Amorosa visione/Capitolo XXVII
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CAPITOLO XXVII.
Mostravasi ivi ancora effigïata
La valle d’Ida profonda ed oscura,
D’alberi molti e di frondi occupata:
Ove io discernetti la figura
5Di quel Paris piacevole Troiano,
Per cui Troia sentì la sua arsura.
Sol si sedeva là nel loco strano,
Davanti al qual Pallade, Giuno e Venere,
Eran con una palla d’oro in mano
10Senza alcun vestimento, ignude, tenere,
Bianche e vermiglie quivi e delicate
Le mi pareva nel sembiante scernere;
E diceano a Paris: in cui biltate
Di noi più vedi, questo pomo d’oro
15Donalo a lei, quando ci avrai avvisate.
Dal capo al piè rimirava costoro
Paris, ciascuna bella li parea,
Onde fra sè dicea: deh, quale onoro?
Ognuna d’esse a esso promettea,
20Chi senno, e chi ricchezze, e chi amore
Di bella donna, pur ch’a lei lo dea.
Non si sapea esaminar nel core
Paris qual d’esse più biltate avesse,
Nè qual ben si pigliar per lo migliore.
25Nel lungo esaminare infine elesse
Venus per la più bella, e diéllo a lei,
Su condizione ch’ella gli attenesse
A farli avere in sua balía colei,
Cui ella avea lodata per sì bella,
30Che nulla n’era simile di lei.
A cui pareva che rispondesse ella:
Va’ tu per essa, che col mio aiuto
Io farò sì che tua si sarà quella.
Costui vid’io poco appresso saluto
35Sur una nave, e dar le vele al vento,
E tosto in Isparta esser venuto;
Ove disceso senza tardamento,
Andando Menelao inverso Creti,
A fornir cominciò suo intendimento.
40Ma dopo molte cose quivi lieti,
Egli ed Elena bella e grazïosa
Saliti in nave, pe’ salati freti
Poste le vele senza alcuna posa
Tornava a Troia; e quivi si mostrava
45La vita lor quanto fosse gioiosa.
Ivi Enone ancora lagrimava
Il perduto marito, e con pietose
Parole a sè invano il richiamava.
Là si vedea Ifi e Jante amorose
50Far festa pria che maschio ritornasse
Que’ che ’l suo sesso tanto tempo ascose.
Appresso mi parea che seguitasse
Laodamia bella sospirando,
Come se del suo mal s’indovinasse.
55Ravviluppata tutta, e non curando
Di sè, Protesilao di bella cera
S’aveva fatto, lui raffigurando,
E poi a quella innanzi posta s’era
In ginocchion, dicendo: signor mio,
60Se io ti sono amanza, e donna vera
Leal, come dicesti, fa’ che io
Ti veggia ritornar con quella gloria,
Ch’io l’arme tue presenti al forte Iddio.
A que’ c’hanno mestier della vittoria
65Lasciali pria combatter, che ’l periglio
Proprio fuggi; ch’ognor ch’a memoria
Viemmi quel ch’io già in alcun pispiglio
Udii d’Ettor, che tanti cavalieri
Contasta combattendo, ogni consiglio
70In me fugge di me, e volentieri
Nel tuo andare ti vorrei aver detto,
Ch’alla battaglia tu fossi il derrieri.
Sola mia gioia, solo mio diletto,
Fa sì ch’io sia di tua tornata lieta,
75Che senza te mai gioia non aspetto.
In tal maniera quivi mansueta
Si stava Laodamia, talvolta
D’angosciosi sospir tutta repleta.
Or era ancora inverso lei rivolta
80Penelope, che ascoltando Ulisse
Giammai non fu dal suo amor disciolta,
Nella qual tenend’io le luci fisse,
Fra me volgea quanto fosse il disire
Di que’ che mai non cre’ ch’a lei reddisse:
85E quanto volle del mondo sentire,
Che per voler veder trapassò il segno,
Dal qual nessun potè mai in qua reddire,
Io dico, forza usando nel suo ingegno.