Vulcano/Quarta sintesi
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Quarta sintesi
IL CRATERE
Interno del cratere. A destra dello spettatore una scarpata di lapilli cenere e detriti costeggiata da un sentiero che scende verso la ribalta abbraccia un masso e ritorna nel fondo caotico della scena a sinistra, sotto una parete rocciosa che riverbera di tanto in tanto la vampa sotterranea. A sinistra dello spettatore nel piccolo spiazzo che interrompe il sentiero una fumarola fiata vapore bianco rosso e giallo sul viso di Lucìa e Giovanni Massadra curvi nell’atto di ramponare materiali (lavici).
Lucia
Il vapore acqueo mi impedisce di guardare nel fondo.
Giovanni
a Lucia:
No. Questa è anidride solforosa. Tieni chiusa la bocca. (Boati)
Lucia
Hai sentito? Sarebbe prudente risalire. Temo che una frana ci chiuda il sentiero.
Giovanni
a Lucia:
Hai messo tutto nella bisaccia?
Lucia
Sí, feldspato, augite, olivina. Inutile portare gli altri elementi minerali. Ho notato la temperatura. (Afferrando il braccio di Giovanni) Ascolta bene.
Giovanni e Lucia non vedono, ma il pubblico vede Eugenia e Mario Brancaccio che maldestri scendono incespicando, abbracciati e pur in lotta fra loro angosciosamente. Questi non vedono i Massadra.
Eugenia
a Mario:
Sí, scendiamo, scendiamo più giù. Ti voglio parlare nel cuore del Vulcano. Bruceremo. Bruceremo con lui, in lui.
Mario
Hai dunque deciso cosí?
Eugenia
Sí, sí, è meglio. Bruceremo con le nostre lettere. Vieni. Vieni. Baciami, Mario. Baciami. Ancora! Ancora!
Scendono abbracciati, girano intorno al masso e scoprono con stupore Lucia e Giovanni Massadra.
Lucia
a Eugenia:
Buongiorno. Come mai? Non temete di perdere la strada? Vi siete smarriti fin qui?
Eugenia
Non ci siamo smarriti. Volevamo scendere. Siamo ormai senza ritorno.
Giovanni
a Lucia mentre Eugenia e Mario si siedono sopra un pietrone:
Dammi il rampone vediamo se si può estrarre un po’ di quel fango giallo.
Lucia
dopo aver dato il rampone a Giovanni si volge a Eugenia:
E siete venuti sin qui soli, senza guida?
Giovanni
Incontrammo a Castiglione Alberto Serena che voleva accompagnarci, ma poi cambiò idea e ci piantò in asso andandosene via bizzarramente come sempre.
Lucia
Meglio cosí. Alberto Serena è un pazzo. Magnifico eroe quanto volete, ma pazzo! Forse è l’uno perché è l’altro.
Mario
Siamo tutti pazzi.
Giovanni
Certamente, e anche io, ma occorre dividere i pazzi e non mescolar pazzie. È un minimo di rispetto che dobbiamo alla logica.
Lucia
Alberto è stato uno dei più gloriosi pazzi della guerra. (La parete di fondo del Vulcano riverbera violentemente fiammate) È stato un furente amante del pericolo, si è inebriato di ferite sotto i bombardamenti. Disgraziatamente ora la politica perfida, le lotte brutali di piazza, le prostitute, la cocaina, un’ambizione sfrenata, l’incapacità di sviluppare il suo ingegno di scrittore, un sangue selvaggio, tutti i desideri, tutte le sensualità, tutte le vanità, tutte le fruste di questi nostri tempi veloci senza requie e gonfi di effimero!... (Silenzio) Ha però un’anima generosa. Molto simpatica.
Giovanni
Sta bene. Ma qui non è il suo posto.
Eugenia
Anzi il Vulcano mi sembra il suo luogo natio. Siete molto gelosi del vostro Vulcano, Massadra?
Giovanni
Sí, poiché un Vulcano è un vulcano, cioè nulla di letterario né di sentimentale né di politico. È il mio secondo laboratorio dove ci sforziamo di risolvere problemi che angosciano l’umanità. Si tratta di salvare delle popolazioni dai capricci tremendi della natura. Si tratta di scoprire la legge dei terremoti e dei maremoti e forse il segreto dell’equilibrio terrestre. Come volete che tutto ciò possa interessare i poeti!
Mario
ironicamente:
E gli amanti come noi! (Giovanni si è chinato di nuovo sulla fumarola col rampone) Eppure vi è forse un misterioso legame tra la scienza del Vulcano e il vostro affetto per Lucia.
Giovanni
voltandosi trasognato:
Che c’entra il mio affetto per Lucia?
