Vocabolario italiano della lingua parlata (1893)/PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE.

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE.

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AL PROF. LUIGI MORANDI. CONIUGAZIONE DEI VERBI.
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PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE.


I.


Dopo tre anni e più di costante lavoro viene oggi in luce il presente Vocabolario. Il suo titolo dice subito quale ne sia l’indole e i termini: nonostante è nostro dovere lo spiegarci meglio, affinchè ognuno che lo voglia possa giudicare l’opera nostra per quello che è, e che noi abbiamo voluto che sia.

Oramai in Italia di vocabolarj che abbiano il loro fondamento nella lingua degli scrittori, ce n’è piuttosto abbondanza che difetto, figliuoli tutti quanti, più o meno legittimi, di quel primo padre che fu il Vocabolario degli Accademici della Crusca.1 Al contrario, di vocabolarj, ordinati espressamente a raccogliere la sola lingua dell’uso parlato, che con giuste definizioni la dichiarino, con esempj tolti dal comun parlare la illustrino, di vocabolarj insomma che mostrino la lingua quale suona oggi sulle bocche dei ben parlanti, noi siamo, si può dire, quasi affatto sprovvisti. Eppure da tutto le parti d’Italia si chiede da molto tempo a noi Toscani questo Vocabolario, e coloro stessi, che non approvano interamente certe nuove dottrine, non possono negare il bisogno urgente che ne ha oggi l’Italia.

A un lavoro adunque che intendesse e questo scopo pensai io (sono qui costretto a parlare in proprio nome) fin da quando si costituì in Firenze una Società per l’incremento de’ buoni studj, composta di uomini autorevolissimi in iscienze, lettere ed arti; i quali, intese l’indole e il fine di esso, e conosciute le somme linee del disegno, lo approvarano unanimemente, e mi confortarono all’opera. Alla quale mi sarei forse cimentato da me solo, se il tempo che m’avanza all’adempimento de’ miei doveri verso le scuola e l’Accademia, non me lo avesse impedito; o se l’editore, invece che tre o quattro, avesse volentieri aspettato sette od otto anni a vederne la fine. Essendo adunque nel numero dei soci Pietro Fanfani, uomo di quella competenza e di quel valore in tali studj, che tutti sanno, era naturale che mi rivolgessi a lui per aiuto, ed egli me lo promise subito e cortesemente con la lettera, che si legge qui sotto,2 volendo per altro che io, come avevo [p. 14 modifica]pensata e determinata l’idea dell’opera, così avessi piena libertà circa al condurla ad effetto; la qual cosa come scagiona lui di tutto ciò che vi può essere di non buono, cosi obbliga me a risponderne solo in faccia al pubblico.

Volendo adunque che questo Vocabolario fosse e s’intitolasse della lingua parlata, nessuno creda che per noi vi siano in Italia due lingue, una per uso e consumo dei parlanti, e un’altra per quello degli scriventi. C’è, non v’ha dubbio, una parte di lingua che vive solo nelle scritture, e questa è quella lingua, o meglio linguaggio, che per dir tutto in una parola, chiameremo letterato, il quale spesso per necessità particolari al pensiero ed all’arte dello scrittore, più spesso per vanità ed error di giudizio si predilige nelle scritture, specialmente da coloro che credono eccellente quel modo di scrivere, il quale più si discosta dalla verità del comun parlare, che in ogni novità odorano la corruzione, che si ostinano a star fermi, mentre la lingua si muove e cammina. Ma anche concedendo ciò, nessuno potrebbe mai negare che la massima parte della lingua scritta non sia anche parlata; nè sarebbe molto difficile corredare di esempj presi da buone scritture quasi tutte le voci usate parlando. Noi adunque non siamo di coloro, che ripudiano la lingua degli scrittori, come fosse un’altra lingua, anzi non fosse neppure una lingua, e vogliono che di essa non si tenga verun conto. Questa opinione, come tutte le opinioni eccessive, esce dai confini del vero, nè si potrebbe senza molto pericolo seguitare dagli Italiani, i quali appunto negli scrittori, non solo a noi più vicini, ma anche più lontani, riconoscono con la loro lingua il pensiero, la vita e la storia propria, e confessano con gratitudine che l’Italia, per tanti anni divisa di governo, di leggi, di armi e di costumi, fu saldamente unita nel pensiero e nella lingua de’ suoi scrittori.

