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ATTO I. »S (C'Uraltea libera la sciarpa. — Urvàsi guarda il re sospirando; indi si volge alla schiera delle amiche, che vola in alto), * AuRI0A Sire, il tuo strale celere qual vento. Poi che gii d’Indra gli offensori ha spento,, I Danivi cacciando in seno ai mari, Tornato or è nel suo turcasso al pari D’intrepido serpente Che nel suo covo pènetri repente. „ huràvasa. Orsù, t’appressa, vo’ montar sul carro. (l’auriga esegue — il re Uhvàsi (con tenere^a] Concesso almen di riveder mi sia [fa aito di salire). rdando il re), v II mio liberatore 1 (si allontana insieme ai Gandarvi e le amiche), Pururàv. (seguendo con /o] Ahimè! Chè sempre Amore , guardo il cammino di Urvàsi). Quel che ottener non può vieppiù desia! Strappa colei che forme ha si leggiadre A me dal petto il cor mentre risale A la celeste regìon del padre, Pari a cigno regale Che dal calice brami Di squarciata ninfèa sveller gli stami! (cosi vanno via tutti). (FINISCE IL I* ATTO). , ¦ il'

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ATTO II. (Entra il Vidùshaka « Manàvaco »). Manàvaco. Via, tentatori Non posso dinnanzi alle persone Rattener la mia linguai Come un ghiotto boccone 11 segreto del sire mi scappa, ahimè! — Al palagio Di giustizia e’ moveva poc’anzi: a mio bell’agio, Q.ui, lontan dalla turba delle sue genti, in questo Domestico tempietto per aspettarlo io resto Nipun'ica (a sé). M’ha detto la regina, la leggiadra figliuola Del re di Casi: « Ascolta: da quel giorno che sola Ebbe a lasciarmi il sire, per attendere al rito