Vite di illustri Numismatici Italiani - Raffaele Garrucci
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VITE
di
ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
L’Italia, sempre feconda di eletti ingegni in ogni ramo di scienza, fra i più eminenti cultori delle discipline archeologiche e numismatiche, fioriti nel corso di questo secolo, ai nomi gloriosi di Ennio Quirino Visconti, di Bartolomeo Borghesi, di Celestino Cavedoni, va orgogliosa di aggiungere quello del Padre Raffaele Garrucci, il cui genio produsse opere immortali ed infuse il soffio della vita specialmente in quella vasta congerie di monumenti del primitivo Cristianesimo, accumulati con mire diverse, dalle persistenti indagini di tanti dotti, che in quell’arringo l’avevano preceduto. Tutti i suoi studi furono volti al lustro della religione e alla ricerca della verità. Quest’uomo straordinario vide la luce in Napoli il 13 gennajo del 1812. Nato da Antonio Garrucci e Maria Gesualda Sangiacomo, passò gli anni dell’infanzia fra le amorose cure dell’onorevole e doviziosa sua famiglia, che, religiosa com’era, indirizzò fin da principio il di lui precoce ingegno al culto di tuttociò che riputava vero e santo. — Tocchi appena i quindici anni, nel 1826, toltosi, per sua elezione, agli agi della famiglia, vestì l’abito ecclesiastico, e per meglio attendere ai suoi studî prediletti, cercò la tranquillità e l’isolamento nella Casa de’ Gesuiti. Ivi ajutato da tutti i sussidî che gli poteva fornire quel potente Ordine religioso, rinvigorì il suo spirito, e preso da intenso ardore per tutto quanto riguarda Dio e la Religione, risolutamente impugnò il vessillo della scienza per combattere con armi pari le più fiere battaglie contro quelli che sospettava atei o miscredenti. A questo scopo, con febbrile attività, intraprese faticosi viaggi per luoghi inaccessi, remoti od inesplorati, interrogando uomini e monumenti. Perlustrò il Sannio, gli Abruzzi, le Puglie, la Capitanata; poi Roma e la sua campagna; indi la restante Italia. Non bastando questi viaggi ai suoi intenti, uscì dalla penisola, esaminò palmo a palmo talune regioni della Francia, investigando ovunque le traccie della civiltà pagana, per sorprendere fino dai suoi principî le origini del Cristianesimo. In quelle sue peregrinazioni e minute indagini, dovette talvolta coraggiosamente superare ostacoli, che sembravano insormontabili, deludere insidie occulte, che avrebbero abbattuto ed avvilito un animo, che non fosse stato agguerrito come il suo. In questo battagliare, nondimeno, conservò sempre l’animo calmo e lucido il pensiero. Scevro d’ogni mira ambiziosa, mantenne sempre alta e pura la dignità dello scienziato: leale e cortese cogli avversari, solo alzò sdegnosa la voce contro l’ignoranza e la malafede. — Sentendosi ormai forte negli studi dell’archeologia, uscì nell’arringo scientifico assai modestamente collaborando, nel 1844, coll’Avellino nelle Disquisitiones antiquitatum salernitarum, e con Camillo Rosalba nella versione italiana del Manuale di archeologia di Ottofredo Müller. — Solo un anno dopo, 1845, la tavola alimentaria, scoperta dal Cav. De Agostini a Macchie presso Benevento, gli offerse occasione di segnalarsi d’un tratto archeologo insigne, dissertando eruditamente sull’Antichità de’ Liguri Bebiani. La dottrina messa in luce da quel lavoro gli aperse l’adito all’Accademia Ercolanense e gli procurò la nomina a Socio ordinario dell’Istituto Prussiano. Dopo il 1845 ogni anno era segnato da lui con una, due o più monografie che facevano sempre più palese la sua vasta erudizione, la dottrina e la suprema competenza nelle più ardue questioni archeologiche. A Roma, nel 1847, il Cardinale Altieri, proponendogli l’illustrazione della propria Collezione di piombi antichi, offrì al Garrucci l’opportunità di rifare, con intendimento razionale e scientifico, l’opera tentata da Francesco De Ficoroni, raccogliendo in un corpo que’ piccoli monumenti fino allora scoperti, determinandone con felice intuito la natura e l’uso. Nulla sfuggì alle sue dotte indagini; pitture cimiteriali, le iscrizioni del porto di Miseno, quelle d’Isernia, le salernitane furono per lui argomento di speciali monografie. Queste monografie, veri capolavori di erudizione e di critica sagace, nella sua mente erano tutte convergenti all’intento, da lui allora vagheggiato, di compilare un’opera sì vasta e colossale, da comprendere l’illustrazione storico-archeologica delle provincie meridionali d’Italia. Le fortunose vicende del 1848 gl’impedirono il proseguimento di quel vasto disegno. Anzi il desiderio della pace e della quiete obbligarono il Garrucci ad esulare da quella patria, che stava in cima a tutti i suoi pensieri, ma che, allora travagliata com’era e in continuo orgasmo e distratta per l’instabilità delle sue condizioni politiche, non aveva tempo nè modo d’occuparsi con affetto di un cittadino che, per la natura pacifica de’ suoi studî e delle sue opere, non poteva esserle di decoro e d’orgoglio, che in tempi più riposati e tranquilli.
