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prefazione ix

lezioni è questione d’impressione e di gusto, e nessuna ragione si potrebbe allegare a favore di essa se non che così ha consigliato l’orecchio esercitato al suono di quella prosa. In tali casi il critico che temesse l’accusa di soggettivismo o d’arbitrio, dovrebbe porre ambedue le lezioni, l’una sotto l’altra, nella medesima linea del testo. Ma a che pro quella bruttura tipografica? O più su o più giù, o nel testo o nell’apparato, basta che le due varianti siano registrate e sia riconosciuta loro pari autorità.

Se a me piaccia di procedere arbitrariamente nella critica dei testi, lo mostra l’introduzione dove sono posti i fondamenti e i criteri dell’opera mia. È la parte più sicura, come anche la più nuova, del lavoro; nè è stata davvero la più facile, come può parere ora che a quel caos di varianti, sia lessicali e sintattiche, sia grafiche, fonetiche e morfologiche, è stato dato ordine e legge. Ma anche le annotazioni al testo spero faranno prova al lettore d’aver io cercato sempre la soluzione dei dubbi, piuttosto che in ragioni di gusto personale, nello studio della lingua, degli usi, dei sentimenti del tempo di Dante.

Molti aiuti e agevolazioni ho ricevuto per questa edizione, e m’è caro mostrarmene grato. Il principe Don Mario Chigi e la nobile famiglia Martelli hanno liberalmente consentito che i loro codici preziosi potessero essere da me studiati nella Biblioteca Laurenziana; del codice di Toledo, scoperto e indicatomi dal prof. Mario Schiff, prima il dotto e cortese p. Ehrle, prefetto della Biblioteca Vaticana, mi procurò dal suo degno confratello p. Cecilio Gomez Rodeles una parziale collazione, e poi il reverendissimo Capitolo toledano permise la riproduzione in fotografia; del Ms. dell’Università Cornell ho avuto precisi ragguagli dal bibliotecario Geo. Wm. Harris e dal suo assistente D.r Andrew C. White; del codice Capitolare di Verona ebbi l’intera collazione dal prof. Giorgio Bolognini, e potei poi giovarmi