Atto I

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Kālidāsa - Vicramorvasi (Antichità)
Traduzione dal sanscrito di Francesco Cimmino (1890)
Atto I
Personaggi Atto II

[p. 7 modifica]I \ (invocazione). PKESAHIO. ¦r fori.. IPR. oci dall interno. IPR. Quei che ne’ Vedi unico spirto è detto, Che invade terra e ciel, colui che sire Non ha fuori di sé null'altro oggetto, — Ecco il suo vero nome — a cui lor mire Volgon quei che il respir frenando in petto Sol di struggersi in lui nutron desire, Quei — Siva — ambito con costanza pia, Di gaudio eterno a voi propizio sia I {finita Vinvocazione, parta l'impresario). Or via, cessi l’indugio cli’è durato abbastanza, (volgendoli verso l’interno Ehi, brav’uomo, sbrigatevi: so che in questa adunanza [dilla scena) Avvezzi gii ad assistere sono gli spettatori All’opere drammatiche degli antichi scrittori : « Vicramòrvasi » è il nnovo dramma ch’io qui presento; Autor n’è Calidisa. — Voglio clic ognuno attento Reciti la sua parte — dite alla compagnia Dei vostri attori Come piace a vossignoria. Ed io dirò frattanto, dopo d’aver rivolto Un bello inchino a questo pubblico eletto e colto : « Se vèr gli amici amor gentil v’infiamma, Se in pregio avete l’opra e lo scrittore, Ognun di Calidàsa al novo dramma Qni con orecchio intento or faccia onore. » « Aita, aita, o prodii » Che ascolto ? Che son questi Miserabili gridi, che levano i celesti Viandanti nei carri lassù per l’aria? (dopo iti avere alquanto eoniiderato) Or bene,

Vi spiegherò ogni cosa; gii intendo quel che avviene: [p. 8 modifica]

La vaga ninfa dalla coscia nata
Di Nara ch’è a Visnù compagno pio
Pei sentieri del ciel movea beata,
Poi ch’ebbe chiesto commiato al dio.
Che di Cailàsa la montagna guata.
Ecco, a metà del ripido pendio,
È dai nemici degli dei ghermita,
Perciò le ninfe van gridando: Aita!

(finisce l'introduzione).




(Si scopre la scena ed entrane le Apsàrase).
Apsàrase.Soccorreteci, o prodi, aita, eroi!
Havvi alcuno tra voi
Che con ala immortal possa librarsi
Rapidamente a volo.
Alcun ch’osi affrontar le vie del cielo? (entrano il re e l'auriga sul carro)
Pururàvasa.Su via, cessi il lamento! Or qui son io
Pururàvasa, il re: testè compito
Di Súrya il sacro rito,
Intender bramo contro chi v’é d’uopo,
Apsàrase gentili, il braccio mio?
Ramba.Contro gli Àsuri arditi!
Pururàvasa.E quale oltraggio, quale
Ha l’audacia degli Àsuri commesso?
Ramba.Orben, ti piaccia udire,
O magnanimo sire:
Quella ninfa ch’è d’Indra arma leggiadra
S’egli ha talor sospetto
D’alcuno in gravi penitenze immerso,
Quella gentil ch’è invidia
Della vaga di Siva augusta sposa
Di sue bellezze altiera,
Colei che il Ciel fa co’ suoi vezzi adorno,
La nostra amica Urvàsi,
Mentre facea ritorno
A Citralèca unita
Dall’eccelsa magio» del dio Cuvèra,
Nel mezzo del cammino
Da un Danàvo crudel ci fu rapita!
Pururàvasa.Non avete voi visto,
O ninfe, per qual parte
Dell’etereo cammin fuggìa quel tristo?
Apsàrase.Inverso tramontana.
Pururàvasa. Orben, da banda

[p. 9 modifica]ASI. — ATTO I.

