Ai Signori e Popoli d'Italia

Fazio degli Uberti

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Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Fazio degli Uberti


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AI SIGNORI E POPOLI D’ITALIA,

Serventese


     O pellegrina Italia,
Che è che sì t’ammalia
Che cacci via la balia, — e muor’ di fame?
O nobile reame,
5Come veggio in te grame
Donne donzelle e dame!...
Ben è peggio che morto
Colui che non s’è accorto — di tal male.
O nido imperïale,
10O sito liberale,
Le virtù c’hai, in male — hai promutate.
O genti desolate
Per cupidigie state,
Or siete in tale stremo
15Che noli me tangere!
I’ ti veggo sì frangere,
Che a pena puoi piangere.
Il giudicio si fermi.
Per li tuoi molti infermi
20E frodolenti schermi,
Di vermi — ti vegg’io fare dogana

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E di pelle e di lana.
E per molte fiumana
Ti converrà nuotare,
25E nel mar affogare — e toccar fondo.
Io più non mi nascondo;
Però che tutto ’l mondo
Par che si senta mondo — d’ogni bene;
Ma dicer mi conviene;
30Però che senza spene — son rimaso....
Italia, il tuo martìre
Intendo far sentire;
E non pensar fuggire — per peggiorare.
     E vòmmi incominciare
35Dal barattier che tien l’anguilla in mano.1
Tu che guardi Milano
E poi fai capitano
Di casa tua la morte,
Tu se’ verace morte
40Di giustizia e di pace.
Ogni guerra ti piace,
E ogni verace — t’è mortal nemico.
Io pure te lo dico:
Per non conoscer fico,
45Ti fia data la sorba;
I’ dico sorba nè mézza nè macera.
La gente già si macera;
E la biscia getta il pasto e l’orgoglio:
Ed al passar del soglio
50Ti fia data la stretta.
Ognun che vuol vendetta
Non abbia fretta:
Chè la giusta vendetta
Non tarda a chi l’attende.
55Or senza padiglioni e senza tende
Le bende avranno spaccio:
Senza tendere il laccio,
Avaccio avaccio — entrerai nella rete;

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I’ dico in rete
60Non di mura o parete, — ma di ferro.
Ed il monte del ferro2
Fa già chiocciar il ferro
Alla città del ferro3 e a’ suffragani
Colle man de’ paesani
65E di molti più strani.
E la cicogna4 rivorrà la torre
Con quelli dalla Torre,
Perchè vi vuol su porre — i cicognini.
Al tempo de’ pulcini
70Vedrai fatti gli uncini;
Ed i pulcin fatti pollastri,
E di guerra far mastri,
E tagliar volpi lupi e leopardi
E di molti Lombardi.
75E tal crederà tardi
Esser venuto, e fia assai per tempo.
I’ veggo assai per tempo
Di te fatto cornacchia:
Dico cornacchia
80Che si vestì, fu già, dell’altrui penne;
E quando a corte venne
Degli uccelli, convenne — pur cantare;
Vedendola gracchiare,
Ciascun l’andò pelare — delle sue penne.
85Questa favola intenda
Chïunque ha fatto co’ graffi e co’ morsi,
Chè io veggo gli orsi
Pigliar dentro le tane:
Osti agguati e gualdane
90La giustizia di Dio ti mena all’uscio.
In male serra l’uscio
Colui c’ha dentro all’uscio
Quel che fa la mostarda.
Questa mostarda

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95Toglie alla biscia ardire:
Ella suol partorire
Pe’ fianchi, e or partorisce per la bocca.
Ora noti a cui tocca
Quel che ’l mio dire iscocca
100Di questa cosa grave.
In su l’antica nave
Con quella di Soave
Veggio che si raccoglie.
Figlie sirocchie e moglie
105Veggo pianger per doglie,
Predate o tolte senza anello o dote;
Panni squarciar e gote,
E star le genti ignote
Come se fosser pazzi.
110Perder veggio sollazzi,
E le strade e li spazzi
Sanguigni e pien di morti;
Tagliar catene e porti,
E Giuda e Tolomeo e Ganellone
115Diventar qui Sansone,
Enea ed Antenorre dar l’entrata.
Che val terra murata?
Ah mente scellerata!
Quel da Posterla guata — il suo oltraggio.
120Oh quanti aspettan maggio — per dir: Moia!
Ma di tutte le cuoia
Non se ne fa pavesi.
     O ciechi Milanesi,
Bresciani e Piemontesi!
125Tutti li vostri arnesi — fien distrutti;
E molti pianti e lutti
Vi lascerano asciutti — d’ogni bene.
Alla Scala conviene
Di quel ch’ell’ha e tiene
130Lasciar di quattro i trene, — e quel non fermo:
Entrato c’è il vermo.
E per lo fermo — quelli da Gonzaga,
Parmigiani e Carrara,