Dobbiamo per altro confessare che questa opinione eccessiva, sostenuta oggi da uomini valenti, è una specie di reazione contro un’altra opinione pure eccessiva e non meno pericolosa, seguita per molto tempo in Italia, cioè che la lingua è quella che gli scrittori, anzi pochi scrittori, la fanno; e che si debbono usare soltanto le voci e le maniere usate da essi. La scuola, la quale al tempo d’Orazio negava allo scrittore la facoltà di adoperare vocaboli diversi da quelli già adoperati da Catone e da Ennio, è la stessa scuola (tanto per nostra sventura è antica!) che presso di noi pretendeva che nessuno si discostasse dalla lingua del Boccaccio e del Bembo: onde alcuni che vollero ribellarsi a siffatta tirannia, furono costretti a domandar perdono al lettore, se scrivendo osavano invece accostarsi alla lingua del loro tempo, e usar vocaboli che non fossero in quei due scrittori.3

Pure bisogna ricordarci bene che questa lingua, che ci suona sulle labbra, e che noi Toscani riceviamo bell’e fatta, fuori di Toscana s’impara principalmente su’ libri, dominando il dialetto nell’uso quotidiano della vita. Di qui la necessità per molti di sapere quel che di veramente vivo è oggi nelle bocche dei Toscani, quali mutazioni ha sofferto la lingua, e quali insomma sono le sue condizioni presenti. Il che non possono sapere se non in due modi principali, o venire ad abitare in mezzo ai Toscani, o avere alla mano un buono e fedele vocabolario. Or questo secondo modo non è stato del tutto possibile fin qui; e di ciò grandemente si doleva e sdegnava quel sommo ingegno di Alessandro Manzoni, che si sentiva ogni tanto mancare tale aiuto, egli che della toscanità aveva pure un alto e quasi sempre sicuro sentimento. Al contrario molti, i quali si tengono alla lingua [p. 15 modifica]degli scrittori toscani senza pensare più in là, credono di toscaneggiare squisitamente e di usar voci e maniere vivissime nell’uso, laddove usano spesso voci e maniere morte e intelligibili soltanto a’ letterati.

E per verità, quantunque la nostra lingua abbia sopra ogni altra delle moderne in Europa una grande virtù conservatrice di sè stessa, pure ella ha ricevuto, massimamente nel nostro secolo, non poche nè lievi mutazioni, per le molte vicende della vita pubblica, per il meraviglioso accrescimento delle umane conoscenze, e per i moltiplicati commerci della nostra con le altre nazioni, verso le quali, trovandoci noi quali sempre in condizioni inferiori, abbiamo dovuto e dobbiamo tuttavia molto più ricevere che dare.

Ora, volendo fare un lavoro, che rispondesse veramente a’ nuovi bisogni d’Italia, dovevamo considerare se tutta questa parte nuova della lingua poteva essere accolta nel nostro Vocabolario, per il solo fatto che ella è usata da molti anche in Toscana. Se un vocabolario fosse davvero, come piace ad alcuni definirlo, una statistica delle parole in uso, avremmo dovuto qualunque vocabolo o significato nuovo accettare a chius’occhi. Ma come abbiamo di tal lavoro un concetto diverso, e, osiamo dire, più vero, così tutta questa nuova lingua l’abbiamo sottoposta ad esame; esame ampio e libero da quelle gretterie, che per molto tempo hanno empito le nostre lettere delle questioni del si può e del non si può.