Ogni terrori La vostra dolce amica lo farò si che a voi sia ricondotta. Inver, si bella impresa Ben degna è d’tin rampollo Della lunar progenie! Ed or mi dite Dove ci rivedrem. Là, sulla vetta Dell’ Emacuto. Auriga, Orsù, volgi a grau fretta Vèr la nordica plaga i tuoi destrieri. Al tuo comando io sono, augusto sire. Puruk. (ucmtdando con] Bravo ! Ben fatto ! Oh si che di tal passo la mimica l'impeto del] Fin l’aquila Garùda io vincerei, APSÀ («» trasporto). PURURAVASA. Apsàrase. Pcrcràvasa. Auriga. carro). Anco se pria di me s’alzasse a volo ! La polve incontro al carro e la caligine Par che a infranger le nubi intorno spirino; I raggi delle ruote han tal vertigine Ch’altri ed altri fra quei par che s’aggirino. Ritto che par quasi dipinto, al nobile Slancio il pennacchio sai cavalli sta; Ed il vessil, ch’è in mezzo e innanti, immobile, Spiegato al vento impetuoso or va. (il re e l'auriga s'allontanano). Sahagiànya. Mìnaca. Ramba. Mìnaca. Ramba. Ménaca. Ramba. Ora che il pio sovrano É già da noi lontano, Al loco del convegno, orsù, n’andiamo. Andiamo pure, amica (fa atto di salire sulla vetta dell'Emacùto). Or di: credi che il sire Ci strapperà dal cor l’acuta spina? Non dubitar. Ma abbatter quei Danàvi £ ben ardita impresa I E che? Non sai tu forse eh’ Indra istcsso Quando a pugnar s’accinge, il nobil dnce Seco nel del conduce? E a lui, che sempre guida La divina coorte alla vittoria, Sccuro a lui l'eccelse schiere affida. Ch’ei sempre torni vincitori (dopo di estere stata alquanto in pensiero) Su, via, Respirate, o compagne! Su, datevi coraggio I [p. 10 modifica]IO VICRAMÒRVASI. — ATTO I. CtTRALÉCA. Pururàvasa. ClTRALÉCA. Pururàvasa. ClTRALÉCA (- Io scorgo il corro del gran re, quel carro Che del dio Soma è dono; Gii la pelle del daino all’aria tesa — Vessillo del gran re — da lungi appare... Oh! se quell’ardua impresa Or non avesse il prode sir compita, Come in un tratto qui potria tornare? (le Apidrase fanno segni d'augurio, guardando alla volta del carro) (indi entrano sulla scena il re e l’auriga col carro; Urvdsi, appoggiala al braccio destro di Ctraliea, ha gli occhi chiusi dallo spavento). Fa core, amica miai O mia vezzosa, via, fitti coraggio ! D'ogni terrore, o timida, Libera alfin tu sei; Gii son disfatti i perfidi Nemici degli dei: Quel dio che il fulmin regge, Col suo potere il triplice Mondo tnttor protegge. Or tu dischiudi l’ampie Ciglia, siccome, quando In ciel si va la tènebra Notturna diradando, Si suole, in mezzo al prato, Della ninfea dischiudere Il calice odorato I Qual meravigliai Dal respir soltanto N’appare in lei la vita Ahi! ch’ella i sensi non ripiglia ancora! Ben forte fn dai perfidi atterrita. Svela del core i bàttiti frequenti Di fior’ di corallina il vago cinto, Che infra le mamme turgide, fiorenti S’agita a quando a quando risospinto. pietà). Urvasi, in te ritorna; Un’Apsàrasa inver tu più non sembri. Pari a tenero fior quel cuore anelo Per tema e ancora a palpitar costretto, E lo tradisce il lembo di quel velo Che si leva e s’abbassa in mezzo al petto. (Urvasi rinviene).

VICRAMÒRVASI. — [p. 11 modifica]

Poruk. (con giubilo)Fanciulla, orsù, fa corc,
Vedi, in Urvasi alfin torna il vigore:

     Come la notte se al chiaror lunare
     Dal tenebror si vede abbandonare,
     Come fiamma di foco allor che folta
     Nube di fumo infrange.
     La gentil ninfa al suo deliquio, è tolta:
     Del pari awien che il Gange
     Torbido allo scrosciar de le correnti,
     Chiaro, in calma, e diafano diventi.

Citralèca.Su, fa coraggio! Disperati alfine
Son quei Danàvi. Or essi,
Gl'insidiatori degli dei, disfatti
Furon dal pio sovrano
Che ha oguor pietà degl* infelici oppressi I
Urvàsi (aprendo gli occhi)Oh! Che? Dal sommo dio
Indra, che di colui l’oltraggio scorse,
Aita forse ebb’io?
Citralèca.Non Indra venne in tuo soccorso, amica;
Pururàvasa fu, questo Ragiàrsi
Ch’è per indole inver simile ad Indra!
Urvasi (guardando il re, tra sè)Pur, da la trista lotta
Con quel Danàvo, nn bene
Alfine a me ne viene.
Purur. (guardando Urvàsi, tra sè) Le Apsàrase vezzose,
Che Naràyano il pio
Voleano un di coi vezzi lor tentare,
Ben a ragion fùr da vergogna vinte
A tanta leggiadria !
Prole d’asceta, ah no, costei non pare;
E, per mia fé’, com’esserlo potria?

