Agamennone (Alfieri)/Atto terzo/Scena I
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SCENA PRIMA.
Agaménnone.
SOn’io tra’miei tornato? ovver m’aggiro
Fra novelli nemici? Elettra, togli
D’orrido dubbio il Padre. Entro mia Reggia,
Alla Consorte mia perchè son fatto
5Straniero? in ver nova accoglienza io trovo.
In se tornata, parmi, esser potria
Clitennestra del tutto; eppur qual n’ebbi
Sguardo, qual’atto, o detto, in cui scolpita
L’arte non fosse, e il diffidar? Sì crudo,
10Sì terribil son’io, che in lei non vaglia
Altro a destar fuorchè il terror? Quei casti
Teneri amplessi suoi; quei dolci detti
Semplici, e veri; e quelli a mille a mille
Segni d’amor non dubbj, onde sì grave
15M’era il partir, sì lusinghiera speme,
Sì desiato, sospirato il punto
Del ritornar; deh! dimmi, or perchè tutti,
E in maggior copia non ritrovo in lei?
Elettra.
Padre, Signor, tai nomi in te raccogli
20Che non men riverenza al cor ne infondi,
Che amor. Due lustri tua Consorte visse
In preda a rio dolore: un giorno, il vedi,
Quant’egli è poco a ristorare i lunghi
Sofferti affanni. Il suo silenzio...
Agaménnone.
Oh quanto
25Meno il silenzio mi stupì da prima,
Ch’ora i composti studiati accenti!
Oh come mal s’avvolge affetto vero
Fra pompose parole! un tacer havvi
Figlio d’amor, che tutto esprime; e dice
30Più che lingua non può: tali v’ha moti
Involontarj testimon dell’alma;
Ma il suo tacer, e il suo parlar per certo
Figli d’amor non sono. Or che mi giova
La gloria, ond’io vò carco? a che gli allori
35Fra tanti rischj, e memorande angosce
Col sudor compri; se per essi ho data,
Più sommo ben; l’interna pace mia?
Elettra.
Deh! scaccia un tal pensier: tua pace intera,
L’avrai tu quì, per quanto è in me, per quanto
Sta nella Madre.
Agaménnone.
40Eppur così diversa,
Da se dissimil tanto onde s’è fatta?
Dillo tu stessa, dillo: or dianzi, ch’ella,
Colle sue man, fra le mie braccia Oreste
Ponea; vedesti? Mentr’io quasi m’era
45Fuor di me stesso, e d’abbracciarlo mai,
Mai di baciarlo non potea saziarmi;
Vedesti lei di mia paterna gioja
A parte entrar? Chi detto avria, che figlio
Le fosse al par che a me? Non men che mia,
50Unica speme sua? Dell’amor nostro
Ultimo pegno, Oreste? O ch’io m’inganno,
O di giojoso cor non eran quelli
I segni innascondibili veraci;
Non di tenera madre eran gli affetti;
55Non i trasporti di Consorte amante.
Elettra.
Alquanto, è ver, da quel di pria diversa
È Clitennestra; in lei raggio di gioja
Dal dì funesto più non sorse, in cui,
Padre, tu fosti alla comun salvezza
60Tua propria figlia ad immolar costretto.
In cor di madre a stento una tal piaga
Sanar si può: non han due lustri interi
Tratto ancor di sua mente il tuo pietoso,
E in un crudel, ma necessario inganno,
65Per cui dal sen la figlia le strappasti.
Agaménnone.
Misero me! Per mio supplizio forse
Ch’io ’l rimembri non basta? In quel funesto
Giorno, di lei meno infelice io m’era?
Men, ch’ella madre, genitor m’era io?
70Ma pur, sottrarla a imperversanti grida,
Al fier tumulto, al minacciar di tante
Audaci Schiere, al cui rabbioso foco
Era l’Oracol crudo esca possente,
Poteva io sol? Sol’io fra tanti alteri
75Re d’ogni freno impazienti, che hanno
Sete di gloria, di vendetta, e sangue,
Che far poss’io? Di padre udiro il pianto
Que’ dispietati, e sì non pianser meco:
Ch’ove irata del Ciel la voce tuona,
80Natura tace, ed innocenza il grido
Innalza invan: solo s’ascolta il Cielo.
Elettra.
Deh! non turbar con rimembranze amare
Felice giorno, in cui tu riedi, o Padre.
S’io ten parlai, scemarti in parte i’ volli
85Giusto stupor, che dagli incerti affetti
Della madre in te nasce. Aggiungi poscia
A dolor prisco il ritrovarsi in preda
Troppo a se stessa; il non aver con cui
Sfogar suo cor, tranne due figli; e l’uno
90Tenero troppo, ed io mal’atta forse
A rattemprar suo pianto. Il sai, che chiusa
Amarezza più ingrossa: il sai, che trarre
Dì solitarj è d’ogni gioja morte,
D’ogni fantasma vita: e l’aspettarti
95Sì lungamente, ed ogni dì tremante
Starsi per te: non vedi? or come quella
Esser di pria può mai? Padre, tu scusa
Il suo attonito stato: in bando caccia
Ogni fosco pensiero. In lei fia il duolo
100Spento ben tosto dal tuo dolce aspetto.
Deh! tu mel credi, o Padre: in lei vedrai
Tenerezza, fidanza, e amor risorto.
Agaménnone.
Sperarlo almen mi giova. Oh qual dolcezza
Saria per me, se apertamente anch’ella
105Ogni segreto del suo cor mi aprisse! _
Ma dimmi intanto: di Tieste il figlio
Dov’io regno a che vien? che fa? che aspetta?
Quì seppi io sol, ch’ei v’era; e par, ribrezzo
Ciascun solo in nomarmelo quì s’abbia.
Elettra.
110.....È di Tieste figlio, il sei d’Atreo;
Quindi ribrezzo nasce. Esule Egisto
Quì venne asilo a ricercar: nimici
Egli ha i proprj fratelli.
Agaménnone
In quella Stirpe
I fraterni odj ereditarj sono;
115Forse i voti d’Atreo, l’ira de’Numi
Voglion così. Ma ch’ei ricerchi asilo
Presso il figlio d’Atreo, non poco parmi
Strano però. Già comandai, che innanzi
Ei venga a me; vederlo, udire io voglio
De’casi suoi, de’suoi disegni.
Elettra.
120Padre,
Dubbio non v’ha, ch’egli è infelice Egisto.
Ma tu, che indaghi a primo aspetto ogni alma,
Vedrai per te, se d’esser tale ei merti.
Agaménnone.
Eccolo ei vien. — Sotto avvenenti forme
125Chi sa, se basso, o nobil core asconda?