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Con quelli da Ferrara,
135Andranno insieme in bara; — ma non al Santo.
     Lo ippocrito ammanto — di Vinegia
Del titol che la egregia — fia vacante.
La gente soprastante
Superba ed arrogante
140Di Genova e sua banda
Farà tosto ghirlanda — di novi guai.
Ma non fieno i sezzai
Di quella terra che manuca il senno:
Io parlo qui per senno,
145Ch’ella manuca senno,
E poi serve a malizia
Usura ed avarizia
Colla perfida gola.
Ma colui che la ’ngola
150Vuol mostrar che la imbola:
Ma egli è pur di quelli del biscione.
Tosto farà ragione
D’altro che di Bologna:
E sua rogna — sarà foco salvatico...
155Ma il popolo scismatico
Raddoppierà lo statico — al tiranno;
E già per questo danno
Non riavranno — gli scacchi e ’l tavoliere.
Il panno in molte terre
160Si misura senza canna.
Il ciel m’ammanna
Che a chi fia di zanna
E a chi dato d’uncino.
     O romagnuol giardino,
165O vedovo meschino,
Come veggio tapino — ogni tuo nato;
E de’ tuoi far mercato
Come di gente schiava!
E a cui piace, e a cui grava.
170E Imola Faenza e sua montagna
Tende a Forlì la ragna;
Meldola a Bertinoro.
A questo concistoro

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Chi è chiamato capo fia percosso.
175Ora si guardi il dosso
La terra del Savio:5
Or si parrà se il savio
Sa fuggir il giudizio.
Chi non fuggirà il vizio
180Non fuggirà la spada;
Che molto poco aggrada
A quelli da Polenta.
In ciascun par che spenta
Sia in lui ogni ragione:
185Vuol saltar Rubicone,
E di te far fastello.
Aspetta il martello
Ed il coltello — con quel da Verrucchio,
E con chi succhio
190Per vïolenza trà’ dell’altrui bene.
In te daran le rene
E desinari e cene — del mal frate,
E l’opre dispietate
Di Tibaldello e di Ravenna.
195Io pur meno la penna,
E giustizia mi assenna
Del fatto di montagna e quel di Fano.
Tutto ’l tuo monte e ’l piano
I’ veggo pien di ragne
200E di fosse terragne.
Vegga giustizia l’opere tue ladre:
Chente saranno le dolenti madri!
     Vo’ ritornar a’ padri — de’ miei falli,
L’aguglie e’ gigli gialli,
205Per cui i vaghi galli
Che son due fanno sciarra.
Vòmmi far dalla lepre che si sfarra
E gitta via la sbarra — alla pantera.
O volpe6 iniqua e fera,

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210Tu se’ giunta alla sera,
Chè ciascun uomo spera — te diserta!
Tu sarai Tebe certa,
Per l’innocente sangue che bevesti!
Quel da Milan prendesti,
215Per sacrificio ’l desti
Lui e’ figliuoli al serpe.7
Ahi anime crude più che serpe,
Ch’è de’ figliuoli del conte e di lor fame?
Distrutto il tuo reame
220Sarà colla tua rabbia;
Per grattar la pantera 8 avrai la scabbia,
Con fuochi sangue prede guasti e ratti;
E tra questi baratti
Terminerà la pantera, — e sarà sera.
225L’orsa9 cupida e stanca
Sarà come chi affoga;
Camperalla la soga — ch’ella tiene.
Ma ella pur conviene
Pagar lo malo scotto;
230I’ dico il crudo e ’l cotto;
Che il veltro10 e San Cerbon11 son invitati
Con altri disfrenati
Che sono inebriati — all’altrui vino.
Lo lion del gran giardino12
235Da dritto e da mancino — s’arrosterà,
E darà e torrà,
E fuoco metterà — per molte selve
Pagando molte belve.....;
Ma e’ darà a ogni morso ’l pelo,
240Vedovo scuro sarà con suo velo;
Questo mi mostra ’l cielo;
Ma grande rimarrà in fra’ dispersi.

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Volgo alla lupa13 vana i tristi versi,
Che spera in Talamone e nella Diana;
245Lascerà l’altrui tana,
E nella sua sarà poco sicura;
Arroterà la scura,
Che taglierà da piede ’l suo riposo.
Io pur noto e pur chioso.
250La pulce14 to’ riposo
A chi dorme e a chi vegghia,
Per molte torte c’ha nell’altrui tegghia.
Vedrai menare stregghia
Al cavallo sfrenato15
255Più anni ammantellato;
Ma e’ fia liberato
E poi inceppato — dalla mala petra:
La mala petra scende la Scatorbia.16
Quadrella senza gorbia
260Veggio piover per turma:
Veggio per porta eburna
Entrar i novi gotti,
Ch’oggi son pegolotti.
E le ciance co’ motti
265Saranno del grifon17 mortal tormento,
S’avuto n’ha il talento;
E per suo amor vorrebbe Ercol e Cacco;
Ben ne fia rotto e fiacco.
     Or vedrai novo macco
270Nella Marca Ducato e Patrimonio:
Dice ciascun che sa più del dimonio;
Ma e’ fian messi al conio,
E merti giusti avran di lor dispetti.
Lasso! il sasso dell’oca18 ne’ miei detti
275E la vita de’ vecchi19 e suoi gentili,

