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CAPITOLO XX. 83

Della fontana, dov’ella attendendo
     50Piramo, si posava nell’oscura
     Notte: così se n’entrava correndo
Ove già fu la vecchia sepoltura
     Di Nino: e poi si vedeva venire
     Piramo là con sollecita cura:
55A sè intorno mirando, se udire
     O veder vi potesse se venuta
     Vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.
Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,
     Perchè la luna risplendeva molto,
     60La vesta che a Tisbe era caduta;
Tutto stracciato e per terra rivolto
     Con un mantello il bel vel sanguinoso,
     Perchè tututto si cambiò nel volto:
Ricogliendol, sì parea che doglioso
     65Dicesse: oimè Tisbe, chi ti uccise?
     Chi mi ti tolse, dolce mio riposo?
Ontoso tutto lagrimando mise
     La mano ad uno stocco ch’avea seco,
     Col qual dal corpo l’anima divise.
70Parea dicesse piangendo: con teco,
     Tisbe, moro, acciocch’all’ombre spesse
     Di Dite, lasso, ti ritrovi meco;
E sbigottito parea che cadesse
     Quivi sopra ’l mantello a piè d’un moro,
     75E del suo sangue i suoi frutti tignesse.
Non dilettava a Tisbe il gran dimoro
     Colà dond’era; uscì, e disse: forse
     Quella bestia è pasciuta, e già non loro