Forse su questo punto di capitale importanza altri vorrà più chiaramente conoscere le nostre opinioni. Per noi adunque una lingua vivente può corrompersi in tre modi: per voci e maniere nuove, venuteci, senz’alcun bisogno, di fuori; le quali, simili alle borraccine e alle altre piante parassite, si apprendono all’albero vigoroso dell’idioma nazionale, e adagio adagio lo intristiscono: per nuovi e strani costrutti: per nuovi e sregolati usi, foggiati sopra usi stranieri, di parole nostrali. Quanto alle voci nuove venuteci di fuori, egli è certo che la nostra lingua, specialmente negli ultimi tempi, ne ha ricevute non poche; sebbene la paura dei francesismi sia tanto grande fra noi, che quasi non fermiamo parola sulla carta senza essere turbati da quello spettro. 0ra noi diciamo francamente che siamo alquanto liberi da siffatte paure; e mentre evitiamo di leggieri un francesismo di parola, accettiamo come accrescimento legittimo della lingua tutte quelle voci, che scaturite da buona sorgente, come per esempio dal latino, ci sono date dalla Francia, che prima le derivò, ben conformate ad esprimere nuove idee. Paura, e non poca, ci fanno, al contrario, i nuovi e strani costrutti, i nuovi e sregolati usi di una parola legittima, perché questi dimostrano la corruzione del pensiero, e sono per conseguenza più difficili a cacciarsi via. Difatti dalla prima specie di francesismi non fu immune la nostra lingua neanche nel suo tempo migliore, e pure essi non poterono in nulla alterare la sua schiettezza e sincerità. Ma quando, concependo alla francese, noi a vocaboli nostri permutiamo il senso; quando, per esempio, il primario, del più alto che è, diventa nelle scuole primarie il più basso; e tutto è oggi magnifico, dal campanil di Giotto a uno spillo, e in ogni cosa, anche più piccola, cacciamo la massima, e ad ogni, non diremo giro di anni, ma di mesi o di giorni, applichiamo la voce epoca, quando l’adiettivo rotabile, che vuol dire possibile a rotarsi, a volgersi in giro, ovvero ad esser percorso da veicoli, diventa sostantivo, a si cangia in qualunque sorta di veicolo a ruote, ecco, per tacere d’infiniti altri, i francesismi che e noi fanno molta paura, per la ragione detta poc’anzi.

Tale è il nostro giudizio; e noi, secondo esso, abbiamo accolto e dato per buone molte voci nuove, venuteci di fuori, ma ottimamente formate, ed abbiamo registrato anche le veramente false e illegittime, notandole del debito marchio, e quasi sempre suggerendo il vocabolo, che il popolo adopra, e che da esso avrebbero dovuto apprendere i suoi maestri. Fummo, per verità, qualche tempo in dubbio, se questa parte corrotta dovesse essere accolta nel nostro Vocabolario; ma il pensiero di far cosa grandemente utile accogliendola [p. 16 modifica]

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e bollandols, ci levò d’ incertezza. Non stemma per altro in dubbio di rigettare tutto quel linguaggio, s dir così fluttuante ed instabile, che viene e passa con la mobilita della moda, che è di tutte le nazioni e di nessuna, e che non ha domicilio certo in alcun luogo. Chi ne volesse tener conto in un Vocabolario della lingua italiana, farebbe i1 medesimo di chi comprendesse nel novero della, vera popolazione di una città anche i foresticri, che giorno per giorno si notano ne’ registri delle locande.

Questo quanto alle voci nuove, venuteci di fuori. Quanto poi alla lingua del popolo to- scano, che è, senza alcuna contmdizione, lingua comune e nazionale, anche in questo. parte ci siamo ingegnati di semine le regole del buon giudizio, che insiem coll’ uso è il fonda— mento delle lingue. Perciò dovendo scegliere tra una e un‘ altra forma d’una stessa par rola, abbiamo preferita quella che è conforme più alla ragione che all’ uso di Firenze, nella qual città è pur necessario porre, siccome ubhiamo fatto in questo Vocabolario, il centro della lingua. Cosi, a modo d’ esempio, alle forme, per noi scorrette, Carnia-io, Ca- mcchiale, Cundelliere, Cmnmim e Camminelto, abbiamo preferito le vere forme Canm'ccio, Cannocchiale, Candeliere, szz'noe Caminetto, usate nelle altre parti di Toscana: perché anche l’uso fiorentino ha le sue scorrezioni, e il tenerle in pregio, soltanto perchè fiorenr tine, ci pare una superstizione non diversa da quella di coloro che stando attawati s certe forme antiche e disusaie, scrivono Dubio, Spm'e, Soggetto, Sustanza e simili altre delizie di pedonti. Non diciamo poi nulla, psiche sarebbe un di più, degli errori e idiotismi vol- gari, i quali chi volesse regalare all’ Italia in nome della unità della. lingua, non le fa— rebbe davvero un bel regalo, e risioherebbe di promuovere piuttosto 1’ unità. degli spro« positi, unità poco desiderabile, sebbene per rispetto a spropositi di altro genere siamo un buon pezzo avanti.

