Addio (Neera)/Prefazione alla seconda edizione
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PREFAZIONE
ALLA SECONDA EDIZIONE
Quando al primo apparire di questo volume — 1877 — quasi tutta la critica italiana si slanciò su di esso e su di me con una veemenza veramente straordinaria (trattandosi di un autore giovane e di una donna), la critica pensava forse che a chi si mette in pubblico si ha il diritto di dire qualunque cosa, anche delle insolenze. Io ebbi allora gran bisogno di essere forte, e lo fui; e posso dire ora colla calma di chi ha perdonato: Volete essere giusti? Esaminiamo insieme questo libricciuolo che vi ha tanto scandalizzati; vediamo, se proprio c’era ragione di condannarlo, come avete fatto.
Della rettitudine delle mie intenzioni io sono fin troppo sicura, ma voglio concedervi di aver peccato nell’esposizione di esse, e per questo rileggo il libro; ma non so trovare la ragione delle formidabili accuse a cui fu fatto segno.
La morale oltraggiata, voi dite? Ma se dalla prima all’ultima parola è tutto un inno alla morale? — se accanto alle frasi più appassionate c’è sempre il grido della coscienza, egualmente vero, egualmente forte? Credo piuttosto che voi confondiate la morale coll’arte. Se un pittore fa un nudo, la morale potrà criticarne la posa, l’intendimento, lo scopo; ma se dice solamente che è reso con troppa evidenza, che quelle braccia sono braccia, e quel seno è un vero seno, mi pare che entri in una quistione che non le appartiene più. L’arte sola deve dire se il colorito è troppo forte.
I critici, in genere, sono avvezzi a trovare nei romanzi le passioni convenzionali, che si ribellano davanti a questo caso di amore spontaneo, davanti a questa donna che è una vera donna di carne e di sangue e (lo dico perchè i miei avversari fanno apposta a volerlo dimenticare) di nobilissima anima.
Un fatto curioso è che a tutte le donne piacque l’Addio; gli uomini quasi esclusivamente non vollero accettare questa donna diversa dalla donna che hanno fabbricata loro, per proprio comodo, tipo della specie — e, fra le donne, le più entusiaste furono le donne oneste, quelle che nella rettitudine del loro cuore ne compresero subito lo spirito e lo scopo. L’osservazione costante di questo fatto è un’altra prova che non mi sono ingannata.
C’è da qualche tempo una reazione vivissima contro l’esattezza dell’espressione, una specie di pudore scolastico per cui molte persone non si arrischierebbero a dire o a scrivere certe parole, innocentissime in sè, sospettando che non tutti abbiano ad interpretarle nel loro senso puro; e questo, secondo alcuni, è ottimo indizio di miglioramento morale. Io vorrei crederlo; ma mi rode invece il sospetto che tanto lusso di apparenza copra una piaga incurabile, e che non per castità si rifugga da una parola ardita, ma solo appunto perchè oramai non c’è più nessuno che fra due interpretazioni possibili scelga la più onesta. In questo caso di chi sarebbe la colpa? Forse che lo scrittore deve prendersi la responsabilità dei casi di coscienza e delle mancanze di educazione del pubblico?
All’accusa che mi si fece di aver dato un carattere troppo sensuale a questo amore, risponderò che esso nacque nel mio cervello così, o meglio, così lo osservai in natura mia maestra; e non credetti di palliarne le tinte accese, per non togliere il contrasto che sta appunto nell’ardore della passione coll’ardore della virtù. Una Valeria fredda avrebbe delirato meno, questo è certo, ma non avrebbe nemmeno compiuto un così gran sacrificio.
E poichè si disse anche che questo sacrificio è inverosimile, io non risponderò (come pur sarebbe giusto, ma troppo vecchio), che la verità è spesso inverosimile, ma farò solo osservare che al letto di morte di suo marito Valeria giura di non darsi a nessun uomo.
Ed ora non ho più nulla a dire.
Non credo di aver convinte le persone maligne, perchè non vi è peggior sordo di quello che non vuol sentire; ma almeno qualche illuso trascinato dal giudizio altrui potrà ricredersi — e, fosse pure uno solo, per quell’uno sarò contenta di aver scritte queste poche parole. In quanto ai maligni, ohimè! si può dire di essi come degli sciocchi: bisogna rassegnarsi a contare con un nemico che ha il vantaggio del numero.
Neera.