     Fu Ciàndro, il dio ch’è di beltà datore,
          Che in concepir costei vita le diede ?
     Quei che l’essenza del piacer possiede
          Il dio Madano, ower l’Aprile in fiore ?
     E come avria potuto, uom vecchio e pio
          Cui i sacri libri han l’alma irrigidita,
     Cui privi i sensi son d’ogni desio,
          Ad una forma si gentil dar vita?

UrvàsiO Citralèca, e dove è mai la schiera
Delle compagne nostre?
CitralecaChiedilo al pio sovrano
Che fa seenro ognun col suo valore.
PururàvasaSu, guardale, o vezzosa:
Trepidanti or son tutte in gran dolore.

[p. 12 modifica]VASI. — ATTO l.

Chiunque innanzi agli occhi suoi te veda, Straniero aspetto, anche un istante solo, Se t’allontani, al turbamento è in preda; Or, pensa tu, che non farà lo stuolo Di tue compagne da gran tempo stretto A te dal nodo d’un possente affetto? Urvàsi (fra li). Ohi la soavità di questi accenti AU’ambrosia somiglia ! Ma solo dal dio Ciàndro L’ambrosia viene affé, qual meraviglia! Purur. (indicando con ìa ma no). Le tue compagne, ch’or la vetta aduna Dcll’Emacùto, già gli sguardi han fissi Al tuo volto, o gentil, come alla luna Quando libera appar dopo l’ecclissi. (Urvasi guarda co» ansietà). Che guardi, o cara? Io bevo Con gli avidi occhi mici chi m’e consorte Nel gaudio e nell’affanno. Chi dici mai ? (torridendo) La schiera delle amiche 1 Compagne, ecco il Ragiàrsi ! Urvàsi a noi diletta E Citralfcca insiem libere ei fece: Si che a vederlo in mezzo a lor tornare, Al sommo Luno eguale Fra le stelle Visàca egli n’appare! Doppia ventura, amiche, è a noi toccata : Riede l’amica Urvàsi, c la persona Del sir n’appare illesa I Pur tu dicesti: « abbatter quei Danàvi È ben ardita impresa ! » Auriga, orsù, pel ripido pendio Vo’ che discenda il carro. Al tuo voler son pronto, augusto sire. (l’auriga esegue). Oh vi I Dalla discesa Ho qualche frutto anch’io: che il carro riceve lungo la china, e si appoggia al re timidamente). Or che sbalzando il carro s'abbandona A la china del colle aspra e scoscesa, Presso a tanta beltà la mia persona Di fremito e desire t gli compresa; Chi il contatto genti 1 delle sue membra Una febbre d’Amor quasi mi sembra. ClTRALÈCA. Urvàsi. ClTRALÈCA. Urvàsi. Ramba (osservando con gioia). MÉNACA (dopo di avere] alquanto riflettuto). Sauagiàxya. Pururàvasa. Auriga. PURURÀV. (mentre Urvasi] imita col getto te icone] VICRAMÒR [p. 13 modifica]VASI. — ATTO l. Urvàsi (con pudore). CrTRAJ-iCA. Ramba. Apsàrase. Pururàvasa. Apsàrase. Pururàvasa. URVÀSI (appoggiandosi al] braccio di GtraUca scende] ilai caro). MONACA (>« “lo d'augurio). Auriga. Apsàrase. Citraràta. Pururàvasa. Citraràta. Su, rimuòviti alquanto, amica mia Non posso, inver, non posso 1 Al benefico sir moviamo incontro. Andiamo dunque (« apprettano) Auriga, or frena il carro: Costei dal bel sembiante * Riede a gioir con le compagne unita, Come alle verdi piante Si ricongiunge la stagiou fiorita. (l'auriga ferma il carro). Evviva il sire, evviva I Noi siam ben liete della tua vittoria Io di vedervi alla compagna unite I In dolce amplesso strette Su, qui, compagne, sul mio cor vi bramo; Non certo avea più speme Di riveder le amiche mie dilette I (le compagne l'abbracciano). Viva lunghi anni il sire A protegger la terra I O mio sovrano, Move celere un carro a questa volta E tal, non so chi sia, Che veste sfavillante ha d’or coperta. Dal cielo inverso l’erta, Qual nube che lampeggi, o re, s’awia. Oh meravigliai Citraràta! (entra Citraràta). (apprettandoti al re) Evviva 1 Prosperi ognor l’alta virtù d’eroe A quella in te di protettor congiunta I Oh! dei Gandàrvi il re! Sii benvenuto, Aulico, io ti saluto. (entrambi li