E poiché fu nostra intenzione di fare un Vocabolario di lingua comune, cosi abbiamo scartato tutti i riboboli e le fiorentinerie, le quali a nostro giudizio vanno lasciate ai Fio« rentini, che soli sanno, e spesso anche troppo bene, adoperarle s. tempo e luogo. E qui ci sia permesso di disapprovare certa smania, che oggi hanno molti tra i non toscani, di scimmiettm‘ci in questa parte la meno scimmiottabile; i quali appunto col voler esser troppo toscani si danno subito a conoscere per non toscani. E questa imitazione fa tanta forza al giudizio di alcuni, che anche in cose gravi e aliene dallo scherzo usano le ma- niere scherzevoli e comiche del nostro popolo, come se esso ridesse anche quando piange, e schiassasse anche quando si adira, e si dolesse in riboboli delle sue sventure. Noi cre- diamo che costoro siano i peggiori nemici della toscanità, perché, così facendo, lo rendono uggiosu e sazicvole a tutti gli Italiani di senno.

Ma quello che avrà 1’ approvazione (li tutti, poiché non è cosa disputubile per gente di garbo, si e 1’ aver lasciato fuori tutto ciò che in qualche modo riuscisse ad ofi'endere il buon costume, elfiche il libro possa entrare onestamente nella famiglia e nella scuola, e stare sul tavolino così d' un uomo maturo, come di una giovinetta. Nella qual parte se pure una censura ci si potrà. fare, sarà di essere stati forse soverchiamente rigorosi.

Rispetto poi ai linguaggi figurati, che di tanto accrescono le lingue, o sono come v-i ' li pnrlari, noi lasciando facoltà a ognuno di coniarne quanti ne vuole, secondo che l’animo e il gusto gli dettano, registriamo soltanto quelli che sono nell’uso comune. Del resto, se un Vocabolario dovesse tener dietro a tutte le figure, buone o cattive, regolate o srego- late, che scaturiscono vin. via da] cervello di ciascuno, avrebbe alle mani una faccenda da non venirne facilmente a capo. Di molte tra, esse si potrebbe fare pur troppo uno studio, ma non per raccoglierle in un Vocabolario com’ è questo, sibbene per mostrare a. quale de- pravazione di gusto e di senno siamo oggi discesi per opera di una filosofia grossa. come la materia, e della quale in nome della libera scienza si vuol far dono funesto all’Italia. [p. 17 modifica]

Ci rimane ore. a dire qualche cosa di quelle voci che appartengono alle scienza, alle arti ed ai mestieri, come pure di quelle che diconsi storiche. Quanto alle prime, senza entrare in molte disquisizioni, diremo brevemente che in un Vocabolario della lingua co- mune non possono aver luogo che qucllo voci, le quali dalla scuola e dalla officina sono uscite in pubblico, ed hanno fatto qualche giro per la città, dovendo tutte le altre esser. lasciate ai Dizionurj speciali, come loro proprie. Altrimenti facendo, s’andcrcbbe nell’ un viu. uno, e il Vocabolario mentre afi'ogherebbe la lingua comune coi termini scientifici e tecnici, non servirebbe poi neanche all’ uso degli scienziati e degli artisti, i quali per il bi- sogno loro non ricorreranno mai a sifi‘utti lavori, Mo. quali accettare? quali lasciare? Ripetiamo che per noi la regola è stata quelle. detta di sopra; cioè se la. voce sia tanto 0 quanto entrata. nel parlar comune, e da qualunque persona mezzanarncnte colta. possa essere facilmente intuu. Pure ci oonvien confessare che in questo siamo stati alquanto parchi,

La stessa. parsimonia abbiamo adoperato anche con le voci storiche. Per voci storiche s'intendono quelle che denotano cose, istituzioni ed usi antichi, iquali chi li voglia oggi nominare parlando o scrivendo, non può adoperare vocabolo diverso da quello che giù ebbero; ond’è che tali voci debbono aver luogo anche in un Vocabolario, come è il nostro, di lingua parlata. Di esse abbiamo registrate le più net/e e più importanti, e segnatamente quello che riguardano gli usi e le istituzioni. Per le altre rimandiamo il lettore a qualcuno di quei lavori speciali, di cui oggi sono sufficientemente provvisti gli studiosi dell‘antichità.

