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VINCENZO MONTI
Ch’ebbe dall’opre del felice ingegno
Sì lieta aurora e splendido meriggio,
Non forse avrebbe la crudel fortuna
Nè Amor tiranno in negre ombre ravvolto
130L’inonorato e torbido tramonto.’
295 | Invito d’un Solitario |
I giorni traggi dolorosi e foschi,
Vieni, amico mortal, fra questi boschi,
4Vieni, e sarai felice.
Qui nè di spose nè di madri il pianto,
Nè di belliche trombe udrai lo squillo;
Ma sol dell’aure il mormorar tranquillo,
8E degli augelli il canto.
Qui sol d’amor sovrana è la ragione;
Senza rischio la vita e senza affanno;
Ned altro mal si teme, altro tiranno,
12Che il verno e l’aquilone.
Quando in volto ei mi sbuffa, e col rigore
De’ suoi fiati mi morde, io rido e dico:
‘ Non è certo costui nostro nemico,
16Nè vile adulatore.’
Egli del fango Prometéo m’attesta
La corruttibil tempra, e di colei,
Cui donaro il fatal vaso gli Dei,
20L’eredità funesta.
Ma dolce è il frutto di memoria amara;
E meglio tra capanne in umil sorte
Che nel tumulto di ribalda corte
24Filosofia s’impara.
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