Amorosa visione/Capitolo XIX

Capitolo XIX.

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CAPITOLO XIX.




Come Marte si congiunse con Citerea, e come furono soprappresi da Vulcano.


Ivi più non seguia, perchè finiva
     Quella facciata con gli antichi autori,
     Che stanno innanzi a quella Donna diva.
Laond’io tornaimi in ver li predatori,
     5Ricominciando a quel canto primiero
     A rimirar gli antichissimi amori.
E umile tornato v’era il fiero
     Marte prencipe d’arme fatto amante,
     Per la qual cosa più non era altiero.
10Con tal disio il piacevol sembiante
     Mirava della bella Citerea,
     Che non parea che più curasse avante.
Tra que’ luoghi medesmi mi parea
     Con essa lui veder dentro ad un letto,
     15D’intorno al quale al mio parere avea
Ordinata di ferro tutto eletto
     Una rete sottil che gli avea presi,
     Come per coglier loro in quel diletto.

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Sovra la sua vergogna i lacci tesi
     20Avea Vulcano, il qual veder venia
     Ridendosi d’averli così offesi.
Aveva quivi ciascun dio e dia,
     Che nel ciel fosser, tututti chiamati
     Vulcan, per mostrar lor cotal follia.
25Commosso a' preghi di Nettuno grati
     Fatti a Vulcan per Marte umilemente,
     Di quella fuor eran da lui cacciati.
Ha! come poi ciascuno apertamente
     Faceva il suo piacer, perocchè aviéno
     30Vergogna ricevuta interamente.
E sì avviene a quei che non vorriéno
     Trovar le cose, e vannole cercando,
     Che molto meglio cheti si stariéno.
Molto consiglio ciascuno, che quando
     35Pur divenisse che cosa vedesse
     Che gli spiacesse, con gli occhi bassando
E’ se ne passi, perchè molto spesse
     Son quelle volte che t’hai a vendicare,
     Tal vuol che saria me’ che se ne stesse.
40Tutto focoso vid’io seguitare
     Quivi Febo Penéa grazïosa,
     E lei con dolci voci lusingare.
Temendo fuggiva ella impetuosa
     Quivi da lui, e di sopra le spalle
     45Colli capelli sparti, più focosa
Entrava in Febo, che ’l dolente calle
     Seguiva, in fin che stanca fe’ dimoro,
     Più non potendo, in una bella valle.

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Là ritornata in grazïoso alloro,
     50Sopr’essa il sol la sua luce fermava,
     Facendole coi raggi chiaro coro.
Veder pareami, secondo mostrava,
     Che si dolesse di tal mutazione,
     E ne’ sembianti si rammaricava.
55Ivi era appresso poi come Scitone
     Maschio, da lui senza fine amato,
     Mutava in femminil sua condizione.
Con esso lui si stava quivi allato,
     E lei tenendo in braccio con amore,
     60Mostrava ch’altro non gli fosse a grato.
Or con costei finito il suo ardore,
     Rinchiuso vidi in una vecchia oscura,
     Più là un poco, tutto il suo splendore,
Nell’aspetto pareva la figura
     65Della madre di quella, per cui questo
     A far ciò il sospignea con tanta cura.
Mirabilmente là si vedea presto
     Chiuso tornare in sè, onde colei
     Dicea maravigliando: or che è questo?
70E poi il vedeva starsi con costei;
     Ma morta quella, per la sua potenza
     In albero d’incenso mutò lei.
Così appresso in forma, e l’accoglienza
     Che in sè li fe’ quando con essa giacque,
     75Tutto vi si vedea senza fallenza.
Habituato v’era com’ li piacque
     Climene, dallo cui congiugnimento
     Feton che guidò il carro poi ne nacque.

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Oltre tra questi poi molto contento
     80Era Nettuno in forma d’Euristeo
     Ifimedia abbracciando a suo talento.
Innanzi riguardando discerneo
     La vista mia costui in braccio tenere
     Cerere, cui amò quanto poteo,
85Non senza molti baci al mio parere
     La stimolava: ma io mi voltai,
     Non potend’io più quivi vedere,
D’onde a riguardar prima cominciai.