Anima sola/XII
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Chi è ape?
Fioriva (recente ne è la memoria) un dolce aprile ed io uscivo dalla porta S. Agostino a Bergamo, prendendo la viuzza a sinistra che discende il monte.
Pensavo che voi non conoscete Bergamo, la leggiadrissima, ed io ve la mostravo col pensiero nella pompa maestosa del suo passato, che si ammanta di così nuove e sempre rinascenti bellezze. All’azzurro intenso del cielo, all’incanto della valle, al tenero verde che sorge tutto intorno univo la vostra immagine. Saliva, odorava il vostro nome per l’aria insieme al profumo della glicine elegante ricordandomi una vostra frase “l’eleganza! questa qualità rara„, frase che scolpisce il lato mancante di una gran parte dell’arte moderna.
E tutto un ordine di idee elevate — le vostre idee — mi vennero al fianco, mi accompagnarono ora silenziose ora loquaci, così come voi stesso m’avreste accompagnata. Dov’erano i vostri occhi profondi? Lì, essi erano, io li vedevo; e vedevo la vostra bocca dal sorriso spirituale. La mia ammirazione si duplicava evocando quella che voi avreste risentita. Voi avreste detto (lo sapevo certissimamente) “Quanta purezza!„ ed io avrei risposto: È vero.
Sopra, negli orti pensili delle mura, giù, lungo il molle declivio, fra l’ombra dei pergolati, sulle grondaie spioventi, intorno alle finestre, nel cavo delle porte abbandonate ramificava l’edera e la vite, il convolvolo e il caprifoglio, e negli interstizi dei vecchi sassi si allargavano con grandi macchie verdi e rosate i garofani di cinque foglie, i ranuncoli, le bocche di leone, e sui davanzali gelosamente custoditi fiammeggiavano i geranei doppi dal colore intenso di porpora. Pensavo. Chi è ape? Formiche, farfalle, moscerini, verminuzzi, tutti salgono o strisciano verso il fiore, ma chi sa estrarre il miele, chi è ape?
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Sulla viuzza deserta così bianca e soleggiata in mezzo al verde, un passo d’uomo risuonò dietro a me. Se foste stato Voi!! Nello stato quasi ipnotico in cui mi trovavo le linee della realtà si perdevano nei vapori del sogno. Mi volsi rapidamente. Era un giovine bello e gentile abbastanza per non profanarvi troppo, ed io gliene fui quasi riconoscente e come m’ero fermata in quella attitudine estatica, egli pure si fermò. L’ombra del mio parasole mi circondava di una specie di velo attraverso il quale lo guardai; ma lo guardai pensando a voi, cercandovi, ed egli pure mi guardò per un attimo come se mi conoscesse o aspettasse da me una rivelazione. Strani questi sguardi che corrono talvolta da uomo a donna, carichi di rimembranze e di desideri, improvvisi, audaci, nudi, lasciando l’impressione di uno sbalordimento, come un dardo che colpisce senza sapere d’onde sia venuto, destinato ad altri, vero? Il momento, fatto di imbarazzo e di non so quale recondita curiosità non può prolungarsi. Per uscirne in qualche modo, domandai se era quella la direzione dell’Accademia Carrara.
Andavo all’accademia perchè mi avevano detto che vi sono tre madonne di Giambellini, o mio Maestro, vedete bene che vi andavo con voi! Non siete stato voi a farmi conoscere questo re del sentimento?
Passando dalla luce bianca della strada alla penombra della pinacoteca, ogni impressione esterna svanì. Avevo davanti agli occhi intera e precisa la nostra Madonna, quella che è la vera madre di Gesù; così pallida, così triste sotto il manto verde, colle pupille stanche fissa nel vuoto e presaghe; pupille che vedono già la via dolorosa; che attendono, che sanno! Avevo davanti agli occhi quella bocca già suggellata dal mistero doloroso, quella linea che taglia la guancia portandole via tutto ciò che potrebbe restarvi di innocente voluttà; così spiritualmente e severamente bella! Ricordai la meraviglia estatica che ci prese entrambi quando la vedemmo per la prima volta a Brera, e come ci fu impossibile di parlare, e come ci stringemmo la mano in silenzio, un po’ affannati, voi pallido per l’emozione ed io rossa. E poi come, adagio adagio, rattenendo la voce qual si costuma in luogo sacro, vi dissi: “Guardate anche il piccoletto Gesù. Avete mai visto niente di simile? È veramente il figlio di quella madre, le somiglia, ha gli stessi occhi intenti e velati, ha la stessa bocca che non potendo essere triste della tristezza dell’uomo maturo, si atteggia a un pianto muto di bimbo sorpreso da un grande schianto.„ E voi rispondevate di sì, colla testa. “Nessun pittore ha mai pensato alla necessaria rassomiglianza fra madre e figlio, sopratutto fra questa madre e questo figlio. Come ciò è grande, nevvero?„ Voi ancora rispondevate di sì, colla testa. “Osservate, osservate. Il frutto che egli tiene in mano sta per cadergli, e non se ne preoccupa, non se ne cura.... è forse un bimbo come gli altri, Lui? — Sì, sì, pronunciaste finalmente, tutto ciò è grande. Giambellini in questa Madonna ha superato se stesso.
Rifacendo tutta questa scena nella mia mente mi accorsi di trovare in essa nuove dolcezze. Sarebbe dunque vero che un ricordo felice è talvolta più dolce della stessa realtà? La gioia fuggitiva dell’istante si accresce e perdura cogli istanti che vi aggiunge il pensiero?
Lungo i muri della pinacoteca sfilavano quietamente le battaglie del Borgognone, i contadini di Tenier, i paesaggi dello Zuccarelli. Nell’altissimo silenzio risuonava appena il passo del guardiano che mi accompagnava (il mio sapete, non fa rumore). Cercavo le madonne di Giambellini con una curiosità appassionata e piena di desiderio, guardando distratta i ritratti del Moroni che nereggiano fra le tinte calde della scuola Tizianesca.
Una bella madonnina di Gaudenzio Ferrari mi sorrise dalla sua alta cornice. “Non sei tu„ mormorai passandole davanti. Ma fui presa improvvisamente da due strane teste del Mantegna. Che ne avreste pensato Voi? Questa divenne la mia preoccupazione più acuta. Che ne avresti pensato Voi? Sentivo la vostra ammirazione; china sulla tela vedevo l’ombra del vostro profilo attento, serio, e le vostre labbra sottili che si stringevano ancor più nella intensità dell’osservazione. La cameretta contenente il quadro del Mantegna era piccina, una specie di gabinetto annesso alla galleria principale; il guardiano non mi aveva seguita, ero sola davanti al capolavoro e così sola, nel rapimento dell’ammirazione, mormorai: Lawrance...
Squisito piacere questo di pronunciare un nome caro in cospetto della bellezza!
Ma mi parve — poichè vi sentivo così vicino a me — che anche l’anima vostra volasse lontano, là, alla nostra madonna; e che voi pure tornaste a vederla così pallida, così triste, e più commovente e più vera di quella del Mantegna, più grande sopratutto nella sua straordinaria malinconia interna che ci faceva tanto pensare davanti a Lei.
E non guardai più nulla, nemmeno le altre madonne di Giambellini per le quali ero venuta.
Lawrance... mormorai ancora, uscendo fuori nella viuzza soleggiata che mi fece chiudere le palpebre, cui sotto tremava l’immagine della Madre del Dolore.