Anno di | Cristo CI. Indizione XIV. Evaristo papa 6. Trajano imperadore 4. |
Consoli
Marco Ulpio Nerva Trajano per la quarta volta, e Sesto Articolajo.
Credesi che l’uno di questi consoli avesse nelle calende di marzo per successore nel consolato Cornelio Scipione Orfito, e che nelle calende di marzo fossero sostituiti Bebio Macro e Marco Valerio Paolino; e poi nelle calende di luglio procedessero colla trabea consolare Rubrio Gallo e Quinto Celio Ispone. Trovasi un’iscrizione, da me1 riferita, posta a Marco Epulejo (forse Apulejo) Procolo Cepione Ispone, ch’era stato console. Sarebbe da vedere se si tratti del suddetto Ispone. Per me ne son persuaso, quantunque chiaro non apparisca in qual anno cada il di lui consolato. Han creduto molti storici, che in quest’anno avvenisse la prima guerra di Trajano contra dei Daci. Tali nondimeno son le ragioni addotte dal giudiziosissimo cardinal Noris2, che pare doversi la medesima riferire all’anno seguente. Nulladimeno il Tillemont3, scrittore anch’esso accuratissimo, inclinò a giudicarla succeduta in questo anno. Più sicuro a me sembra il differirla al seguente, quantunque si possa credere cominciata la rottura nel presente. Già vedemmo fatta da Domiziano una vergognosa pace con Decebalo re dei Daci, a cui egli s’obbligò di pagare ogni anno certa somma di danaro a titolo di regalo, che in fatti era un tributo. All’animo grande di Trajano parve troppo ignominiosa una sì fatta concordia e condizione, nè egli si sentì voglia di pagare4. Per questo rifiuto Decebalo cominciò a formare un possente armamento, e a minacciar le terre dell’imperio con delle sgarate. Forse anche le sue genti commisero qualche ostilità. Portossi perciò nell’anno susseguente l’Augusto Trajano in persona a que’ confini, per dimandargliene conto; ed allora, come io vo’ credendo, ebbe principio la prima guerra dacica. Non istette certamente in ozio in questi tempi Trajano. Stendevasi la di lui provvidenza e liberalità a tutte le parti dell’imperio. Abbiamo da Eutropio5, ch’egli riparò le città della Germania, situate di là dal Reno. Potrebbe ciò essere succeduto nell’anno presente. E senza questo noi sappiamo ch’egli fece far infinite fabbriche per le città romane, e porti, e strade, ed altre opere, o per utilità o per ornamento; ed era facile a concedere ad esse città privilegi ed esenzioni, e a sollevarle ne’ lor bisogni. Tale ancora il provavano i particolari. Bastava avere avuta con lui anche una mediocre familiarità, e poi chiedere. A chi ricchezze, a chi compartiva onori, rimandando consolati gli altri colla promessa di dar ciò che allora non potea. Ma particolarmente premiava egli chi avea più merito; e laddove sotto i precedenti Augusti chi era uomo di petto, e odiava la servitù, e solea parlar franco, o dispiaceva, o correva pericolo dell’esilio o della vita: questi da Trajano erano i più stimati, ben voluti ed esaltati. E tuttochè la nobiltà sua propria si stendesse poco indietro, pure gran cura avea egli di chi procedeva dagli antichi nobili romani, e li preferiva agli altri negl’impieghi. Ne’ tempi addietro troppo spesso si vide, che i liberti degl’imperatori la faceano da padroni del pubblico e della corte stessa6. Trajano, scelti i migliori fra essi, se ne serviva bensì, e li trattava assai bene; ma in maniera che si ricordassero sempre della lor condizione, e d’essere stati schiavi; e che, per piacere, altra maniera non v’era, che d’essere uomini dabbene[p. 392] e persone amanti dell’onore7. Proibì alle città il far dei regali col danaro del pubblico, ma non volle che si potessero ripetere i fatti prima di venti anni addietro, per non rovinar molte persone, conchiudendo il suo rescritto a Plinio: Perchè a me appartiene di non aver men cura del bene de’ particolari, che di quello del pubblico. Così procurava egli anche alle città il risparmio delle spese. Però sapendo8 questa sua buona intenzione Trebonio Rufino, duumviro, cioè principal magistrato scelto dal popolo di Vienna del Delfinato, proibì che si facessero in quella città i giuochi ginnici, i quali, oltre alla spesa, riuscivano anche scandalosi e contrari a’ buoni costumi, perchè gli uomini nudi alla presenza di tutto il popolo faceano la lotta. S’opposero i cittadini. Fu portato l’affare a Trajano, che raccolse i voti de’ senatori. Fra gli altri Giulio Maurino sostenne, che non si doveano permettere que’ giuochi a quelle città, e poi soggiunse: Volesse Dio, che si potessero anche levar via da Roma, città perduta dietro a simili sconci divertimenti.