Mario
Vi sono indubbiamente leggi che governano le simpatie delle anime e dei corpi, le loro fusioni ardenti e la continuità dei loro sentimenti, leggi simili alle leggi dei vulcani e forse influenzate da loro.
Giovanni
Voglio bene a Lucia e Lucia mi vuol bene semplicemente perché amiamo le stesse idee e le stesse ricerche scientifiche. Voi siete legato a Eugenia da una stessa estetica di turisti giovani milionari ed intelligenti.
Mario
Questa logica non ha nulla a che fare con la disperata passione che io nutro per Eugenia e che mi spinge a desiderare per noi lo sprofondarsi del sentiero alle nostre spalle e la morte nel fuoco. Caro Giovanni, credetemi, al di là di quest’ora (prendendo appassionatamente fra le braccia Eugenia e squassandola come per rianimare un corpo morto e baciandola con furia)... al di là di quest’ora, al di là di questo bacio non vi può essere che la morte e la liquefazione dei nostri corpi nella lava.
Eugenia
singhiozzando nelle braccia di Mario:
Sí, sí, Mario. È cosí. È cosí, è cosí!
Mario
a Lucia che, curva sulla fumarola, dà sguardi piú incuriositi a Mario e Eugenia che alla lava:
Ci guardate con occhi attenti e stupiti!... Finalmente noi agganciamo la nostra curiosità scientifica. Non vi aspettavate questi nuovi materiali vulcanici...
Eugenia
con angoscia orgogliosa a Giovanni e Lucia:
Ci siamo amati d’un amore sconfinato, sovrumano, sotto tutti i cieli, seguendo il ritmo di tutte le musiche, cullati dalla malinconia di tutti i mari, aizzati da tutti i soli fra le scenografie delle foreste delle montagne e dei deserti.
Lucia
Però girando il mondo voi siete rimasti sempre gli stessi amanti.
Mario
Le nostre vite e le nostre anime mutarono incessantemente. Dimenticavamo l’ultimo paese goduto e tentavamo di acclimatarci nel nuovo mescolando subito la nostra intimità con la parte più tipica dell’ambiente che noi esploravamo. Eugenia è stata per me volta a volta una languida egiziana, una gelosissima spagnola, una slava fluida inquieta fedele all’infedeltà, una italiana assoluta nel dono di se stessa. Io, con meno facilità, sono diventato un amante orientale, uno scettico francese cerebralissimo, un anglo-sassone distratto dallo sport e dal turismo. Nelle città medioevali tetre e sonore come antichissime campane, abbiamo fusa la nostra anima con la loro atmosfera di bronzo malato consunto e gemente. Eugenia si avanzava allora verso di me come un’ora lenta, e i suoi passi erano rintocchi di una agonia serena... Quanto, quanto era diversa a New York! Vibrante attenta snella spola veloce nell’immenso telaio di fumi tra i treni alti e scagliati da una nuvola rovente a un grattacielo abbagliante sotto i voli liquidi e distratti degli aeroplani. Il cuore di Eugenia galoppava per raggiungere tutti i veicoli del cielo e della terra che certo amavano più di lei, poiché correvano più di lei! Amore sincopato come le danze negre! Ma preferivamo amarci languidamente come la carne della luna ama una morbida terrazza di Tripoli, dove tutto è fermo, e corrono soltanto i gatti bianchi in amore come raggi di pelo bianco ingelositi...
Eugenia
Appena scorgemmo dall’alto della nave il profilo della città araba mangiato dalla luce, i nostri cuori che ballavano ancora il jazz band di New York si assopirono come fanno le ore pomeridiane, i cani scheletrici, i serpenti grassi e i cordami di catrame arrotolati al sole sotto gli archi delle case.
Mario
Dovunque portavo con me Eugenia, cioè una felicità concreta e palpitante, cioè un’arma di difesa contro il pessimismo dell’impossibile. Cosí sfidavo le finestre romantiche accese in cima alle strade buie della vita, le finestre rosee della città, bevute nella corsa dei treni, e che mi sembravano covare una gioia assoluta mentre filavo fra le lunghissime braccia delle rotaie. «Non avete, grido ora, finestre ideali, non potete avere nulla di meglio da darmi! Avevate ognuna una volta un’inconquistabile Eugenia! Ve l’ho rubata. Le ho rubate tutte a tutte le finestre e le ho fuse in una sola, questa!».
Eugenia
singhiozzando di gioia e baciando le mani a Mario con tenerezza:
Caro! Caro! Caro! Caro!
Mario
Amare insieme le cose belle! Insieme, santa parola! Scoprire un Dio in ogni cosa nuova e adorarlo insieme! Sapersi capace di tutta l’arte e di tutta la gloria, avere nei muscoli la scaltra combattività che porta gli uomini al potere, e rinunciare a tutto ciò per darsi al capolavoro dell’amore... Eugenia, Eugenia, perché tremi, non tremare, non piangere. Si, ho rinunciato e sono felice.
