Amorosa visione/Capitolo XX
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CAPITOLO XX.
Ora io vidi in ordine dipinto
Siccome Bacco per forza d’amore
In forma d’uva ad amar fu sospinto
La figlia di Licurgo, il cui ardore
5Quivi con lei in braccio si vedea
Temperar, non in forma nè in colore
Che si sdicesse: e ’l simil mi parea
D’Erigone, e del suo gran disio
Così sè quivi si soddisfacea.
10Ivi seguiva poi al parer mio
Pan, che Siringa gia perseguitando,
Ch’avanti si fuggiva in atto pio,
E lei fuggente l’andava pregando,
Ma ’l pregar non valeva, anzi tornata
15In canna poi la vidi in forma stando.
Poi di quella i bucciuoli spessa fiata
Sonati fur, perocchè primamente
Da esso fu la zampogna trovata.
Appresso lui vi vid’io il dolente
20Saturno in forma di cavallo stare,
A Filira accostarsi dolcemente.
Così appresso vi vidi, o ciò mi pare,
Pluto li tristi regni abbandonati
Avere, e quivi intender ad amare;
25E a lui presso con atti sfrenati
Prender vedea Proserpina, e con essa
Fuggirsi a’ regni di luce privati:
Pur con istudio, e con noiosa pressa,
Come se stato fosse seguitato
30Da Giove, per volerlo privar d’essa.
Oltre nel loco vidi figurato
Mercurio con Erse molto stretto,
Amando lei dimorava abbracciato,
Insieme avendo piacevol diletto.
35Dopo ’l quale io vedeva tutto bianco
Borea quivi con un freddo aspetto:
Questi gli regni abbandonati, stanco
In Etiopia giugneva a vedere
Ortigia, che a sè dal lato manco
40Vedeva quivi in la faccia sedere,
E abbracciata lei tenendo stretta,
Appena seco gliel pareva avere.
A lui seguiva poi la giovinetta
Tisbe, che fuor di Babilonia uscia,
45E verso un bosco sen giva soletta;
Nè lì guari fornita la sua via,
Lontano un velo lasciava fuggendo
Per un leon che pure a ber venia
Della fontana, dov’ella attendendo
50Piramo, si posava nell’oscura
Notte: così se n’entrava correndo
Ove già fu la vecchia sepoltura
Di Nino: e poi si vedeva venire
Piramo là con sollecita cura:
55A sè intorno mirando, se udire
O veder vi potesse se venuta
Vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.
Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,
Perchè la luna risplendeva molto,
60La vesta che a Tisbe era caduta;
Tutto stracciato e per terra rivolto
Con un mantello il bel vel sanguinoso,
Perchè tututto si cambiò nel volto:
Ricogliendol, sì parea che doglioso
65Dicesse: oimè Tisbe, chi ti uccise?
Chi mi ti tolse, dolce mio riposo?
Ontoso tutto lagrimando mise
La mano ad uno stocco ch’avea seco,
Col qual dal corpo l’anima divise.
70Parea dicesse piangendo: con teco,
Tisbe, moro, acciocch’all’ombre spesse
Di Dite, lasso, ti ritrovi meco;
E sbigottito parea che cadesse
Quivi sopra ’l mantello a piè d’un moro,
75E del suo sangue i suoi frutti tignesse.
Non dilettava a Tisbe il gran dimoro
Colà dond’era; uscì, e disse: forse
Quella bestia è pasciuta, e già non loro
Son use a noi far male: e oltre corse
80Alla fontana; e non credea che fosse
Essa, quando le more rosse scorse.
In ciò mirando tutta si percosse,
Quando Piramo vide ancor tremante,
E dal suo petto il ferro aguto mosse,
85E ’n su quel si gittò, dicendo: amante,
Io son la Tisbe tua, mirami un poco
Anzi ch’io muoia: e più non disse avante,
Rimirandolo cadde morta al loco.