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Per far più brievi stili,
Saran pagati col gran prete errante.20
Volgomi al leofante21
Che fu del mondo tutto dominante,
280Che perderà le tre parti del cuore;
E il suo maggior dolore
Ragguaglierà il minore. — E la sua balia,
Ed il corno d’Italia,22
E le isole del zolfo e del foco,23
285E il côrso e il sardo loco,
Col lor traditor giuoco,
Piangeranno i lor morti
Ed i lor vivi torti;
E fia lor colpa e pena pareggiata.
290     Gente con gente cruda e dispietata,
Re contro a re armata;
E popoli e province stretti a’ ferri,
E di moltiplicati erri;
Di Ninive e di Tebe odo le strida
295E le troiane grida,
Gli stormi pompeiani e di Guiscardo,
E ’l figlio longobardo;
Attila Brenno Annibale affricano;
Tutti gli scempi che fe mai romano
300O Serse o Dario o Ciro o Maccabeo
O vuoi cristian saracino o giudeo;
Ceperan, Montaperto, Campaldino,
Altopascio..... e Montecatino.
Il giudicio divino
305Farà novelli a noi li detti scempi.
E fien propinqui i tempi
Che fia pestata la dolente salsa
Con molta gente falsa,
Serpi, sirene, nottole e leoni,
310Mosche, cani e scorpioni,

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Pecoron grossi e bramidi avvoltori.
E sotto i copertori
Donne infinite andranno sole a letto,
E in cambio di diletto
315Ogni sospetto — avranno in compagnìa.
Perirà qui la buona per la ria,
Spoglieransi le chiese e’ monasteri;
Color sanguigni e neri
Varranno più che scarlatti o velluti;
320Li stormenti e liuti
Saranno le campane e’ tamburelli;
Le gualdane e’ drappelli
Risponder cenni ed ammattar insegne;
D’ogni maniera legne
325Si troveranno a due spietati fuochi.
Oh quanto saran pochi
Que’ che Saturno e Marte a gloria serba!
O mala italic’erba,
Come ti veggo acerba — iscellerare,
330E il prezzo a rovinare — diventar esca!
Molta gente tedesca
Inghilese e francesca
E gli Ungheri e gli Schiavi e gli Spagnoli
Perderan padri fratelli e figliuoli
335Con agghiadati duoli:
L’offerta loro a Marte sarà sangue.
Crudele è chi non langue,
Veggendo il demon angue
Nelle sue reti entrar con tanta preda.
340Non fia più quistïon di chi sia reda,
Ma per niente fia quel ch’or è più caro.
     Or pianga ogni uomo avaro,
E que’ che fan suo dio argento ed oro.
Ov’è Mida con l’oro?
345Ov’è Sardanapalo
E il traditor Neccalo?
Ov’è la tirannìa col suo affanno?
Ov’è ogni tiranno
Ch’al nostro tempo portav’alto ’l capo?
350Tu rispondrai — Non sapo. —

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Ov’è superbia in ogni far e dire,
Ove i vizi seguire
E lasciar le virtù chiare ed aperte?
Ma state, o genti, certe,
355Ch’egli è de’ santi articoli veraci
Dio far bene a’ veraci
E punire i fallaci
E la mala famiglia.
E chi ben qui con meco si assottiglia,
360Non li parrà questo dir meraviglia.
Giustizia m’assicura e dà valore,
Vero frutto verranne dopo il fiore.


(Fu pubblicato da F. Trucchi con altre poesie dell’Uberti nel 1841 in Firenze; poi con miglior lezione nel vol. II delle cit. Poesie italiane inedite.)

Note

  1. (Postille dei Codici.) Barattier che tien l’anguilla in mano: ciò è il signor di Lombardia.
  2. Il monte del ferro: ciò è la Magna.
  3. La città del ferro: ciò è Milano.
  4. La cicogna: ciò è Crema.
  5. La terra del Savio: ciò è Cesena, dal fiume Savio che gli corre da lato.
  6. Lepre e Volpe: ciò è la città di Pisa.
  7. Visconti da Milano.
  8. La pantera: ciò è Lucca.
  9. L’orsa: ciò è Pistoia.
  10. Il veltro: ciò è Volterra.
  11. San Cerbone: ciò è Massa.
  12. Lo lione del gran giardino: ciò è Firenze.
  13. Lupa: ciò è Siena.
  14. La pulce: ciò è Montepulciano.
  15. Cavallo sfrenato: ciò è Arezzo.
  16. Scatorbia: una fiumana.
  17. Grifone: ciò è Grosseto.
  18. Sasso dell’oca: ciò è Orvieto.
  19. Vita de’ vecchi: ciò è Viterbo.
  20. Gran prete errante: ciò è il Papa.
  21. Leofante: ciò è Roma.
  22. Corno d’Italia: ciò è Roma.
  23. L’isole del regno di Sicilia.