Nel 1854 l’Istituto di Francia propose un premio alla migliore Memoria sull’origine e il valore dell’accento negli antichi marmi. Il Garrucci ne fu consapevole solo quindici giorni prima che scadesse il termine dell’indetto concorso. Non la brevità del tempo, nè la difficoltà del tema, distolsero il Garrucci dal prendere parte a quella dotta gara. Nè fu presunzione la sua, perchè la di lui Memoria fu premiata; e il presidente di quel celebre Istituto, il Lenormant, nel presentare lo scritto all’Accademia, alludendo alle tesi contrarie sostenute da alcuni dotti di quel nobile consesso, non esitò di esclamare: Messieurs, nous nous sommes trompés.
Il Garrucci, non nato pel riposo, continuò con sempre maggior lena ad arricchire la repubblica letteraria di nuovi e pregiati lavori, le Iscrizioni di Rieti ed i Graffiti di Pompei. Nel 1856 pubblicava a Parigi le Mélanges d’epigraphie ancienne; di qui una dotta polemica col signor De Rossignol, membro dell’Istituto, le cui opinioni il Garrucci, narra uno dei suoi ammiratori, confutò con tanta arguzia di critica, con tanta erudizione, che la maggioranza di quegli Accademici dovette confessare avere il Garrucci riportata completa vittoria sul suo avversario. Pari onore gli fruttò nel 1875 la non meno dotta polemica col Prof. Ritschl di Bonna e con Errico Brunn a proposito della Sylloge delle iscrizioni anteaugustee. — Come il Winkelmann, mezzo secolo prima, aveva dato alla luce la Storia dell’arte pagana, così venne al Garrucci l’ispirazione di esporre in un’opera consimile i Primi otto secoli della vita cristiana. — Già in tempi diversi il Bosio, l’Aringhi, il Boldetti, il Bianchini, gli avevano appianato la via col minuzioso esame dell’enorme congerie di monumenti da loro stessi raccolti e descritti. Si trattava ora di sostituire all’analisi la sintesi, d’infondere la vita in quell’ammasso inerte, e di ridurre a principî di scienza ciò che non si conosceva che per esempî isolati o disgiunti. Ciò fece il Garrucci investigando sottilmente le ragioni dei fatti, luminosamente e solidamente basando su quelli la conferma dell’immutata tradizione della Chiesa. — La Storia dell’arte cristiana, opera da tanto tempo desiderata da molti, intravveduta da alcuni, aveva fino allora atterrito gli ingegni più forti e le menti più erudite. Frutto di quasi trent’anni di perseveranza e di lavoro, quest’opera immortale è compresa in otto grossi volumi in-fol., splendidamente illustrati con cinquecento tavole, edita in Prato dal 1872 al 1881. A quest’opera attinsero tutti gli archeologi minori de’ nostri tempi, e ad essa dovranno ricorrere in avvenire gli studiosi dell’antichità sacra come a fonte inesauribile e sicura. Con quest’opera il Garrucci raggiunse l’apogeo della sua gloria, come strenuo difensore delle origini della primitiva Società cristiana e del culto de’ nostri antichi padri.