II.

Ed ora. del metodo lessicogrnfico e della forma di questo lavoro. La. compendiositd, alla quale abbiamo dovuto attenerci, non volendo fare un Vocabolario di troppo gran mole, ci ha consigliato a discostarci un poco da quelle forme rigorosissime, che si possono e si debbono tenere in lavori, alla cui compilazione si concede assai maggior tempo che non fu concesso al nostro. Perciò evitando le troppo sottili distinzioni tra un senso e un altro della stessa. voce, abbiamo colto via via, come la occasione ce 1' ot'l‘riva, il modo di notare i varj sensi, passando dall'uno all’altro, ma senza confondere gli ebrei co'sainaritnni, c facendo spesso di tutto il tenia trattato come un continuato discorso. Quanto poi alle de— finiaioni, se per noi è stato un dovere il recarvi tutta la. nostra attenzione, non però ci siam lasciati andare alla. smania di troppo minute determinazioni, che spesso dipendcndo da. un modo di vedere proprio del lessìccgrafo, risicano di confondere piuttostochè dichia— rare, provando anche in ciò la. verità del proverbio che dice: chi più s’assolliglia si sca- vezaa. Del resto quando la idea è sufficientemente determinata. pe' suoi veri caratteri, il resto, se può essere argomento di grande acutezza di monte, quale s' ammira nei Sinonimi del Tommaseo, e in molte dcllc voci da lui trattate nel Dizionario di Torino, per un la- voro che vuol essere, come è il nostro, essenzialmente pratico e spendibile negli usi della vita, non ci pare nè necessario nè utile. Mc. uno de' maggiori scogli per un Vocabolario della lingua comune sono lc definizioni dei termini scientifici, definizioni che non debbono esser fatte col linguaggio scientifico, e che in molti dei vocabolarj precedenti sono o er- rate o inesatte, non tanto per colpa dei lessicogrnfi, quanto anche per le mutate condi— zioni della scienza. E in questa parte ci è stato di non lieve soccorso l’opera del chia— rissiino signor professore F. Corr' i, coraggioso editore di questo lavoro, a cui siamo debitori spccialinente delle definizioni delle voci appartenenti alle scienze fisiche e matc- rnntii-hc; sicché possiamo confidare che il nostro Vocabolario abbia almeno per questo lato un vantaggio sopra gli altri.

Le voci poi e i sensi definiti sono quasi sempre corredati di emipj, composti secondo [p. 18 modifica]la verità. del parlar comune Da essi speriamo che verra. aiutata, segnatamente pei non toscani, la piena conoscenza del valore delle voci, e de‘ loro veri atteggiamenti nel discorso. Nei quali esempi spesso abbiamo cercato di racchiudere sentenze utili alla vita, e talora anche ci siamo fatto lecito di onestamente scherzare a fine di rallegrar la materia, e di mettere in atto i vivi parlcri del popol nostro.

Notiamo ora brevemente le altre cose utili a sapersi per chi vorrà. consultare questo Vocabolario. — Provvedendo, al solito, alla sua brevità, non caviamo fuori i superlatiw', se non quando escono dalla regola generale di lor formazione, come Acènima, Integèrrinw e simili, o quando, per un certo veno della lingua, appartengono a positivi, che per il lor significato non ammettono propriamente alcun grado, come Solîssimo, Stessissimo, Unici;- simo e via, discorrendo.

Parimente non registriamo i sostantivi verbali terminati in MENTO o in szE, se ve« ramente non siano dell’uso parlato, potendo ciascuno, se vuole, tormarseli a sua posta secondo le regole d’ analogia; e il medesimo dicasi degli adiettivi verbali in ORE e TRICE, non che dei dimiilulivi, Wcsvitîvi, peggiorativi cc.

Il participio presente e il passato sono soggiunti al proprio verbo, il primo ogni qual volta sia in uso, il secondo sempre, essendo necessario a formare i tempi composti. E poi- chè spesso tanto l’ uno quanto l’ altro addivengono adiettivi, e talora anche sostantivi, cos'l queste loro modificazioni si registrano sotto di essi, se pure Iy idea dell’ adiet’tivo o del s0- stantivo non abbia preso tal piede nell'uso, da farne dimenticare La origine: nel qual caso si oavan fuori da se al loro luogo.

