Prefazione

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I - Criteri fondamentali

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PREFAZIONE





Quest’edizione della Vita Nuova era annunziata come prossima a uscire quattordici anni fa: e veramente fin d’allora erano compiuti lo spoglio e la classificazione dei codici, e fatto il primo tentativo di ricostituzione del testo; di modo che se altre cure, e la scoperta di un nuovo manoscritto, molto importante, del quale non prima del novembre 1905 ho potuto avere sufficienti ragguagli, non si fossero opposte, la promessa poteva esser mantenuta a tempo.

Il testo non si presenta con molte novità; ma non erano neppure da attendere, perchè di tutti i migliori Mss. già si erano valsi i precedenti editori. Si sono tuttavia applicate norme più sicure e costanti per l’ortografia, la fonetica e la morfologia, e anche per le lezioni di senso qualche miglioramento è stato possibile: inoltre, essendosi fatta una ricognizione ordinata e compiuta di tutti i testi e una valutazione precisa dell’autorità delle varie tradizioni e dei singoli codici, possiamo finalmente dir con sicurezza se e quanto una data lezione sia attendibile; la qual sicurezza sinora mancava, o non si aveva intera, neppure per le lezioni nelle quali tutte le stampe concordassero.

Due sono risultate le tradizioni del testo, e fra loro poco differenti: molto semplice è per conseguenza l’apparato critico, dovendo esso accogliere, a mio avviso, soltanto le [p. viii modifica]varianti dei capostipiti delle varie tradizioni, o, quando essi non si conservino e i loro derivati non siano d’accordo, gli elementi necessari a ristabilire criticamente quelle varianti. Questo non è l’uso comune, e il merito d’una edizione critica si misura generalmente dalla maggiore o minor compiutezza in riferire nell’apparato le varianti di tutti e singoli i Mss. Ma è un errore. La congerie delle lezioni raccolte dai vari codici serve a doppio uso: parte vale semplicemente a stabilire le relazioni tra i testi, e questa va accolta e ordinata in apposite tabelle nell’introduzione; parte serve alla ricostituzione critica del testo, e questa, soltanto questa, va disposta a piè di esso nell’apparato. Chè, come la dimostrazione dei rapporti fra i codici non ha da esser fondata su poche varianti scelte, ma sull’ordinata registrazione di tutte le lezioni caratteristiche più sicure; così l’apparato deve mostrare alla prima i luoghi questionabili e gli elementi della questione, senza che lo studioso li vada faticosamente a cercare fra varianti secondarie, inutili alla critica del testo. Ho perciò escluso dal mio apparato sin certe varianti divenute famose nella tradizione delle stampe, pur provvedendo rispetto ad esse a soddisfare in nota la curiosità che lo studioso potesse avere di conoscere qual fondamento abbiano nei manoscritti.

Del testo da me ricomposto, cioè della scelta da me fatta delle varie lezioni recate dai capostipiti, ho reso ragione, dovunque era necessario, nelle note a piè di pagina. Chi non sarà del mio parere, potrà facilmente, caso per caso, rifare il ragionamento a suo modo, e mettere nel testo quel ch’io ho relegato nell’apparato: il pregio migliore di queste edizioni è appunto quello di mettere in grado il lettore di rifare, dove voglia, per suo conto il lavoro del critico. E più liberamente potrà ciascuno scostarsi dal nostro parere in quei casi dove la scelta fra due [p. ix modifica]lezioni è questione d’impressione e di gusto, e nessuna ragione si potrebbe allegare a favore di essa se non che così ha consigliato l’orecchio esercitato al suono di quella prosa. In tali casi il critico che temesse l’accusa di soggettivismo o d’arbitrio, dovrebbe porre ambedue le lezioni, l’una sotto l’altra, nella medesima linea del testo. Ma a che pro quella bruttura tipografica? O più su o più giù, o nel testo o nell’apparato, basta che le due varianti siano registrate e sia riconosciuta loro pari autorità.

Se a me piaccia di procedere arbitrariamente nella critica dei testi, lo mostra l’introduzione dove sono posti i fondamenti e i criteri dell’opera mia. È la parte più sicura, come anche la più nuova, del lavoro; nè è stata davvero la più facile, come può parere ora che a quel caos di varianti, sia lessicali e sintattiche, sia grafiche, fonetiche e morfologiche, è stato dato ordine e legge. Ma anche le annotazioni al testo spero faranno prova al lettore d’aver io cercato sempre la soluzione dei dubbi, piuttosto che in ragioni di gusto personale, nello studio della lingua, degli usi, dei sentimenti del tempo di Dante.

Molti aiuti e agevolazioni ho ricevuto per questa edizione, e m’è caro mostrarmene grato. Il principe Don Mario Chigi e la nobile famiglia Martelli hanno liberalmente consentito che i loro codici preziosi potessero essere da me studiati nella Biblioteca Laurenziana; del codice di Toledo, scoperto e indicatomi dal prof. Mario Schiff, prima il dotto e cortese p. Ehrle, prefetto della Biblioteca Vaticana, mi procurò dal suo degno confratello p. Cecilio Gomez Rodeles una parziale collazione, e poi il reverendissimo Capitolo toledano permise la riproduzione in fotografia; del Ms. dell’Università Cornell ho avuto precisi ragguagli dal bibliotecario Geo. Wm. Harris e dal suo assistente D.r Andrew C. White; del codice Capitolare di Verona ebbi l’intera collazione dal prof. Giorgio Bolognini, e potei poi giovarmi [p. x modifica]d’un altro, e anche più minuto, riscontro, fatto dal compianto amico O. Zenatti. Di parziali riscontri (chi ha pratica di questi lavori sa quanti dubbi sorgano ad ogni momento, anche ad aver fatto le cose con diligenza) vado debitore a E. Broll, T. Casini, G. Coggiola, G. Cugnoni, A. della Torre, F. Flamini, A. Mancini, S. Morpurgo, E. Moore, E. Motta, F. Pintor, E. Rostagno, L. Simeoni, D. Antonio Spagnolo, G. Vandelli; e molto debbo, per dubbi e questioni d’altro genere al consiglio di I. Del Lungo, A. Mussafia, E. G. Parodi, P. Rajna. Mentre ero prossimo a licenziare gli ultimi fogli dell’Introduzione e il testo della Vita Nuova, tornava alla luce il codice di Pesaro, del quale s’erano perdute le tracce dopo la riproduzione letterale che ne fu fatta nel 1829: si deve alla gentilezza del prof. Lino Sighinolfi, che lo ritrovò fra le carte del letterato centese Gaetano Maiocchi e si compiacque collazionarlo colla stampa di Pesaro, e alla liberalità del possessore comm. Antonio Maiocchi, sindaco di Cento, se ho potuto giovarmi anche di quel codice a render più compiuta la mia introduzione e più esatto e sicuro l’apparato critico.