Contemporaneamente a questa grand’opera, non cessò di dare alla luce altri suoi scritti assai eruditi su Antiche lapidi di Venafro, di Benevento, sugli Scavi della necropoli di Albano, 1875; sopra un’Iscrizione arcaica di Cuma, 1878; sull’Antica monetazione di Reggio di Calabria, 1879; sulle Prime origini della moneta italica di bronzo, 1880; sulla Via Valeria da Tivoli a Corfinio, e sulla Patria di Cicerone, 1882; e molti altri di non minore importanza, finchè pose termine all’altra insigne opera da tempo ideata sulle Monete antiche d’Italia dalla origine della monetazione fino all’impero dei Cesari. Con quest’opera, che venne pubblicata in Roma dopo la sua morte, il Garucci intese di rifare con più solidi criteri scientifici il lavoro tentato già dal Golzio, e in tempi più recenti dal suo concittadino Francesco Carelli, 1831, purgando quest’ultimo dalle monete apocrife ivi citate, e dai molti errori di attribuzione. Tenendo sempre sott’occhio e facendo gran conto del prezioso volume edito in Roma dai valentissimi padri, suoi confratelli, Giuseppe Marchi e Pietro Tessieri, nel 1839, col titolo: Aes grave del Museo Kircheriano, ovvero le monete primitive dei popoli dell’Italia media ordinate e descritte, e di quello non meno erudito di L. Sambon: Recherches sur les monnaies de la presqu’ile italique depuis leur origine jusqu’a la bataille d’Actium (Naples, 1870), facendo tesoro delle ultime scoperte e degli studî posteriori, fu in grado di pubblicare una raccolta più vasta e compiuta di quegli antichissimi e rari monumenti, e diffondendo su di essi la luce della scienza, e l’esame della critica, portò l’evidenza nello scioglimento delle più ardue questioni della numismatica primitiva. — Un giorno, mentre questo infaticabile atleta del pensiero stava seduto dinanzi al suo tavolo a correggere le ultime frasi di questa sua opera sulla numismatica, colto improvvisamente d’apoplessia, in poche ore esalò l’anima immortale in Roma il 6 maggio del 1885.
La notizia si sparse inattesa nel mondo degli scienziati, e la sua perdita, giudicata irreparabile, fu da tutti sinceramente compianta.
Il Garrucci spirò a settantatre anni di età coi conforti di quella religione, per cui arse il suo cuore, e a cui per tutta la vita aveva consacrato il suo genio ad illustrarla e difenderla. Le sue esequie furono compiute col solo mesto rito della Chiesa, senza bandiere abbrunate, senza pompa profana, come, forse, fu il desiderio dell’illustre defunto.
Chi desiderasse avere intorno a questo insigne numismatico notizie biografiche più estese ricorra a: Ferdinando Procaccini di Montescaglioso: Commemorazione del P. Raffaele Garrucci d. C. d. G. Napoli, 1885; in-8. — Cenni intorno alle opere del P. Raffaele Garrucci d. C. d. G. (Dal giornale La Discussione). Napoli.
ELENCO
DELLE OPERE E DEGLI SCRITTI DI NUMISMATICA
del Padre Raffaele Garrucci.
1. Piombi antichi del Cardinale Altieri. Roma, 1847, in-8, con 5 tav.
2. Storia d’Isernia raccolta dai monumenti di architettura, epigrafia e numismatica. Napoli, 1848.
3. Risposta al Commendatore Visconti intorno alla edizione dei piombi. Napoli, 1848.
4. Instituzioni numismatiche del P. Eckhel tradotti dal P. Caronni, 1a ediz. napoletana, annotata da R. Garrucci. Napoli, 1847-48.
5. Pesi antichi del Museo Kircheriano (Annali di numismatica di Giuseppe Fiorelli). Napoli, 1852.
6. Catalogo del Museo Kircheriano (Ibidem).
7. Esame critico e cronologico della numismatica Costantiniana, con Appendice. Roma, 1858 (se ne ha una traduzione francese nella Revue numismatique di De Witte e De Longpérier).
8. Medaglione di bronzo esprimente la vittoria Persica di Galerio Massimiano (Periodico di num. e sfrag. del Marchese Carlo Strozzi). Firenze, 1870.
9. Nuovo ripostiglio di monete famigliari, scoperto presso Riccia nella provincia di Campobasso (Periodico di num. e sfrag., anno V, fasc. III). Firenze, 1873.
10. L’antica monetazione di Reggio calabrese (Civiltà Cattolica, serie X, vol. IX, 1879, pag. 204).
11. L’aes rude e l’aes signatum, e le prime origini della moneta italica di bronzo (Civ. Catt., serie XI, vol. III, 1880, pag. 716).
12. Origine dell’oro e dell’argento monetato in Etruria. — Origine del bronzo monetato in Etruria. — Pesi di bronzo e di piombo latini e greci. (Civ. Catt., vol. V, pag. 207).
13. Le monete dell’Italia antica. Raccolta generale del P. Raffaele Garrucci. Roma, 1885, un vol. in-fol. diviso in due parti. La prima contenente le monete primitive, fuse, cioè l’aes rude e l’aes grave; la seconda, le monete coniate. Corredata da 124 tav. con impronti dal vero, egregiamente incisi dal valentissimo artista Silvestro Bossi.