Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia (Lucas)
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
(Dedicatoria nell’edizione parmense dell’Aminta)
In tanto grido si levâr d’Aminta,
Sì che parve minor della zampogna
L’epica tromba, e al paragon geloso
5Dei primi onori dubitò Goffredo,
Non è, donna immortal, senza consiglio
Che al tuo nome li sacro, e della tua
Per senno e per beltate inclita figlia
L’orecchio e il core a lusingar li reco,
10Or che di prode giovinetto in braccio
Amor la guida. Amor più che le Muse
A Torquato dettò questo gentile
Ascreo lavoro; e infino allor più dolce
Linguaggio non avea posto quel dio
15Su mortal labbro, benchè assai di Grecia
Erudito l’avessero i maestri
E quel di Siracusa e l’infelice
Esul di Ponto. Or qual v’ha cosa in pregio
Che ai misteri d’Amor più si convegna
20D’amoroso volume? E qual può dono
Al Genio Malaspino esser più grato
Che il canto d’Elicona? Al suo favore
Più che all’ombre Cirrèe crebber mai sempre
Famose e verdi l’Apollinee frondi,
25‘ Onor d’imperatori e di poeti.’
Del gran padre Alighier ti risovvenga,
Quando, ramingo dalla patria e caldo
D’ira e di bile Ghibellina il petto,
Per l’itale vagò guaste contrade
30Fuggendo il vincitor Guelfo crudele,
Simile ad uom che va di porta in porta
Accattando la vita. II fato avverso
Stette contra il gran Vate, e contra il fato
Morello Malaspina. Egli all’illustre
35Esul fu scudo: liberal l’accolse
L’amistà sulle soglie, e il venerando
Ghibellino parea Giove nascoso
Nella casa di Pelope. Venute
Le fanciulle di Pindo eran con esso,
40L’Itala poesia bambina ancora
Seco traendo, che gigante e diva
Si fe’ di tanto precettore al fianco;
Poichè un nume gli avea fra le tempeste
Fatto quest’ozio. Risonò il Castello
45Dei cantici divini, e il nome ancora
Del sublime cantor serba la Torre,
Fama è ch’ivi talor melodïoso
Errar s’oda uno spirto, ed empia tutto
Di riverenza e d’orror sacro il loco.
50Del Vate è quella la magnanim’ombra,
Che tratta dal desío del nido antico
Viene i silenzi a visitarne, e grata
Dell’ospite pietoso alla memoria,
De’ nipoti nel cor dolce e segreto
55L’amor tramanda delle sante Muse.
E per Comante già tutto l’avea,
Eccelsa Donna, in te trasfuso: ed egli,
Lieto all’ombra de’ tuoi possenti auspici,
Trattando la maggior lira di Tebe,
60Emulò quella di Venosa, e fece
Parer men dolci i Savonesi accenti;
Padre incorrotto di corrotti figli,
Che prodighi d’ampolle e di parole
Tutto contaminâr d’Apollo il regno.
65Erano d’ogni cor tormento allora
Della vezzosa Malaspina i neri
Occhi lucenti, e corse grido in Pindo
Che a lei tu stesso, Amor, cedesti un giorno
Le tue saette, nè s’accorse l’arco
70Del già mutato arciero; e se il destino
Non s’opponeva, nel tuo cor s’apría
Da mortal mano la seconda piaga.
Tutte allor di Mnemosine le figlie
Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra
75E calar sulla Parma; e le seguía
Palla Minerva, con dolor fuggendo
Le cecropie ruine. E qui, siccome
Di Giove era il voler, composto ai santi
Suoi studi il seggio, e degli spenti altari
80Ridestate le fiamme, d’Academo
Fe’ riviver le selve, e di sublimi
Ragionamenti risonar le volte
D’un altro Peripato, che di gravi
Salde dottrine, dagli eterni fonti
85Scaturite del ver, vincea l’antico.
Perocchè, duce ed auspice Fernando,
D’un Pericle novel l’opra e il consiglio,
E la beltate, l’eloquenza, il senno
D’un’Aspasia miglior, scïenze ed arti,
90Che le città fan belle e chiari i regni,
Suscitando, allegrâr Febo e Sofia.
Tu, fulgid’astro dell’Ausonio cielo,
Pieno d’alto saver, splendesti allora,
Dotto Paciaudi mio; nome che dolce
95Nell’anima mi suona, e sempre acerba,
Così piacque agli dei, sempre onorata
Rimembranza sarammi. Ombra diletta,
Che sei sovente di mie notti il sogno,
E pietosa a posarti in sulla sponda
100Vieni del letto ov’io sospiro, e vedi
Di che lagrime amare io pianga ancora
La tua partita; se laggiù ne’ campi
Del pacifico Eliso, ove tranquillo
Godi il piacer della seconda vita,
105Se colà giunge il mio pregar, nè troppo
S’alza sull’ali il buon desío, Torquato
Per me saluta, e digli il lungo amore
Con che sculsi per lui questa novella
Di tipi leggiadria; digli in che scelte
110Forme più care al cupid’occhio offerti
I lai del suo pastor fan dolce invito;
Digli il bel nome che gli adorna e cresce
Alle carte splendor. Certo di gioia
A quel divino rideran le luci,
115Ed Anna Malaspina andrà per l’ombre
Ripetendo d’Eliso, e fia che dica:
‘ Perchè non l’ebbe il secol mio! memoria
Non sonerebbe sì dolente al mondo
Di mie tante sventure. E, se domato
120Non avessi il livor (chè tal nemico
Mai non si doma, nè Maron lo vinse
Nè il Meonio cantor), non tutti almeno
Chiusi a pietade avrei trovato i petti.
Stata ella fora tutelar mio nume
125La Parmense eroina; e di mia vita,
Ch’ebbe dall’opre del felice ingegno
Sì lieta aurora e splendido meriggio,
Non forse avrebbe la crudel fortuna
Nè Amor tiranno in negre ombre ravvolto
130L’inonorato e torbido tramonto.’