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degli scrittori toscani senza pensare più in là, credono di toscaneggiare squisitamente e di usar voci e maniere vivissime nell’uso, laddove usano spesso voci e maniere morte e intelligibili soltanto a’ letterati.

E per verità, quantunque la nostra lingua abbia sopra ogni altra delle moderne in Europa una grande virtù conservatrice di sè stessa, pure ella ha ricevuto, massimamente nel nostro secolo, non poche nè lievi mutazioni, per le molte vicende della vita pubblica, per il meraviglioso accrescimento delle umane conoscenze, e per i moltiplicati commerci della nostra con le altre nazioni, verso le quali, trovandoci noi quali sempre in condizioni inferiori, abbiamo dovuto e dobbiamo tuttavia molto più ricevere che dare.

Ora, volendo fare un lavoro, che rispondesse veramente a’ nuovi bisogni d’Italia, dovevamo considerare se tutta questa parte nuova della lingua poteva essere accolta nel nostro Vocabolario, per il solo fatto che ella è usata da molti anche in Toscana. Se un vocabolario fosse davvero, come piace ad alcuni definirlo, una statistica delle parole in uso, avremmo dovuto qualunque vocabolo o significato nuovo accettare a chius’occhi. Ma come abbiamo di tal lavoro un concetto diverso, e, osiamo dire, più vero, così tutta questa nuova lingua l’abbiamo sottoposta ad esame; esame ampio e libero da quelle gretterie, che per molto tempo hanno empito le nostre lettere delle questioni del si può e del non si può.

Forse su questo punto di capitale importanza altri vorrà più chiaramente conoscere le nostre opinioni. Per noi adunque una lingua vivente può corrompersi in tre modi: per voci e maniere nuove, venuteci, senz’alcun bisogno, di fuori; le quali, simili alle borraccine e alle altre piante parassite, si apprendono all’albero vigoroso dell’idioma nazionale, e adagio adagio lo intristiscono: per nuovi e strani costrutti: per nuovi e sregolati usi, foggiati sopra usi stranieri, di parole nostrali. Quanto alle voci nuove venuteci di fuori, egli è certo che la nostra lingua, specialmente negli ultimi tempi, ne ha ricevute non poche; sebbene la paura dei francesismi sia tanto grande fra noi, che quasi non fermiamo parola sulla carta senza essere turbati da quello spettro. 0ra noi diciamo francamente che siamo alquanto liberi da siffatte paure; e mentre evitiamo di leggieri un francesismo di parola, accettiamo come accrescimento legittimo della lingua tutte quelle voci, che scaturite da buona sorgente, come per esempio dal latino, ci sono date dalla Francia, che prima le derivò, ben conformate ad esprimere nuove idee. Paura, e non poca, ci fanno, al contrario, i nuovi e strani costrutti, i nuovi e sregolati usi di una parola legittima, perché questi dimostrano la corruzione del pensiero, e sono per conseguenza più difficili a cacciarsi via. Difatti dalla prima specie di francesismi non fu immune la nostra lingua neanche nel suo tempo migliore, e pure essi non poterono in nulla alterare la sua schiettezza e sincerità. Ma quando, concependo alla francese, noi a vocaboli nostri permutiamo il senso; quando, per esempio, il primario, del più alto che è, diventa nelle scuole primarie il più basso; e tutto è oggi magnifico, dal campanil di Giotto a uno spillo, e in ogni cosa, anche più piccola, cacciamo la massima, e ad ogni, non diremo giro di anni, ma di mesi o di giorni, applichiamo la voce epoca, quando l’adiettivo rotabile, che vuol dire possibile a rotarsi, a volgersi in giro, ovvero ad esser percorso da veicoli, diventa sostantivo, a si cangia in qualunque sorta di veicolo a ruote, ecco, per tacere d’infiniti altri, i francesismi che e noi fanno molta paura, per la ragione detta poc’anzi.

Tale è il nostro giudizio; e noi, secondo esso, abbiamo accolto e dato per buone molte voci nuove, venuteci di fuori, ma ottimamente formate, ed abbiamo registrato anche le veramente false e illegittime, notandole del debito marchio, e quasi sempre suggerendo il vocabolo, che il popolo adopra, e che da esso avrebbero dovuto apprendere i suoi maestri. Fummo, per verità, qualche tempo in dubbio, se questa parte corrotta dovesse essere accolta nel nostro Vocabolario; ma il pensiero di far cosa grandemente utile accogliendola