Delle varie forme d’una stessa parola abbiamo cercato di attenerci a quella che è nel- l’uso fiorentino, salvo quanto è detto nella prima parte a pag. xn. Cosi delle forme Sativa, Scialiva e Sciliva abbiamo adottato la prima, e lasciato da parte le altre, sebbene usate più qua e più la; o se abbiamo registrata più d'una forma, esse sono unite insieme, fa- cendo preceder quella che stimiamo più comune, oppure più retta.

Talora di due sensi di una stessa voce abbiamo fatto due temi diversi, quando dotti sensi souosi così scostati l' uno dall’altro, da esser come usciti di parentela. Tali a modo d’esempio le voci hanno, PARERE, PARTIRE, PARTITO e RÈTTA.

Finahnente qualche voce o maniera adoperata da noi nell' esempio, e che dubitammo non potesse essere intesa di colpo da chi non ha molta pratica del parlar nostro, è stata brevemente dichiarata in parentesi a fin di risparmiare altrui il tempo e la noia di anw dare in cerca della spiegazione.

Abbiamo poi provveduto alla retta pronunzia delle voci, segnando l'e e l’a aperto o .diiuso, il primo coll‘ accento grave C), il secondo coll'aouto ('); l'ti e la i dolci con un puntolino. Cosi scriviamo Rosa e .Ròs'a, Missa e Miao. È inoltre notata con accento acuto, quando 1’ abbiam creduto necessario, la sillaba della parola, sulla quale avviene l’inalza- mento della voce. '

D linguaggio grammaticale adoperato in questo Vocabolario è quello che oggi più m. munemente si usa nelle scuole. Si potrebbe disputare se l’antico o il moderno fosse pre- feribile e più logico, e forse il giudizio non sarebbe a vantaggio di questo. Nonostante, poiché si tratta d’ intenderci, ed è oggi invalso altro linguaggio. noi ci siamo attenuti ad esso. Per tal modo il verbo si divide in transitive, intransitivo, riflessivo, pronominole e reciproco.

III.

Detto brevemente della ragion dell’opera e del metodo, sentiamo il debito di dichia- rare quali aiuti abbiamo avuto al nostro lavoro. Il primo e il più grande per le due [p. 19 modifica]prime lettere e per una parte della tam lo dobbiamo al nuovo Vocabolario degli Acca. ili-mici della (brusca, lavoro di gran lena, il quale ci ha molto giovato con la bontà. del metodo, colla esattezza delle definizioni e collo. copia delle voci dell'uso, al quale oggi l‘.\ocadennia attinge larghissimamento. In secondo luogo siamo debitori di aiuto al Gran Dizionario di Torino, nel quale se lo, materia è alquanto disordinata, se spesso l’analisi I‘ troppo minuta, è per altro una ricca miniera di lingua vivente, quantunque mescolata. mn molta ruggine (li antico. Abbiamo avuto sott’ occhio anche il Novo Vocabolario della lingua italiana, compilato da quell' egregio ingegno, che è il senator Giovamhattista Gior- gini, e da altri letterati che noi grandemente atimiamo; ma desse ci abbandonò presso che alla metà. del B. Dei nostri proprj lavori, che già hanno veduto la. luce, non occorre parlare, e sarchbe immodestia. Ma quello, che sopra ogni altro ci ha giovato, è questo popolo toscano, in mezzo nl quale siamo nati, cresciuti e già cominciamo ad invecchiare, o il cui vivo vocabolario studiamo do parecchi anni; sicché proponendo ain Italiani il nostra libro, possiamo dir lor0:— Questa, se non è tutta, è certamente la lingua che dalla uni. versalita dei ben parlanti si usa oggi in Toscana e segnatamente a Firenze; qui dove, nonostante i plebeismi e i riboboli, l'idioma italico ricevette (qualunque fossero le cagioni che ora non importa cercare) tutte le condizioni per addivenire lingua comune e nazionale, istrumento proprio ed efficace al pensiero ed all’arte, dove soltanto e concesso di apprendere quella, che e massima dote di ogni lingua, la proprietà. —

