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VINCENZO MONTI
60Emulò quella di Venosa, e fece
Parer men dolci i Savonesi accenti;
Padre incorrotto di corrotti figli,
Che prodighi d’ampolle e di parole
Tutto contaminâr d’Apollo il regno.
65Erano d’ogni cor tormento allora
Della vezzosa Malaspina i neri
Occhi lucenti, e corse grido in Pindo
Che a lei tu stesso, Amor, cedesti un giorno
Le tue saette, nè s’accorse l’arco
70Del già mutato arciero; e se il destino
Non s’opponeva, nel tuo cor s’apría
Da mortal mano la seconda piaga.
Tutte allor di Mnemosine le figlie
Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra
75E calar sulla Parma; e le seguía
Palla Minerva, con dolor fuggendo
Le cecropie ruine. E qui, siccome
Di Giove era il voler, composto ai santi
Suoi studi il seggio, e degli spenti altari
80Ridestate le fiamme, d’Academo
Fe’ riviver le selve, e di sublimi
Ragionamenti risonar le volte
D’un altro Peripato, che di gravi
Salde dottrine, dagli eterni fonti
85Scaturite del ver, vincea l’antico.
Perocchè, duce ed auspice Fernando,
D’un Pericle novel l’opra e il consiglio,
E la beltate, l’eloquenza, il senno
D’un’Aspasia miglior, scïenze ed arti,
90Che le città fan belle e chiari i regni,
Suscitando, allegrâr Febo e Sofia.
Tu, fulgid’astro dell’Ausonio cielo,
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