Acarnesi (Aristofane-Romagnoli)/Agone primo

Agone I

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Aristofane - Gli Acarnesi (425 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1924)
Agone I
Parodos Agone secondo
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diceopoli
si avvicinia alla casa d’Euripide.
Ecco dunque il momento ch’ò da fare
animo risoluto, e andar da Euripide.
Picchia all’uscio.
Ehi di casa!
servo
Chi è?
diceopoli
È dentro Euripide?
servo
C’è, e non c’è, se tu ben mi comprendi!

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diceopoli
Come c’è, se non c’è?
servo
La vuoi piú chiara,
vecchio mio? La sua mente, che sta fuori,
a cercar versettini, non ce: lui
c’è, sta per aria, e scrive una tragedia.
diceopoli
O te beato, Euripide! Risponde
come un’arca di scienza, il servo tuo!
— Chiamamelo.
servo
Impossibile.
diceopoli
Slu’ via!....
Il servo si ritira.
Tanto non me ne vado! Busso io!
Picchia e chiama.
Euripide, Euripiduccio!

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Solenne.
Aprj, se ad altri apristi mai: t’appella
Diceopòl di Roccazoppa: io!
euripide
dal di dentro.
Non ho tempo da perdere.
diceopoli
Fatti portare in macchina.
euripide
Impossibile!
diceopoli
Sll’ via!
euripide
Mi fo portare; non ho tempo
di venir giú.

S’apre la porta, e ne esce l’encfclema, dove, in cima a un catafalco, si vede Euripide, vestito da pezzente, e circondato da mucchi di cenci, simboleggianti varie sue tragedie.


diceopoli
con sconcio urlo.
Euripide!

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euripide
Che strilli?
diceopoli
Puoi comporre giú in terra, e stai per aria?
Sicuro, che li fai zoppi! E perché
cenci tragici indossi, lagrimosa
veste? Sicuro, che li fai pitocchi!
Ma ti prego in ginocchio, dammi, Euripide,
un qualche cencio di quel vecchio dramma....
Fare debbo ai corèuti un gran discorso;
e se non parlo come va, m’accoppano.
euripide
accennando un mucchio di stracci.
Che cenci? Quelli forse onde quest’Èneo,
vecchio infelice, su le scene apparve?
diceopoli
Non d’Èneo, no, ma d’uno piú infelice.
euripide
Quei de l’orbo Fenice?

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diceopoli
«No, Fenice,
ma uno di Fenice piú infelice!
euripide
Quali quest’uom cenci di pepli brama?
Quei del pitocco Filottète, dici?
diceopoli
No, ma d’uno piú assai, piú assai pitocco.
euripide
Vorresti allora i sordidi indumenti
che avea Bellerofonte... questo zoppo?
Accenna ad un altro mucchio di cenci.
diceopoli
Era zoppo anche quello, petulante,
sommo nel cicalar, pronto di lingua,
ma non era Bellerofonte.
euripide
Ho inteso,
Tèlefo misio.

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diceopoli
Si, Tèlefo: dammi,
dammi, ti prego, di costui le fasce.
euripide
Ragazzo, dàgli i brandelli di Tèlefo:
devono star su i cenci di Tieste,
framezzo a quelli d’Ino.
servo
a Diceopoli
Eccoli, prendi.
diceopoli
guardando i cenci e incominciando a indossarli.
Giove, che tutto osservi, ed al cui sguardo
tutto traspare, fa’ ch’io mi camuffi
da disgraziato piú che sia possibile! —
Euripide, giacché m’hai cominciato
a favorire, dammi il complemento
di questi cenci, il berrettino misio:
poiché oggi sembrar devo un pitocco,
esser quello che sono, e non parere.
Gli spettatori hanno a saper chi sono,
e i corèuti star come citrulli,
a farsi infinocchiar dalle mie chiacchiere.

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euripide
Te lo vo’ dar; ché vai con mente acuta
sottili cose macchinando.
diceopoli
Bene
a te ne venga, e quel ch’io dico a Telefo. —
Bene! Come son già pieno di chiacchiera! —
Ma m’occorre il bastone da pitocco!
euripide
Prendilo, e lascia la marmorea soglia.
diceopoli
Non vedi, anima mia, come mi scacciano,
mentre di molta roba ho ancor bisogno?
Or si, divieni tutta appiccicume,
pittimando e insistendo! — Me lo dài,
Euripide, un cestello bruciacchiato
dal lume?
euripide
E quale, o tapinel, ti preme
necessità di tai conserti giunchi?

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diceopoli
Niuna necessità, ma li desidero!
euripide
Sappi che attedi, e la magione lascia.
diceopoli
Ahimè!
Te. come già tua madre, il Nume esalti!
euripide
Lungi da me!
diceopoli
No, no, dammi una cosa
sola: un vasetto un po’ sbreccato.
euripide
Prendilo
e va’ in malora! Non t’accorgi dunque
che noia arrechi alla magione?
diceopoli
E quanto
secchi la gente tu, non te n’accorgi? —
Quest’altro solo, Euripide dolcissimo:
un pentolin tappato con la spugna.

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euripide
La tragedia costui tutta mi fura! —
To’ il pentolino,-Via, vattene.
diceopoli
Vommene. —
Ma che farò? Bisogno ho d’una cosa,
e, se non me la dà, son belle fritto!
— Porgimi ascolto, Euripide dolcissimo:
se mi dai questa, vado, e non ci tomo.
Mettimi nel cestello un poco d’erba
ammoscita!
euripide
Tu tiri a rovinarmi!
Eccola. Addio, tragedie!
diceopoli
Adesso basta,
adesso vado. — Ahi, tedio arreco, il veggio!
Ma non sapea che ai regi in odio io fossi!
Povera me, che rovinato io sono!
Ho scordata la" cosa che per me
è tutto! — Mio dolcissimo e carissimo
Euripiduccio, che mi pigli un male
se ti seccherò piú, dopo quest altra
cosa sola, quest’altra sola sola!
Prestami un po’ dei cavoli di mamma!

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euripide
Costui ne ingiuriò: serra le imposte!
L’enciclema è rotolato di nuovo dentro.
diceopoli
monologa tragicamente.
Ire, alma mia, dobbiamo orbi di cavoli!
Tu dunque ignori a quale agon t’accingi,
favellando in favor dei Lacedèmoni?
Sll’! Di qui devi prendere Io slancio!
Tu stai? Non sei rimpinzata d’Euripide?
Brava! — Sll’, vanne, o paziente cuore,
offri la testa, e quel che senti esponi.
Va’, muovi, ardisci. Cuore mio, sei bravo!