E dopo ciò, non possiamo nascondere come nell'atto di mandare in pubblico il nostro lavoro siamo in qualche trepidazione. L'opera d’ un Vocabolario, sehhen piena di difficoltà o di spine, pur sembra a molti l’opera più facile del mondo, e tale per conseguenza che ognuno, che sappia leggere, possa. e giudicarla e criticarln. E di fatti non è cosa molte (liflicile notare qualche omissione, ovvero aguzzando gli occhi in questa o in quella voce, in questa o in quella definizione, in questo o in quel paragrafo, scoprire o qualche ine- suttcua, o qualche svista od anche qualche errore, o dar mala voce a tutta l‘opera, dis- simulando che nel libro non ci sono soltanto quelle omissioni o inesattezze o sviste 0d errori, ma che v’è anche molto del buono e dell‘ utile. Oltre a ciò è da considerare che la lingua, la quale è il fotto più certo e più noto di un popolo, allorché vi si riflette sopra, addiviene, non sappiamo per qual motivo, il più incerto e mal noto, se non ncl suo s0- stanzinlo, si certamente ne‘suoi accidenti. Di qui il vario disputare intorno al senso pre- oiso di una parola, che ci suona continuamente in bocca, che ciascuno adopera e intende nel modo stesso che tutti l’ intendono e 1' adoperano.

E nonostante tutto questo, che dovrebbe rendere più benigno. la critica ad opere sif- fatto, noi, se attendiamo con qualche fiducia da parte degli Italiani un' amica accoglienza al nostro lavoro, non isperiamo che la critica maligna non gli voglia, dar di dente, mosse anche da eagioni tutt’ altro che filologiche. Ma a quel modo che ascolteremo con animo ri- conoscente le osservazioni, che ad altri piacerà di fare all' opera nostra, e delle quali ter- remo conto per una seconda, ristampa, ovvero per l'Al'PENDICE, che incominccremo ap- pena. pubblicato il Vocabolario, promettiamo di star forti e costanti contro alle maligne censure e alle già incominciato operazioni di coloro, che tirano il sasso o nasconan la mano, contenti di aver l'atto, come potevamo e sapevamo, un’opera, dalla quale venisse qualche utilità alla. patria comune, aiutando la desiderata unificazione della lingua, sug— gullo della unità civile della nazione.

1- manto ma. GlUSEl’PE Ricomi.

  1. In molti di questi vocabolarj non solo si continua a dar per vivo ciò che è morto, od a mettere i morti innanzi ai vivi, ma si continua anche ad adoperare nelle dichiarazioni un linguaggio che non di rado è pur esso antiquato.
  2. «Caro Professore. - Il suo disegno per un Vocabolario italiano della lingua parlata mi piace in tutto e per tutto: ed Ella ha ragione dicendo che sarebbe cosa diversa dall’altro mio Vocabolario della lingua italiana, così per il modo lessicografico, come per il fine a cui è ordinato. Ben volentieri dunque acconsento di aiutarla a colorire tale disegno, e l’accento che mi ingegnerò di farlo con ogni diligenza possibile a me. In questo caso però non voglio essere altro che aiutatore nel proprio e più stretto significato; nè voglio metter bocca minimamente in ciò che si riferisce a ragione e ordine lessicografico, nemmeno là dove non sono con Lei e con l’Accademia nostra, come per esempio nel rifiutare la j consonante; perchè tali minuzie nulla rilevano ad un lavoro così geloso e così grave. Su, dunque, mettiamoci all’opera allegramente, per veder di finirla, com’Ella spera, in tre anni; e ci serva di stimolo continuo la certezza di far cosa utile alla diffusione ed alla unificazione della lingua italiana, che tanto è a dire di far segnalato servizio al nostro deletto almo paese.» Di casa 8 marzo 1871. tutto suo P. Fanfani.
  3. Fra i non pochi scrittori che si potrebbero citare, basti per tutti Michelangiolo Florio, fiorentino, cinquecentista. Egli nella Prefazione al suo volgarizzamento del libro dell’Agricola dice, scusandosi di non avere adoperato sempre i vocaboli del Boccaccio, del Bembo ec., « che i tempi non meno astringono altrui a mutare i modi del parlare, che i panni. Se dunque io non mi sono servito di moltissimi vocaboli usati dal Boccaccio, nè di quei suoi lunghi periodi, non sia chi se ne maravigli: perché questa mia traduzione non dee esser letta da l’età del Boccaccio, ma da la presente. I parlari da l’ora in qua si sono mutati come dal dì a la notte. »