Eugenia
con angoscia:
Non pronunciare questa parola. Si sciupa alla luce! (Quasi in sogno) Quante gare fra noi due per estrarre da un paesaggio, da una musica, da un colore, da un profumo, da un contatto una essenza di dolcezza che a poco a poco si personifica, diventa un essere vivo, un soave fantasma! Queste forze misteriose svegliate da noi balzavano fuori e popolavano benignamente quella parte del nostro essere che l’amore lasciava inoperosa. Quando il paesaggio non ci soffocava con la sua bellezza, noi gli imprimevamo una ispirazione lirica tale da trasformarlo in un pubblico attento umile ed estatico davanti all’impressionante nostro amore perfetto.
Giovanni
si rialza per riprendere fiato, ascolta questa ultima frase e dice gravemente:
Ciò conduce ad interrogare insieme e ad adoperare insieme la morte! (Si china di nuovo sulla fumarola)
Eugenia
Se ci separavamo per pochi giorni, il nostro amore si precipitava nelle lettere come un fiume in uno squarcio della terra. Le volte gelose della sintassi e della busta chiusa comprimevano e centuplicavano la violenza di quel fiume sotterraneo di voluttà selvaggia e di tenerezza divina.
Mario
Sí, sí. E la carta rombava, strideva, scottava, bruciava, diventava carne, lagrimava e godeva, godeva.
Eugenia
Ho qui le nostre lettere, Mario. Vuoi che rilegga la tua ultima da Calcutta? Eri all’ospedale con una febbre maligna, e fosti preso da un delirio improvviso tale da non poter chiudere la lettera, che mi fu poi spedita dall’infermiera...
Mario
Non leggere. Non leggere. Sarebbe entrare nella pazzia.
Eugenia
aprendo il pacco delle lettere e sfogliandole con mani febbrili:
Mario, Mario, permetti che io le legga a Lucia, soltanto a Lucia! Lucia mi vuol bene e mi comprende.
Mario si impadronisce delle mani di Eugenia per vietare la lettura.
Lucia
Scusate la mia franchezza, amici. Io non comprendo l’importanza che voi date alle lettere d’amore. Quando si ha la presenza della persona amata a che vale rileggere le lettere?
Eugenia
Ti sbagli, Lucia. Queste lettere contengono i nostri brividi le nostre gioie i nostri dolori fissati, capisci, fissati per sempre come in un disco immortale.
Lucia
Che però non si può risentire a volontà. Sí, sí, questo disco d’amore vive, domanda di vivere ad ogni momento. È un pezzo di lava ardente!
Lucia
Lava spenta.
Eugenia
Ma voi non raccogliete forse e catalogate i pezzi di lava spenta?
Lucia
Sí, ma le calorie di una lettera di amore non sono misurabili. Hanno un’intensità soggettiva e immaginaria. (Lungo silenzio) La temperatura aumenta. È torrida. Bisogna andarsene. Nascondete quelle lettere. Potrebbero incendiarsi o ingiallire. (I boati e le vampe colorate precipitano il loro ritmo)
Mario
alzandosi e prendendo per il braccio Lucia a bassa voce:
Io non sono pazzo quanto lei. Ecco. Ad un tratto riacquisto la mia ragione. Completamente. Ma come, come salvarla dalla pazzia? Come difenderla dalla ebbrezza del suicidio?
Lucia
libera il suo braccio dalla mano di Mario e volgendosi di scatto verso Eugenia:
Vuoi un consiglio sicuro per la salute del vostro amore? Vuoi vivere nel vostro amore e non morire con lui? Dammi.
Eugenia
magnetizzata dagli occhi di Lucia le porge le lettere nelle mani aperte e tremanti:
Le vuoi leggere?
Lucia
No! (Lucia lancia il pacco di lettere nella voragine vampante) Le do da leggere all’unico lettore degno: il Vulcano!
Eugenia ascolta queste parole pietrificata dallo stupore; poi si precipita nel fumo là dove è sparito il piccolo pacco di lettere.
Mario
urlando:
Eugenia! Eugenia!
Si slancia dietro Eugenia e sparisce nel vapore giallo. Lucia e Giovanni tentano due volte di avanzare, ma devono retrocedere soffocati dall’anidride solforosa.
Mario
riappare portando fra le braccia Eugenia svenuta; l’abito a brandelli scopre quà e là il corpo bruciato:
È svenuta. Portiamola su, presto.
Giovanni
Seguitemi!
Si avviano tutti dietro Giovanni per il sentiero che sale fra i fumi gialli.
Sipario