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XII XIV

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Siamo interni!


Mi confesso. Quando concepii l’idea di scrivere le mie impressioni, quando cioè erano già incominciate le prime pagine e vedevo che il lavoro mi cresceva tra le mani, domandai a un celebre scrittore: Come si fa a scrivere un libro nel quale vogliamo dire tutto ciò che abbiamo nel cuore?

Lo scrittore mi guardò sorridendo, ma con una espressione di interesse e di bontà somma.

— Per chi fate questo libro? Per il pubblico?

— Oh! no.

Risposi questo no così risolutamente che egli soggiunse subito: [p. 127 modifica]

— Quand’è così, non preoccupatevi del metodo. Aprite il vostro cuore come gli antichi esponevano le arpe eolie al cozzo dei venti e lasciatelo cantare, lasciatelo gridare.

Voi lo avete conosciuto quello scrittore e un poco, alla vostra maniera, lo avete amato. Non appartiene a nessuna scuola; vive fuori del mondo, sente immensamente, scrive sinceramente. Seguo il suo consiglio.

Le maggiori gioie della mia vita le devo a questa risoluzione che mi fece entrare nell’arte: penso spesso all’antica credenza di una fata pronuba alle culle. La mia fata, dopo di avere distribuito largamente bellezza, forza, denaro, ingegno, fortuna, affetti di famiglia, non trovando nessuno di questi beni da potermi offrire intero, deve aver detto: Diamo a questa fanciulla un’anima di [p. 128 modifica]artista, e sarà compensata di tutto. Grazie mia buona fata!

Noi abbiamo letta insieme la prefazione al giornale intimo di Amiel, e ricorderete quel passo che mi sono attribuita: “L’intensità della vita interna rende inetti alla parte di uomo. Un contemplatore come Amiel non ci mette nessun interesse a persuadere gli spiriti o a piegare le volontà. Io non penso mai al pubblico, scrive Amiel, e provo una gioia sufficiente nel partecipare a un mistero, nell’indovinare una cosa profonda, o toccare una realtà sacra. Conoscere mi basta, esprimere mi sembra qualche volta profanare.„

Mi avete qualche volta rimproverata la mia avversione alla vita attiva, al fare; ecco la mia giustificazione. Se avessi fatto, se avessi detto, sarei come tutti gli altri. [p. 129 modifica]

Il mio successo, è pur d’uopo riconoscerlo, lo devo a questa intensità di vita racchiusa, a questa partecipazione solitaria e gelosa di ciò che Amiel chiama con tanta efficacia il mistero. Fino dai primi passi sulla scena, avevo adottato per divisa il verso di un poeta ignoto e profondo:

Tous entendront ma voix, nul ne verra mes pleurs.

Invano il pubblico pettegolo e la critica superficiale hanno voluto scoprire la mia individualità nei diversi personaggi che rappresentavo; ho custodito bene il mio segreto, i miei sentimenti e le mie esperienze. Del resto non c’è nessuna esperienza umana che non si possa riassumere in due parole: ho sofferto, ho fatto soffrire.

Ma soffermatevi ancora, vi prego, al significato di quel bellissimo verso: “la mia voce sarà intesa da tutti e nessuno [p. 130 modifica]vedrà il mio pianto„ non è questo il segreto delle opere d’arte che scuotono le anime? Il pubblico crede alla storiella che il poeta gli racconta, si commove per Margherita, per Ermengarda, per Eloisa, che non sono mai esistite, che importa? Che importa il nome quando la fiamma è rovente e brucia dove tocca? I più furbi pensano: in questi personaggi l’autore ha rappresentato sè stesso; e cercano i particolari, gli accessori di sfondo, si smarriscono nella parola, nei piccoli ripieghi di forma, ignorando la lunga e profonda elaborazione artistica, dove dallo sposalizio fra la sensazione e l’arte nasce un frutto che la gente può ammirare o biasimare, qualche rara volta intendere, spiegare completamente mai.

Un piccolo critico oscuro disse una volta: “Come si capisce che recita per sè!„ Voleva farmi un complimento o [p. 131 modifica]un’offesa? non mi sono mai curata di saperlo; comunque egli disse una grande verità. Ma certo che recito per me; che cosa credeva dunque? È il calzolaio che fa le scarpe per gli altri, l’artista lavora sempre per sè.

Entrai nell’arte drammatica per soddisfare un bisogno dell’anima mia; avrei preferito di essere poeta o prosatore, se queste cose si potessero scegliere; ho preso la voce di quelli che sapevano meglio parlare alla mia intelligenza, non avendo una intelligenza propria da comunicare altrui, e siccome conservavo sul palcoscenico lo stesso soggettivismo spontaneo, siccome non ho mai veduto il pubblico, non l’ho mai guardato, non ho mai pianto nè riso per esso, sibbene sparsi lagrime mie davanti a migliaia di persone, così sola e così lontana da loro che un chiostro non mi avrebbe protetta meglio, fu [p. 132 modifica]dappertutto una meraviglia. Si attribui ad uno studio eccezionale una forma eccezionale di sensibilità, e il trionfo mi giunse tanto inaspettato che stentai ad abituarmivi.

Tale incoscienza è forse la parte più piacevole del genio di un artista, ed è quella che porta il suggello della sua origine superiore, non vi pare?

L’argomentazione è il linguaggio della scienza, quello dell’arte è la divinazione. Si suggerisce ai giovani la buona volontà, ma con della buona volontà si trasporta ad uno ad uno un mucchio di sassi, non si crea un sol verso immortale e nemmeno si riesce a far passare nel pubblico quel brivido che provavo io stessa gridando oh! mia patria. Guardate, ancora adesso scrivendolo mi sento gelare dalla testa ai piedi.

Patria! parola magica. Si stanno cancellando i confini delle nazioni, la patria [p. 133 modifica]non è già più circoscritta fra dati monti e dati mari, ma per essere meno concreta non è meno reale. Io e voi non abbiamo forse una patria comune che non è la terra comune? E sparsi per il mondo, ignorati, lontani, divisi, non vivono forse i nostri fratelli?

L’unione dei simili è un sentimento naturale che nessuna dottrina varrà mai a distruggere. Gli anarchici stessi che rinnegano patria e famiglia si amano e si riuniscono tra loro propagando quel sentimento che vorrebbero annichilire. Lasciamo dunque che le parole mutino a lor posta, lasciamo che il volgo si attacchi ad esse; che valore hanno le parole se non quello affatto transitorio e superficiale dei vestiti che si logorano e cadono a lembi? La verità che sta dentro di essi, come la fiamma nella lampada, è sola immobile. Non è questa che noi cerchiamo?