toccano la mano). Quando udì Satacràto, il sommo dio. Che il Dauàvo Chcslna avea ghermita La vaga ninfa Urvàsi, Di racquistarla dal desio sospinto, Dei Gandarvi ordinò l’invine squadre; Ma or or del tuo valore Dai celesti messaggi cbb’io novella. M’adduce a te la gloria di tue gesta Che in ogni parte risonar ho udito, E, se t’aggrada, or Indra- insiem con questa Ninfa leggiadra a visitar t’invito. VICRAMÒR [p. 14 modifica]VASI. — ATTO l. Oh si che un gran favore Hai reso ad Indra, o re, col tuo valore: Fu Naràyana il pio que’ ch’altra volta Per darla ad Indra a la gentil diè vita; Dalla man dei Danàvi alfin ritolta, Or di nuovo da te gli vien largita. Pur, mio non è di si bell’opra il vanto: Indra fulmineo ha tal valor clic strugge Per man de’ suoi l’orde nimiche in guerra ; SI dagli spechi di llon che rugge L’eco sonora gli elefanti atterra. Sempre modestia l’eroismo abbella! Or odi, amico mio : Di veder Satacràto Non mi par tempo, invero; Però tu stesso la vezzosa ninfa Reca al cospetto dell’augusto dio. Come t’aggrada; andiamo (tulli ti avviano). Oh Citrali:ca I Al benefico sir come poss’io Dire in tal punto: addio? Tji per me gli favella ClTRALÈCA (apprettandoti al re). Augusto sire, Or che l’amica Urvàsi Toglie da voi commiato, Vi fa saper che della vostra gloria Nel mondo degli dei Eterna serberà cara memoria! Pururàvasa. A rivederci, dunque (coti tulli insieme ai Gandann imitano la tali! Urvàsi (imitando l'impe-] Ahimè! La sciarpa [tu aria dimento di albani). Dai gemmati fiorami Qjii d’un viticchio s’impigliò tra i rami Su, Citralèca, a districarla vieni. Citral. (ottervando e torridi). Che posso farti? S’impigliò per bene! Urvàsi. Bando alla celia : slegala, su via Citralèca. Fadl cosa non è; pur, vo’ tentare. Urvàsi. E pure questi detti Avrai da ricordar, carina mia! Pururàvasa (fra ti). Qual fai, liana, a me cosa gradita Che ancor per un istante Qui la rattieni nella sua partita! Si che a metà vèr me quel bel sembiante Dal curvo sopracciglio ancor si giri, Si che pure una volta io la rimiri I Pururàvasa. Citraràta. Pururàvasa. Citraràta. Urvàsi. VICRAMÒRVASI. — [p. 15 modifica]ATTO I. »S (C'Uraltea libera la sciarpa. — Urvàsi guarda il re sospirando; indi si volge alla schiera delle amiche, che vola in alto), * AuRI0A Sire, il tuo strale celere qual vento. Poi che gii d’Indra gli offensori ha spento,, I Danivi cacciando in seno ai mari, Tornato or è nel suo turcasso al pari D’intrepido serpente Che nel suo covo pènetri repente. „ huràvasa. Orsù, t’appressa, vo’ montar sul carro. (l’auriga esegue — il re Uhvàsi (con tenere^a] Concesso almen di riveder mi sia [fa aito di salire). rdando il re), v II mio liberatore 1 (si allontana insieme ai Gandarvi e le amiche), Pururàv. (seguendo con /o] Ahimè! Chè sempre Amore , guardo il cammino di Urvàsi). Quel che ottener non può vieppiù desia! Strappa colei che forme ha si leggiadre A me dal petto il cor mentre risale A la celeste regìon del padre, Pari a cigno regale Che dal calice brami Di squarciata ninfèa sveller gli stami! (cosi vanno via tutti). (FINISCE IL I* ATTO). , ¦ il'

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ATTO II. (Entra il Vidùshaka « Manàvaco »). Manàvaco. Via, tentatori Non posso dinnanzi alle persone Rattener la mia linguai Come un ghiotto boccone 11 segreto del sire mi scappa, ahimè! — Al palagio Di giustizia e’ moveva poc’anzi: a mio bell’agio, Q.ui, lontan dalla turba delle sue genti, in questo Domestico tempietto per aspettarlo io resto Nipun'ica (a sé). M’ha detto la regina, la leggiadra figliuola Del re di Casi: « Ascolta: da quel giorno che sola Ebbe a lasciarmi il sire, per attendere al rito